Lettera aperta di un laico (terziario francescano) a padre Volpi Libertà e Persona,
Reverendo
Padre Volpi,
sono un Terziario Francescano dell’Immacolata che sta vivendo il dramma di questi mesi in seguito al Commissariamento dell’Istituto dei Frati francescani dell’Immacolata. Insieme alla mia famiglia ho conosciuto i frati dell’Istituto e abbiamo cominciato un cammino spirituale che ci ha condotti ad amare Cristo, il Vangelo, il Papa e la Santa Madre Chiesa. Sono ulteriormente addolorato da quando ho appreso della sua lettera circolare apparsa il 27 novembre, sul sito Immacolata.com, ormai completamente gestito da padre Alfonso Bruno e che, a mio modesto parere, non rappresenta l’autentico spirito dei Francescani dell’Immacolata, in quanto, alla luce dei fatti, alcuni suoi comportamenti non sembrano affatto ispirati al Vangelo. Nella sua lettera vi troviamo un’accorata difesa del suddetto padre. Lei lo definisce una “vittima di una persistente e maliziosa campagna di denigrazioni” collegata al commissariamento dell’Istituto. Non ho mai avuto nulla contro Padre Alfonso, ma dal suo modo di agire, dopo aver letto qualche articolo del professore Francesco Agnoli, ed aver ascoltato le parole (registrate) di padre Alfonso contro padre Manelli, concludo che il vero diffamatore e propagatore di falsità risulta essere proprio padre Alfonso (chi volesse approfondire può consultare il sito di “Libertà e persona”).
sono un Terziario Francescano dell’Immacolata che sta vivendo il dramma di questi mesi in seguito al Commissariamento dell’Istituto dei Frati francescani dell’Immacolata. Insieme alla mia famiglia ho conosciuto i frati dell’Istituto e abbiamo cominciato un cammino spirituale che ci ha condotti ad amare Cristo, il Vangelo, il Papa e la Santa Madre Chiesa. Sono ulteriormente addolorato da quando ho appreso della sua lettera circolare apparsa il 27 novembre, sul sito Immacolata.com, ormai completamente gestito da padre Alfonso Bruno e che, a mio modesto parere, non rappresenta l’autentico spirito dei Francescani dell’Immacolata, in quanto, alla luce dei fatti, alcuni suoi comportamenti non sembrano affatto ispirati al Vangelo. Nella sua lettera vi troviamo un’accorata difesa del suddetto padre. Lei lo definisce una “vittima di una persistente e maliziosa campagna di denigrazioni” collegata al commissariamento dell’Istituto. Non ho mai avuto nulla contro Padre Alfonso, ma dal suo modo di agire, dopo aver letto qualche articolo del professore Francesco Agnoli, ed aver ascoltato le parole (registrate) di padre Alfonso contro padre Manelli, concludo che il vero diffamatore e propagatore di falsità risulta essere proprio padre Alfonso (chi volesse approfondire può consultare il sito di “Libertà e persona”).
Qui vorrei rispondere, punto per punto,
alle argomentazioni da Lei dedotte nella sua apologia di Padre Bruno.
Mi preme innanzitutto denunciare che è dall’inizio del commissariamento
che si parla di ricondurre l’Istituto ad “un’autentica aderenza con il carisma originario e fondativo”,
senza mai chiarire, concretamente, cosa padre Stefano Maria Manelli
abbia commesso di così grave per allontanarsi dal carisma primordiale.
La vaghezza dell’accusa non mi sembra cosa da poco se si considera che
quasi tutto ruota intorno ad essa. Le critiche sulla messa in latino, a
dire di alcuni, “imposta” dal Padre Fondatore, sono risultate un
clamoroso bluff. Molti sacerdoti dell’ordine possono testimoniarlo.
Comunque, al suo divieto, ha fatto seguito una meticolosa obbedienza da
parte di tutto l’Istituto. Allora ci dica, con chiarezza: in cosa ha
mancato Padre Stefano? Siamo stufi di non conoscere ancora i capi di
accusa contro il Fondatore, dopo mesi di commissariamento. Questa
condizione impedisce una legittima difesa, garantita a ciascun
condannato, o presunto tale, ovunque laddove ci sia un minimo di
civiltà. Come si fa a difendersi da qualcosa, se non si sa di che cosa
si è accusati? Tutto ciò incrementa il sospetto che dietro il
commissariamento non ci sia il fine di fare qualcosa che somigli
vagamente al concetto di giustizia, ma un intento squisitamente ed
esclusivamente persecutorio. Le accuse devono essere circostanziate. Se
io, reverendo commissario, accusassi per esempio padre Alfonso di essere
un bugiardo, senza dire che bugia ha detto, dove l’ha detta, a chi l’ha
detta, potrei essere giustamente perseguibile per diffamazione. Ora, se
si continua ad accusare Padre Stefano senza precisare i dettagli, non
le sembra un atto ancora più grave?
Lei dice che si sente in dovere di difendere i diritti di padre Alfonso e di farli rispettare.
Benissimo! Ma come la mettiamo con le irruzioni fatte nei conventi, in
presenza di avvocati, spaventando i padri, non certo abituati alle
maniere forti, soprattutto se perpetrate da un confratello? Come la
mettiamo con lo stato di isolamento in cui avete ridotto il Fondatore
ultraottantenne, ammalato, a cui negate sotto pena di punizione,
finanche la visita dei fratelli e delle sorelle di sangue? Difendere i
diritti è una cosa bella, ma i metodi con cui si sta conducendo questo
commissariamento mi ricordano quelli della polizia politica dei paesi
dell’Est. Anche i padri che sono rimasti fedeli al carisma originario
del Padre fondatore hanno una “dignità ed onorabilità personale”
che viene, ahimè, calpestata con trasferimenti forzati e punitivi, per
la qualcosa avete privato centinaia di fedeli della loro direzione
spirituale. Questo sì, che è un atto grave, che va contro il bene della
Chiesa.
Visto
che sono poco avvezzo al funzionamento di un commissariamento, mi
perdoni l’ardire: è così che si difende l’unità della Chiesa?
Lei e il suo segretario avete fatto intorno al Fondatore tabula rasa,
non certo perché preoccupati dello stato della sua salute; in tal caso,
infatti, sarebbe bastata una semplice esortazione a riguardarsi di più.
Voi avete fatto “meglio”, dimostrando, così, quanto fosse grande e
palpabile l’amore per l’Istituto che intendete “unificare”: gli avete
imposto l’obbligo di non comunicare con nessuno, sotto pena di peccato
mortale qualora lo infrangesse.
Da quanto
scrive mi sembra che la sua lettera contenga più di un punto
discutibile. Per esempio, se da un lato palesa che le contestazioni di
un presbitero debbano essere valutate con cura, dall’altro ritiene
completamente superfluo valutare quelle riguardanti padre Alfonso,
perché il suo operato si svolge sotto la sua guida e la sua Autorità,
con la A maiuscola. Se così, mi dica Padre Fidenzio, padre Alfonso agiva
sotto la sua autorità anche quando dichiarava in pubblico che padre
Stefano era travolto nel vortice di uno scisma? Che è implicato in un
gioco “politico” contro il papa? Oppure, in quel caso, il suo segretario
agiva autonomamente? Ritiene anche queste siano calunnie “malvagie e virulente”, tanto per attenermi rigorosamente alla sua terminologia?
Nel suo
panegirico alfonsino, cita il codice di diritto canonico e menziona la
necessità del rispetto verso il sacerdote, unitamente al dovere “di difendere un fratello perseguitato ingiustamente o calunniato”;
non bisogna nemmeno dimenticare, però, caro commissario, che nella
Chiesa del dialogo, di cui il Santo Padre è un convinto sostenitore, il
rispetto del sacerdote può, anzi deve convivere con la difesa della
Verità, quella stessa Verità con la quale Lei conclude la sua lettera.
In essa più volte dichiara fedele obbedienza al Santo Padre.
Le assicuro che anche noi laici non vogliamo altro che questo; forse
per questo ha deciso di sospendere tutte le attività della Missione
dell’Immacolata Mediatrice e vietato di indossare lo scapolare in
qualunque circostanza? In che modo poi, con una e-mail ad alcuni
Presidenti delle Mim (le Associazioni pubbliche di fedeli che vivono il
carisma dell’Istituto dei Francescani dell’Immacolata),
senza uno straccio di documento con valore legale, senza una
raccomandata con avviso di ricevimento? Mi creda, ai tempi della Santa
Inquisizione romana gli inquisiti potevano sperare di essere giudicati
secondo verità e giustizia, con criteri ben più oggettivi e rigorosi di
quelli applicati oggi nei nostri confronti.
Dice ancora che ha deciso di affrontare i calunniatori di padre Alfonso, a viso aperto e di farlo “senza temere la potenza da loro ostentata, né le protezioni che potevano sostenerli”.
Io non so a chi e a quali calunnie nel merito si riferisce, ma se per
calunnie dovesse riferirsi alle critiche di chi non approva i suoi
metodi e quelli del padre da Lei difeso, allora sappia che i
calunniatori sono semplici impiegati, comuni casalinghe, normalissimi
muratori, gente che vive come può e altre persone di modestissime
condizioni sociali, a cui anch’io vanto di appartenere; non abbiamo
potenti alle spalle; a noi si uniscono professionisti e persone di
estrazione sociale più elevata che, le assicuro, convivono fraternamente
con noi e che non hanno mai ostentato alcuna prepotenza, semmai si son
schierati a difesa dei diritti dei più deboli, contro la baldanza dei
prepotenti. Se alza gli occhi, padre Volpi, si accorgerà che noi
desideriamo soltanto la protezione dell’Immacolata. Solo questo vogliamo
ci sostenga.
Veda
padre Volpi, il giochetto di contrapporre padre Stefano alla Chiesa non
funziona, in quanto il Padre darebbe la vita per amore della Chiesa. A
noi tutti ha sempre insegnato obbedienza al Romano Pontefice, per il
quale preghiamo ogni giorno e pure più di una volta al giorno. Quando a
qualche laico viene posta a bruciapelo la domanda trabocchetto, in pieno
stile farisaico: “Stai con il Papa o con Padre Stefano?”, la risposta è
una sola: Padre Stefano non è in contrapposizione con il Papa! Nella
sua lettera mi ha colpito il richiamo all’autorità concessagli dal Santo
Padre, più volte da lei ostentato anche in altre occasioni, mi chiedo:
può essere, oppure no, considerato un segnale di debolezza della sua
azione di commissariamento, bisognosa di legittimazione a ogni piè
sospinto?
Scorrendo
ancora la sua lettera circolare scrive di porsi al servizio di Dio e
della comunità ecclesiale. Le assicuro, padre Volpi, che non è il solo;
se prova a guardarci con occhi diversi, si troverà una schiera di laici accanto, tuttavia, dato che Lei ricorda che “se dunque la denunzia nei confronti di un Sacerdote risulta falsa, la parte accusante pecca gravemente”,
allora Le chiedo: quale sarà l’entità del peccato di un sacerdote che
calunnia il Padre Fondatore? Come potrà celebrare la messa, a maggior
ragione, se ha emesso il voto mariano di incondizionata obbedienza
all’Immacolata? Lei dice che chi accusa un sacerdote pecca gravemente.
Sì! Ma solo se le accuse sono false, come giustamente ricorda.
Inoltre padre Volpi, Lei richiama la gravità della responsabilità “… quando la diffamazione di un Sacerdote fosse diretta a dividere la Chiesa …”.
In verità, per quel che appare ai miei occhi, la divisione è cominciata
con il modo in cui ha condotto il suo commissariamento, molto
discutibile per le misure ritorsive nei confronti dei Padri
dell’Istituto.
Perché vi arrabbiate se i frati non hanno né beni né proprietà?
Non è povera la Chiesa che il Santo Padre preferisce? L’istituto vive
di Provvidenza, vuole tenere lontano gli orpelli della mondanità, il
clericalismo di mercato, come ebbe a dire lo stesso Pontefice in una
lettera ai Vescovi argentini. Cosa pensate vi nascondano?
Il rigore
evangelico con cui vive l’Istituto è il segreto delle tante vocazioni
che, a loro volta, lo collocano tra gli ordini più fiorenti della Chiesa
cattolica. Il commissariamento ha già causato un calo nel ramo
femminile e la fuoriuscita di alcuni religiosi (mentre tanti altri
stanno vivendo un disagio profondissimo). Questa è una grave
responsabilità. Sembra paradossale che si vada a colpire proprio
l’Istituto dei Francescani, come se nella Chiesa, oggi, non ci fossero
ben altri problemi.
Infine,
chiedo scusa se devo ribattere punto per punto le sue dichiarazioni. C’è
una cosa che con Lei condivido pienamente; mi riferisco all’unità della
Chiesa insidiata da quanti “risultano affetti dallo smisurato orgoglio luciferino, che li spinge ad essere giudici della Gerarchia”.
Non so a chi Lei si riferisce, ma a me viene in mente l’origine stessa
della frattura, dovuta all’azione di pochi padri dell’ordine che non
digerivano più il sano governo dell’Istituto. Chi non condivide più il
carisma del Fondatore, facendolo passare per inabile, scismatico e
magari anche incapace di camminare sulle acque, non farebbe meglio ad
uscire dall’Ordine, invece che lavorare per impadronirsene e
stravolgerlo? Ma no! In fondo non è da tutti cominciare da zero, come
hanno fatto i nostri Fondatori, senza una lire in tasca, in un convento
abbandonato, restare giorni interi digiuni e in preghiera finché qualche
vecchia del paese si ricorda di loro e porta qualcosa da mangiare. Ci
vuole coraggio, commissario, molto coraggio. Ed è per questo che, come
disse Troisi in suo famoso film, è meglio ricominciare da tre piuttosto
che da zero.
Con rispetto “ubi Petrus, ibi Ecclesia”
Mario Nevano, della Mim
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