Breve storia dei Colori Liturgici
di Gaetano Masciullo, da Radio Spada, marzo 2015
di Gaetano Masciullo, da Radio Spada, marzo 2015
Sappiamo
bene che la liturgia della Messa è parte integrante della Tradizione
cattolica, non è nella sua sostanza invenzione d’uomo, perché istituita
da Cristo nel sacramento eucaristico e perfezionata da egli stesso nei
quaranta giorni successivi alla Resurrezione, come la Tradizione
insegna. Tuttavia è interessante chiedersi, dopo duemila anni di
cristianesimo, la storia che ha visto l’evolversi di una parte simbolica
molto importante della Messa, ossia il colore.
Attualmente
i colori leciti per le celebrazioni sono, almeno nel rito romano, otto:
il viola, il bianco, l’oro, il verde, il rosso, il blu, il rosa, il
nero. Ognuno di questi ha un significato ben preciso, ma come siamo
arrivati a questi colori? Sin da subito i cristiani hanno adoperato
questi toni o c’è stata una evoluzione?
Effettivamente
nei riti più antichi (ad esempio il rito di Gerusalemme), l’abito
indossato durante le funzioni domenicali era semplicemente una tunica
non tinta e pulita, di lino e, più raramente, di lana, che richiamava
dunque il colore bianco, il colore cristologico per eccellenza che
ricorda la purezza, l’innocenza, il manto candido del divin agnello. Un
colore che ricordava il bianco, ma che di fatto non lo era, perché le
tecniche di sbiancamento dei tessuti erano lente e costose, dunque si
avevano di fatto varie nuances di grigio.
Dal
VII secolo, si iniziarono a diffondere vari colori e, con essi, alcuni
trattati liturgici che tuttavia non ottenevano alcun effetto, se non a
livello diocesano. I colori principali diventarono tre, che sono i tre
colori classici adoperati sin dall’antichità: il rosso, il bianco e il
nero. Di questi tre colori venivano usate varie sfumature, a seconda
della festività che si voleva ricordare, così si avevano tre rossi, due
bianchi e due neri, che si differenziavano tra loro essenzialmente per
la loro intensità e luminosità, per il totale così di sette colori
diversi. Il candidus era più brillante dell’albus. Ilniger più brillante
dell’ater. Così nei tre rossi, il purpureus era più brillante
delcoccinus o del ruber. A questi tre colori iniziava ad aggiungersi
l’oro, che di fatto era più un giallo, poi il verde, il viola ed
addirittura il grigio. Alcuni sacerdoti – un po’ come oggi – adoperavano
casule estrosissime e fuori luogo, che furono ben presto condannate dai
vescovi locali perché considerate poco decenti (casule a righe,
variopinte o troppo vistose, che univano più di due colori con
significati totalmente differenti). Spesso il significato dei colori,
nonostante alcune direttive generali e poco chiare, erano esclusivamente
a scapito dei celebranti. Vi erano preti che celebravano a Pasqua con
paramenti bianchi ed altri con paramenti rossi, se non addirittura
verdi.
Dal VIII secolo intanto si protraeva una
discussione tra teologi e prelati riguardante la necessità dell’uso di
colori durante le liturgie. Vi erano due correnti di pensiero,
rappresentate dai cluniacensi (nati nel X secolo) e dai cistercensi (XII
secolo). I primi sostenevano la natura luminosa del colore e quindi
superiore alla materia, da usare assolutamente durante le divine
liturgie. I secondi, invece, sostenevano la natura materiale della luce e
quindi sconveniente da usare durante la liturgia, ove si esalta una
natura radicalmente opposta, quella spirituale di Dio. La cosiddetta
cromofobia (paura del colore), sebbene di fatto combattuta da papi e
vescovi sin dal periodo intorno all’anno Mille, sopravvisse per tutto il
Medioevo, fino ad influenzare gli esponenti della Riforma protestante, i
quali rinnegavano qualsiasi uso di immagini e colori, considerati pura
vanitas.
Dal XII secolo, si cercò di dare una
uniformità dei colori nei riti della Chiesa. I liturgisti dell’epoca [1]
erano concordi nell’attribuire ai tre colori principali significati ben
precisi. Il rosso era il colore della Passione, del martirio e dello
Spirito Santo. Il bianco era il colore pasquale, mentre il nero era il
colore dell’astinenza, della penitenza e del lutto. Il viola era
considerato un subniger, ossia un derivato e sostitutivo del nero in
alcuni casi. Il grigio e il giallo erano sostitutivi del bianco. Per
questo motivo il viola iniziò a sostituire il nero nei tempi di Avvento.
Il cardinale Lotario dei Conti di Segno scrive tra il 1194 e il 1195 un
trattato intitolato De sacro sancti altari mysterio, dove
parla anche dei colori liturgici. Questo testo fu poi ripreso da Lotario
dopo la sua elezione a papa Innocenzo III, con l’intento di uniformare i
colori della liturgia in tutte le diocesi, anche in quelle più lontane
da Roma e con riti differenti da quello romano. Finalmente in questo
trattato, che fa scuola almeno fino al Concilio di Trento, si dà un
significato definitivo ai colori e finanche precisi riferimenti del
calendario liturgico, così da evitare interpretazioni vaghe dei singoli
celebranti: il rosso, colore della Passione, del martirio e dello
Spirito Santo, è da usare solo nelle feste degli apostoli, dei martiri,
della Santa Croce e della Pentecoste; il bianco, colore pasquale per
eccellenza, è da usare solo per le feste degli angeli, delle vergini,
dei confessori, nel Giovedì santo, a Pasqua, Natale, Epifania,
Ascensione, Ognissanti. Il nero, lutto e penitenza, doveva essere usato
solo nelle feste dei defunti, durante l’Avvento e la Quaresima, per la
festa degli Innocenti martiri. Nei restanti giorni, è da utilizzare solo
il colore verde, perché – scrive Innocenzo III nel trattato – si tratta
di un colore “a metà tra il rosso, il nero e il bianco”. Il viola può
sostituire talvolta il nero e il giallo può sostituire, in particolari
casi, solo il verde.
E’ interessante notare che
il viola, all’epoca, non era come lo conosciamo oggi. Si trattava
piuttosto di un blu molto scuro, tendente al viola o più verosimilmente
all’indaco. Molti paramenti antichi, che a noi sembrano blu notte, erano
infatti considerati viola dai medievali. Il blu tendente all’azzurro
era totalmente estromesso dalla liturgia, come retaggio della
convinzione classica che l’azzurro fosse un colore barbaro (e quindi
pagano), se non addirittura effeminato. Nonostante questo retaggio, sin
dal IX secolo, soprattutto nella Francia carolingia, nelle chiese inizia
a diffondersi il blu come lo intendiamo noi oggi, come colore simbolo
del cielo, ma solo per quanto riguarda affreschi e vetrate, i santi
vengono raffigurati con paramenti azzurri, ma solo per significare la
loro presenza nel paradiso, ovverosia in cielo. Non vi erano infatti
paramenti azzurri o blu da utilizzare nella liturgia. Dal XII secolo,
questo stesso blu da usare in affreschi e vetrate, si schiarisce, per
simboleggiare la luce divina e viene affiancato spesso al rosso, anziché
al verde (come si era fatto sinora).
Per
l’introduzione del blu nella liturgia, come colore da utilizzare nelle
feste mariane, dovremo aspettare il XIII e il XIV secolo, ed esclusivo
dei riti autoctoni di Spagna (come il mozarabico). Progressivamente,
questo colore liturgico si diffuse anche in altre zone europee, ma il
colore bianco per le feste mariane rimarrà quello prevalente. Nel rito
romano, ad esempio, che subì notevoli influssi dal rito gallicano, il
colore blu non sarà mai ufficialmente inserito tra i colori liturgici
ufficiali. Questa diffusione del colore blu nella liturgia era dovuta
alla rivalutazione che questo colore stava ricevendo per la prima volta a
livello artistico e letterario, con i suoi primi importanti impieghi
nella tintoria.
Durante l’epoca barocca (XVII
secolo) furono introdotti due nuovi colori liturgici, l’oro e il rosa.
Il primo colore, già in voga come sostitutivo del bianco e del verde, fu
molto utilizzato per le solennità mariane nel rito romano, al posto del
blu spagnolo e del precedente bianco romano. Molte statue raffiguranti
la Vergine con abito azzurro furono appositamente ritinte con il colore
oro. Si stabilì comunque che il colore oro, simbolo della maestà di Dio,
potesse sostituire qualsiasi colore, eccetto il viola e il nero, colori
di penitenza. Il rosa, novità assoluta, fu introdotto solo per le
domenichegaudete (terza di avvento) e laetare (terza di quaresima), in
quanto colore a metà tra il viola (proprio dei tempi di avvento e
quaresima) e il bianco (in quanto in queste due domeniche si ricordano
le promesse gioiose rispettivamente della Natività e della
Resurrezione).
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[1] Cfr. Honorius Augustodunensis, De divinis officiis; Rupert de Deutz, De divinis officiis; Hugues de Saint-Victor, De sacramentis christianae fidei; Jean Beleth, Summa de ecclesiasticis officiis.