Roma, (ZENIT.org) Federico Cenci | 164 hits

Joe Kennedy è un uomo di mezza età coi capelli brizzolati, gli occhi azzurri e un fisico asciutto da atleta. Ex marine con esperienza militare in Iraq, da sette anni è l’allenatore della squadra di football americano della “Bremerton High School” di Seattle. O meglio, era l’allenatore. Le autorità scolastiche lo hanno infatti recentemente esonerato.
Il motivo? Ciò che lo ha reso famoso anche al di fuori del campo da gioco. Joe Kennedy aveva l’abitudine, alla fine di ogni partita, di radunare al centro del rettangolo verde i suoi ragazzi e quelli della squadra avversaria, di invitarli a stringersi le mani e a recitare per circa venti secondi una preghiera cristiana insieme a lui. “Signore - il testo della preghiera - ti ringrazio per questi ragazzi e per la benedizione che mi hai dato con loro. Crediamo nel gioco, crediamo nella competizione e non possiamo farlo come rivali ma come fratelli”.
Il “coach” del liceo di Washington non ha mai obbligato nessuno a pregare, ma la sua iniziativa ha sempre riscosso enorme successo sia tra i propri giocatori che tra gli avversari. Una sorta di “terzo tempo” in stile cristiano, che è diventata una tradizione evidentemente apprezzata, che aiuta gli atleti di questo coriaceo sport a smorzare la loro carica agonistica.
In sette anni non si è mai registrato alcun problema, anzi. I suoi ragazzi sono affezionati al proprio allenatore a tal punto da considera “Coach Kennedy” non solo un allenatore bensì anche un amico. Contro la volontà della squadra l’idillio si è però iniziato a interrompere il 17 settembre, quando le autorità scolastiche hanno inviato una lettera di avvertimento all’ex marine chiedendogli di smettere di pregare dopo le partite.
“I tuoi colloqui con gli studenti non possono includere espressioni religiose, tra cui la preghiera”, in quanto “i colloqui devono rimanere interamente laici, in modo da evitare l’alienazione di ogni membro del team”. Questo l’avvertimento contenuto nella missiva, che tuttavia non ha dissuaso Kennedy. Una obiezione di coscienza a un diktat che Kennedy non ha esitato a definire “ridicolo”. E così, dopo che il 16 ottobre scorso si è consumata l’ennesima scena di preghiera, a metà campo, nel post-partita, le autorità scolastiche hanno deciso di interrompere il rapporto con l’allenatore.
Intervistato dal Seattle Times, Kennedy ha commentato: “Sono sotto inchiesta perché ringrazio Dio per le opportunità che mi sono state date e questo è assolutamente ridicolo”. L’ex marine ricorda di aver passato 20 anni nelle forze armate “a difendere la Costituzione e le libertà d’ognuno… Tuttavia ora mi rendo conto che le persone che lavorano nella scuola pubblica non hanno gli stessi diritti costituzionali di tutti gli altri”.
Kennedy si è allora rivolto a un gruppo di avvocati dell’associazione Liberty Institute, impegnata nella difesa della libertà religiosa. E così nei confronti delle autorità scolastiche hanno intentato una denuncia per aver violato il diritto alla professione libera della propria fede e per licenziamento senza giusta causa.
Il vice-capo dei consulenti legali dell’istituto, Hiram Sasser, ha rilevato che “nessun osservatore ragionevole potrebbe concludere che un allenatore di football attenta allo Stato per il solo motivo che alla fine di ogni partita va con i giocatori a metà campo per fare una preghiera breve, privata e personale”. Sasser ha inoltre ricordato che il licenziamento di Kennedy viola il Primo Emendamento della Costituzione americana, che garantisce il rispetto al culto della religione.
Kennedy, dal canto suo, si dice pronto a “combattere” per far valere il suo diritto a pregare. Al giornale Bremerton Patriot, ha affermato con sicurezza: “Ho intenzione di essere audace nella mia fede e ho intenzione di combattere la buona battaglia, e voglio che questo sia da esempio per ognuno dei miei ragazzi”. In suo sostegno, sui social network, proprio i "suoi ragazzi" hanno diffuso l’hashtag #keepcoachkennedy.