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lunedì 30 settembre 2013

Rileggendo l'intervista di papa Francesco



Nel mese di agosto papa Francesco ha rilasciato una lunga intervista al padre Antonio Spadaro S.I., pubblicata in settembre sulla Civiltà Cattolica. Si tratta di un lungo testo nel quale vengono affrontate tematiche tra loro molto varie e di spessore certamente diseguale. Vorremmo compiere alcune osservazioni relativamente al concetto di fede che emerge da tale scritto. Anche padre Spadaro, infatti, sottolinea come tale tema sia da sempre molto presente nella riflessione di Jorge Mario Bergoglio e come esso emerga parimenti nei discorsi del neo-eletto pontefice: «Il discorso di Papa Francesco è molto sbilanciato sulle sfide dell’oggi. Anni fa aveva scritto che per vedere la realtà è necessario uno sguardo di fede, altrimenti si vede una realtà a pezzi, frammentata. È questo anche uno dei temi dell’enciclica Lumen fidei».



Sono necessarie due premesse.


1. Si dirà che il metodo di estrapolare alcune frasi isolate dal contesto è arbitrario, nonché incapace di render conto dell'interezza del pensiero dell'autore. Rispondiamo che il carattere "giornalistico" e composito del testo in esame permette senz'altro di focalizzare l'attenzione su alcuni concetti trascurandone altri, senza che ciò implichi necessariamente il fraintendimento. Ogni periodo ha deve necessariamente avere in sé un proprio significato che certamente potrà essere illuminato dal contesto, ma che non cessa di essere significativo in se stesso. Negare tale principio significa negare ogni valore alla comunicazione umana.



2. Si dirà ancora che il linguaggio di un'intervista colloquiale non comporta la precisione di un testo dogmatico e, pertanto, è suscettibile di diverse interpretazioni. Rispondiamo che il linguaggio è un mezzo atto a comunicare il pensiero e, pertanto, deve pur possedere un significato corrispondente alla mente dell'autore; se un testo è passibile di interpretazioni divergenti ciò dipende o dalla volontà dell'autore di renderlo ambiguo o dalla di lui incapacità di renderlo chiaro; la responsabilità in ogni caso non risiede solo nelle orecchie di chi ascolta, ma anche nella bocca di chi parla, pertanto, fino a migliore interpretazione, pensiamo di avere il diritto di esprimerci su un testo secondo le nostre personali capacità apprensive, pur restando aperti ad eventuali possibili chiarimenti.


Secondo l'insegnamento irreformabile del concilio Vaticano I, l'atto di fede è essenzialmente un atto dell'intelligenza umana illuminata dall'azione dello Spirito Santo: «La Chiesa cattolica professa che questa fede, che è l'inizio della salvezza dell'uomo, è una virtù soprannaturale, con la quale, sotto l'ispirazione e la grazia di Dio, crediamo che le cose da Lui rivelate sono vere, non per la loro intrinseca verità individuata col lume naturale della ragione, ma per l'autorità dello stesso Dio rivelante, il quale né può ingannarsi, né può ingannare» (Cost. Dei Filius, III).
Dio si è comunicato all'uomo attraverso la Rivelazione, definitivamente compiuta in Cristo Signore; e tale comunicazione è essenzialmente un atto intellettuale, poiché l'intelligenza è la facoltà più alta dell'uomo e, conseguentemente, il luogo privilegiato dell'incontro tra Dio e l'uomo. L'atto di fede consiste nell'appropriazione intellettuale dell'immutabile Verità divina e si esplicita nella professione di tale verità attraverso l'espressione dogmatica. I dogmi, dunque, non coincidono con la Verità soprannaturale, ma sono di essa espressione necessaria.
In questi termini, ad esempio, mons. Antonio Livi descrive il valore dell'espressione dogmatica e la connessione imprescindibile tra i dogmi e l'atto di fede: «L’essenza del cristianesimo è il dogma, ossia la formalizzazione della verità rivelata attraverso l’intervento normativo (lex credendi) e pastorale (lex orandi, lex operandi) del magistero ecclesiastico, intervento che nella storia della Chiesa non è mai mancato. Anche ai nostri giorni, ogni cattolico giustamente desideroso di sapere che cosa veramente si deve credere per essere autentici Christifideles può conoscere facilmente i termini essenziali del dogma, che si trovano esposti in forma divulgativa ma rigorosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica».


Tale concezione dell'atto di fede, veramente e autenticamente cattolica, sembra difficilmente reperibile nelle parole di papa Francesco; l'atto di fede viene invece descritto in modo pressoché esclusivo come un momento storico-esistenziale di incontro tra Dio e l'uomo che, per essere autentico, tende a prescindere dal contenuto veritativo-dogmatico della Rivelazione.
«La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte. Io temo i laboratori perché nel laboratorio si prendono i problemi e li si portano a casa propria per addomesticarli, per verniciarli, fuori dal loro contesto. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci».

Il linguaggio è oggettivamente complesso. Sembra delinearsi un contrasto insanabile tra "verità astratte", che definirebbero una "fede-laboratorio" e la "storia", luogo della "fede-cammino". Bisognerebbe sapere che cosa esattamente si intende con l'espressione "verità astratte" che, nel presente contesto, è evidentemente utilizzata in senso dispregiativo. A ben vedere, infatti, la struttura conoscitiva dell'uomo non può giungere al possesso di alcun genere di verità se non per via di astrazione, a meno di non ammettere una conoscenza umana per via di illuminazione interiore; ogni verità conosciuta dall'uomo, dunque, è in sé astratta. Ma qui l'espressione sembra usata secondo un'accezione differente, sembra cioè indicare una "verità" che rimane lontana dalla vita concreta dell'essere umano. Scopriamo così che le verità astratte, i dogmi, sono potenzialmente pericolose in quanto capaci di sottrarre l'uomo al cammino della storia per segregarlo in se stesso, in quella dimensione di chiusura che il pontefice ha altrove definito "autoreferenzialità".


Interpretazione malevola, si dirà. Eppure tale interpretazione sembra trovare numerose conferme.
«Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa».
L'eterno Iddio si rivela nel tempo. Fin qui non ci sono dubbi. «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb. 1, 1-2). Bisogna però aggiungere che, come ha sempre insegnato la Chiesa, la rivelazione storica di Dio si è definitivamente conclusa con la morte dell'ultimo apostolo e che essa è confluita nel depositum fidei custodito e trasmesso dalla Chiesa attraverso i secoli: «L'economia cristiana, in quanto è Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non c'è da aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo » (Dei Verbum, 4).

Le parole del papa si prestano invece ad un'interpretazione opposta. Sembra che la fede non consiste nel "ritenere" ciò che è stato trasmesso, bensì nell'aprire la mente al mutevole scorrere del tempo, quasi che la Verità soprannaturale si palesasse nelle vicende umane dell'oggi più che nella Parola data una volta per sempre.


«C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi».

L'Incarnazione del Verbo e la divina rivelazione, dunque, non sono "luoghi concreti" dove l'uomo incontra Dio, ma sono semplici "impronte", cioè segni che rimandano ad una verità ulteriore, la quale si palesa nell'oggi. Sembra quasi che la duplice categoria di "figura-realizzazione" che la teologia cattolica ha costantemente utilizzato per descrivere il rapporto tra l'Antica e la Nuova Alleanza, venga ora utilizzata indistintamente per delineare il rapporto tra il passato e il presente; il passato – non importa se in esso è compresa pure la rivelazione – è impronta, cioè figura dell'oggi nel quale Dio si comunica incessantemente. Non si potrebbe desiderare maggiore chiarezza: L'uomo incontra Dio non già nell'appropriazione del "depositum fidei" per intellectum fide illustratum, bensì nel "processo storico in corso".


Le conseguenze di tale concezione sono immense.


1. La prima e più importante conseguenza è il "divenire perpetuo" della rivelazione divina e con esso la mutevolezza implicita ad ogni processo evolutivo. 
Non si trova, evidentemente, l'affermazione esplicita secondo cui la verità è in divenire, ché tale affermazione apparirebbe bizzarra anche all'orecchio più distratto. Si trova tuttavia un surrogato di essa, cioè l'elogio dell'incertezza. Nel processo conoscitivo l'incertezza è causata o dalla mutevolezza dell'oggetto conosciuto o dall'incapacità del soggetto conoscente, ovvero dal concorso di entrambi. Il papa, tuttavia, attribuisce al soggetto conoscente l'infallibilitas in credendo:


«Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina».


Dobbiamo dunque concludere che l'incertezza sorge dall'oscurità dell'oggetto.
«Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili. L’incertezza si ha in ogni vero discernimento che è aperto alla conferma della consolazione spirituale». «Il rischio nel cercare e trovare Dio in tutte le cose è dunque la volontà di esplicitare troppo, di dire con certezza umana e arroganza: “Dio è qui”. Troveremmo solamente un dio a nostra misura. L’atteggiamento corretto è quello agostiniano: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre. E spesso si cerca a tentoni, come si legge nella Bibbia. È questa l’esperienza dei grandi Padri della fede, che sono il nostro modello. Bisogna rileggere il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei. Abramo è partito senza sapere dove andava, per fede. Tutti i nostri antenati della fede morirono vedendo i beni promessi, ma da lontano… La nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere… Si deve entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio».


La condizione del cristiano credente, evidentemente, viene equiparata a quella dei Patriarchi d'Israele, quasi che L'Incarnazione del Figlio non avesse apportato nessuna novità e nessuna ulteriore certezza. La fede è un immergersi nel processo storico-dinamico della propria esistenza, sganciato da ogni riferimento al deposito della fede; la ricerca della sicurezza dogmatica non solo è impossibile, ma è addirittura volontà di autoaffermazione e sopraffazione della "rivelazione diveniente", in una parola, è ciò che gli antichi definivano un peccato di "ubris".


«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno»


2. Una seconda conseguenza consiste nell'impossibilità di evitare la contraddizione e, conseguentemente, nell'incapacità di dare credibilità all'atto di fede.


Se l'atto di fede, per essere autentico, deve essere emancipato dal contenuto immutabile ed eterno del dogma per essere costantemente aperto al processo evolutivo della storia, esso non potrà rivendicare alcuna assolutizzazione, con la conseguenza di cadere in contraddizione con se stesso. Ciò che incontro oggi non è ciò che incontrerò domani, poiché, secondo il noto aforisma di Eraclito, non si scende due volte nello stesso fiume.


Ecco un esempio di contraddizione. Riportiamo le parole del papa a proposito del Concilio Vaticano II: 
«Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile».

Notiamo anzitutto un' idea quanto meno inedita; da un lato si afferma che il Vaticano II è una rilettura dell'Evangelo alla luce della cultura contemporanea; dall'altro si dice che tale rilettura (rinnovamento) viene dall'Evangelo stesso; sembrerebbe dunque doversi ammettere la coincidenza tra "cultura contemporanea" ed "Evangelo", il che dovrebbe perlomeno essere dimostrato.


A prescindere da ciò, quello che appare veramente insolito è la pretesa di attribuire la proprietà dell' "assoluta irreversibilità" alla dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell'oggi e propria del Concilio. Di quale "oggi" stiamo parlando? In effetti, l'"oggi" non è altro che il breve istante racchiuso tra ieri e domani e, secondo il pensiero del papa, non può essere "cristallizzato". Perché mai il Vaticano II dovrebbe fare eccezione? «C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato (...) Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi». Immersi nel medesimo divenire della storia sarebbero "cristallizzati e autoreferenziali" sia coloro che si appellassero a Nicea sia coloro che si appellassero al Vaticano II; chi potrebbe negare che il 2013 è assai differente al 1960? Il papa ci informa che i discorsi da lui pronunciati a Rio de Janeiro sono già passati: «Quel che ho detto a Rio ha un valore temporale. C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato». Che dire dunque di un Concilio celebrato oltre mezzo secolo fa? Ad esempio, che cosa può dire all'uomo di oggi una costituzione pastorale che parla agli uomini degli anni '50? Che cosa dirà al seminarista di oggi un decreto che parla ai seminaristi e ai superiori della Chiesa cosiddetta "pacelliana"?


3. Il concetto di atto di fede incide necessariamente sulla spiritualità.


«L’aura mistica non definisce mai i suoi bordi, non completa il pensiero. Il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto. Ci sono state epoche nella Compagnia nelle quali si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico: questa deformazione ha generato l’Epitome Instituti»


Il papa si riferisce particolarmente alla spiritualità del gesuita, ma tali considerazioni possono valere per ogni cristiano. La distinzione tra "fede dogmatica" e "fede storico-dinamica" trova un parallelo nella teologia spirituale; alla "fede dogmatica" corrisponde la dimensione "istruttivo-ascetica", caratterizzata da un pensiero chiuso e rigido, mentre alla "fede storico-dinamica" corrisponde la dimensione o aura "mistica", caratterizzata da un pensiero "incompleto" non già nel senso di "difettoso", bensì non definito da limiti precisi, aperto e "in divenire". Siamo nuovamente in presenza di un pensiero nuovo e affrancato dal linguaggio dalla teologia spirituale tradizionale.


Gli autori cattolici non hanno mai posto in antitesi l'ascetica e la mistica, bensì hanno sempre ritento questi due aspetti egualmente necessari alla vita di perfezione cristiana. L'ascesi conduce l'anima, per le vie purgativa e illuminativa, alla contemplazione acquisita; la mistica la solleva per la via contemplativa fino al matrimonio spirituale.


Scopriamo invece che la mistica è uno stato che chiunque può vivere senza alcuna preparazione; esso non si raggiunge attraverso l'ascesi, ma si sceglie in alternativa a questo.


Una nuova concezione dell'atto di fede sta infatti alla base di una nuova concezione della perfezione cristiana. Come l'atto di fede non consiste nell'adesione dell'intelletto elevato dalla grazia alla verità immutabile di Dio, ma nell'esperienza di Dio nel divenire della storia, così la vita di perfezione cristiana non consiste nell'uscire da se stessi (ascesi) per lasciarsi inabitare da Dio (mistica), bensì nel (pensare di) vivere a contatto con Dio semplicemente nella propria condizione.


«Ignazio è un mistico, non un asceta. Mi arrabbio molto quando sento dire che gli Esercizi spirituali sono ignaziani solamente perché sono fatti in silenzio. In realtà gli Esercizi possono essere perfettamente ignaziani anche nella vita corrente e senza il silenzio. Quella che sottolinea l’ascetismo, il silenzio e la penitenza è una corrente deformata che si è pure diffusa nella Compagnia, specialmente in ambito spagnolo. Io sono vicino invece alla corrente mistica, quella di Louis Lallemant e di Jean-Joseph Surin. E Favre era un mistico».

Il papa si "arrabbia" quando sente parlare di ascesi a proposito della spiritualità di sant'Ignazio; chissà cosa avrebbero detto san Francesco d'Assisi, santa Teresa d'Avila e lo stesso sant'Ignazio se fosse stato loro comunicato che ascesi, silenzio e preghiera sono elementi deformanti della spiritualità cristiana e non conducono in alcun modo all'unione mistica con Dio. Probabilmente avrebbero sussultato; ma il loro "oggi" è tramontato, e l'"oggi" di oggi vuole diversamente.


Non ci resta che pregare affinché quest'oggi tramonti in fretta e lasci spazio ad un domani più conforme alla fede di sempre.
DR
per MiL

14 commenti:

  1. Articolo che con la premessa metodologica permette analisi profonde e dialogo
    Grazie DR.

    http://pellegrininellaverita.wordpress.com/2013/09/30/intervista-a-papa-francesco-una-risposta-a-messa-in-latino/

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  2. Io mi domando cosa avrebbe pensato di te il Gesù della semplicità. Dell'Amore (volutamente maiuscolo). E mi chiedo...sarebbe rimasto con te a discutere di sofismi dogmatici sulle parole di Pietro? O ti avrebbe chiesto umiltà, animo mite e unione con Dio? Si è infine confuso il dito con la luna indicata dal dito stesso.
    Marco

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  3. ??? Non ho parole... Se Gesù non è ora nella sua Chiesa guidata dal Santo Padre non è. Non può "essere stato" se è risorto è ora, quindi devo poter entrare in rapporto con Lui ora, non è un oggetto di sapienza intellettuale, ma una persona.
    Mi spiace siate così lontani da vivere "una cum papa nostro"...
    Saluti
    Flavio

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  4. L'effetto, pur non voluto, è devastante: nemmeno un Papa è in grado di conferire certezze: siamo in una società liquida in cui la religione "è in cammino".

    Da anni la Chiesa pur insegnando ha smesso di condannare l'errore.

    Ora anche l'insegnamento è confuso!

    Si parla della fede come potrebbe divulgarla Maria De Filippi, un qualsiasi luternao oppure anche un nemico della Fede.

    BASTA!

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  5. Il citato sant'Agostino non ha soltanto l 'aspetto del "cercatore di verità" quasi a tentoni di cui le "Confessioni" sono la grande e toccante testimonianza; in lui c'è l'adesione conclusiva alla Chiesa come realtà "organica" alla quale alla fine aderisce come approdo della sua ricerca, fino a diventare vescovo, e vescovo autorevole, impegnato nella dura lotta contro l'eresia donatista, con i suoi aspetti socialmente virulenti. Per quanto ne so "La città di Dio" rappresenta l'affermazione della presenza "forte" della chiesa nella storia della civiltà, con il superamento del Paganesimo come susseguirsi di errori, anche nel senso dell'"errare" come vagare di qua e di là.. In più c'è l'aspetto del filone pessimista: i regni del mondo come "latrocinia magna", l'umanità come "massa damnata".Da qui la lotta allo spasimo di Agostino contro il Pelagianesimo. Di solito queste sue posizioni vengono presentate come un residuo del Manicheismo giovanile; personalmente credo che Agostino abbia aderito al Manicheismo perché l'istanza pessimista era già presente in lui fin dall'inizio: consapevolezza di quanta parte la sregolatezza della concupiscenza, l'angoscia e la morte abbiano nelle vita degli uomini e dell'umanità intera. Per cui il suo tendere verso Dio come fonte suprema dell'amore e oggetto d'amore parte come dal fondo di un pozzo, quello della "valle di lacrime". "De profundis ad te Domine clamavi".
    Personalmente ho parecchi dubbi in materia di casistica etica e rifletto e studio da molti anni questioni "estrema" di bioetica e biopolitica: lo dico per non impancarmi ad "arrivato religiosamente" e intransigente difensore della Tradizione..
    Però sono molto perplesso, direi anzi contrariato da un certo ottimismo buonista-similfrancescano con cui molti si allineano alle istanze ecologiste-progressiste, glissando sul lato oscuro del mondo. La Chiesa non avrebbe dovuto costituire la roccia dei dogmi se non ci fossero state e non ci fossero le tempeste del mondo. Anche l'estetica ecclesiale di oggi mi sembra improntata a un ottimismo ingenuo, semplificatore e direi anche spesso un po' becero, nel genere "Chiesa di Dio, popolo in festa", la confessione come "festa del ritorno alla casa del padre" ( anziché luogo del perdono dopo l'offesa a Dio, seguita da pentimento e compunzione, quasi una "convalescenza" ).
    Credo che senza aver presente questa situazione di oscurità e di tempesta l'uomo colto comtemporaneo non possa comprendere il senso delle encicliche degli ultimi due secoli: quelle antiliberali anche per l'intransigenza del loro linguaggio, quelli mariani per il loro aspetto di apparente concessione a un devozionalismo antiquato. Quei dogmi dovrebbero essere meglio spiegati e debitamente contestualizzati; così occorrerebbe metterli sullo sfondo della repressione anticattolica durante la rivoluzione, della deportazione dei papi sotto Napoleone, della fuga di Pio IX da Roma in preda alle convulsioni rivoluzionarie.
    Quanto ai dogmi mariani, per L'Assunzione occcorre pensare alle distruzioni e alle stragi delle guerre mondiali e dall'incombente pericolo dell'ateismo comunista e della guerra atomica, nonché ai segni dello sgretolamento della moralità in Occidente.
    Quanto mai perplessoni hanno lasciato lo dichiarazioni "La Chiesa non è mai sta tanto bene come oggi." Forse nel senso che la demolizione delle ritenute sovrastrutture lascerebbe libero campo a una nuova costruzione. Mah!

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  6. Domanda all'autore dell'articolo nonché commentatore scrupoloso della papale intervista: se la Rivelazione si chiude con la morte dell'ultimo apostolo, secondo Lei l'ultimo apostolo, morendo, credeva nell'Immacolata Concezione della Vergine Maria o nell'infallibilità ex cathedra di san Clemente Romano??
    La Rivelazione non continua forse, coerentemente e ininterrottamente, anche nel tempo successivo? Non continua forse in quel caposaldo vitale della teologia, anche tradizionale, che si chiama "evoluzione del dogma"?

    Per esempio con Tommaso d'Aquino, il quale sosteneva che perfino il Papa può cadere nell'eresia e dunque perdere la sua sacra autorità e non essere più riconosciuto come legittimo Papa.
    Se la pensate così perché non la smettete di occuparvi di Francesco e non ve ne andate a Econe?

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    1. Ma lei capisce veramente quello di cui sta parlando?

      "L'economia cristiana, in quanto è Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai e non c'è da aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo " (Dei Verbum, 4).

      Questo è il Vaticano II!!!!!
      L' "evoluzione dei dogmi" non c'entra nulla con quello che dice lei. Tutta la Rivelazione è compiuta alla morte dell'ultimo apostolo, sicché CERTAMENTE l'ultimo apostolo, che poi è San Giovanni, credeva all'infallibilità del romano pontefice e all'Immacolata Concezione!

      E ci mancherebbe pure che la Chiesa s'è inventata i dogmi lungo la storia!!! Caso mai li ha esplicitati!

      Siete modernisti purissimi e neppure lo sapete

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    2. e magari sapevano che la schiavitù non andava bene e San Paolo quando dice di trattare bene gli schiavi e non di liberarli si stava sbagliando...
      il secondo anonimo espande talmente tanto l'idea di "apostolo che tutto conosce" che rendere in-credibile l'intero impianto della dottrina cattolica. E crede l'incredibile è credere nulla, cioè nulla come credere!

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    3. La Rivelazione si conclude con la morte dell'ultimo apostolo, confluisce nel depositum fidei e giunge a noi attravreso la tradizione e la sacra scrittura; se il domma dell'Immacolata o dell'infallibilità pertina non appartengono al depositum, semplicemente non sono dogmi! sono bugie inventate dalla Chiesa. Questa è teoria modenista stricto sensu.

      Ma come può credere che gli apostoli, tra i quali Giovanni che visse con la beatissima Vergine, e sotto i cui occhi il corpo santissimo della Madre si levò verso il cielo ignorassero la sua immacolata concezione o la sua gloriosa assunzione?
      E il primato? certo che gli apostoli riconoscevano il primato di pietro che egli ha legato alla sede romana per glorioso martirio.

      Ma questo è l'ABC del catechismo!!!!

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  7. Francamente,più che 'La città di Dio' a me pare'La città del sole'leggendo oggi la sconcertante intervista a scalfari su repubblica,laddove PF afferma che'Dio non è cattolico'beh,a questo punto non so più a cosa appellarmi,siccome a questa intervista vis-a-vis ne seguiranno altre,dove sta il Magistero della chiesa in tutto ciò,se si perde tempo in telefonate,lettere,show plateali,inviti a rabbini con cui concelebrava incontri ecumenici,mi chiedo dove stia andando la chiesa cattolica e se ancora esiste qualcosa di cattolico in essa,visto che il capo tutto vuol fare piuttosto che il Papa,e,please,mai più discorsi di Spirito Santo e continuità apostolica,di balle ne raccontano già abbastanza i'politici'del nostro disgraziatissimo paese.

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  8. Sign. Dario, la chiusura della Rivelazione con la morte dell'ultimo apostolo è fuori discussione. Il processo di comprensione e sviluppo o di esplicitazione del dogma è un'altra cosa. Non sono questi i problemi, o la citazione del Vaticano I sulla fede (che a differenza di quanto dice l'autore non è smentita o contraddetta, anzi non c'entra niente con la risposta del Papa) o i dogmi (che il Papa non nega, ma parla d'altro). L'articolo si apre con delle premesse condivisibili, anche se scontate, prosegue con delle argomentazioni che non condivido e con domande lecite. Non mi è piaciuta la conclusione ("Non ci resta che pregare affinché quest'oggi tramonti in fretta e lasci spazio ad un domani più conforme alla fede di sempre") perchè tradisce il pregiudizio tradizionalista di fondo. Secondo me, le argomentazioni sono tutte viziate da dubbi legittimi ma che denotano una scarsa preparazione teologica. E mi sorprende molto che alcune parole del Papa, che per me sono normalissime, siano così fraintese. Mi chiedo solo che visione di fede e di Chiesa abbiamo.
    Ad maiora

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    1. Le premesse non sono proprio condivisibili a mio parere... approfondimento al link comparso come primo commento.

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  9. Sig. anonimo, che chiude con ad Maiora, tanto per capirci,
    a me sembra che l'autore dell'articolo concluda nella maniera più logica, né ciò dovrebbe rattristare chi è in cammino continuo, il domani non può avverarsi che con la combustione dell'oggi in un mito del cronos, che divora i suoi figli inesorabilmente.
    se infatti non ammettiamo una filosophia perennis, che offra gli strumenti razionali per una teologia perennis in cui ciò che è dimostrato vero, vero rimane per sempre, perché affezionarsi al "magistero" attuale, sottoposto alla caducità dell'hic et nunc inesorabilmente superato, ma perché nò apertamente contraddetto dall'oggi di domani e così via... e perché allora non anche una nuova rivelazione, magari pneumatologica, che superi l'evento(perché non si dovrebbe più parlare di insegnamento) del Cristo storico, necessariamente relegato a 2013 o più anni fa, in un passato lontanissimo a noi non trasmesso infallibilmente dalla Chiesa, ma affidato alla ricerca(peraltro già a priori concepita come insoddisfacente e precaria) del singolo o del popolo in cammino(verso dove poi non si sa). Così si fa piazza pulita del domma, si fomenta la già proclamata forza del pensiero debole, ci si tuffa con tutti i due piedi nel relativismo scientifico e teoretico prima ancora che morale.
    Io mi domando: la teologia serve ancora a qualche cosa o non più, ed apro lo spazio ad una domanda che da tempo mi ritorna nella testolina quando sento parlare di esperienza mistica e personale del Signore,: che sia rimasto l'unico non visionario della terra? perché a me il Signore non si è mai mostrato per altra via che ex auditu,, non si è comunicato con certezza che nei sacramenti e mi sembra, sempre che la scrittura abbia in questo processo evolutivo una qualche autorità, che il Redentore abbia detto beati qui non viderunt et firmiter crediderunt, relativizzando alquanto la necessità di un incontro personale con il Signore.
    Nep.

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