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giovedì 20 giugno 2013

Perseveriamo nella devozione alla bellezza liturgica nel nome della Chiesa !

“…Sant'Ireneo diceva, verso la fine della sua esistenza, di non aver fatto altro nella vita che lasciare crescere e maturare quanto era stato seminato nella sua anima da Policarpo, discepolo di san Giovanni. 
In un punto memorabile della sua breve autobiografia, Joseph Ratzinger ci rivela come fin da bambino abbia imparato a vivere la liturgia, grazie al seme deposto in lui dai suoi genitori, che gli regalarono lo «Schott», cioè il messale tradotto in tedesco dal monaco benedettino Anselm Schott. 
Il frammento ha una bellezza germinale paragonabile a quella racchiusa nell'episodio della «Maddalena» nell'opera più importante di Proust: «Naturalmente, essendo bambino non comprendevo ogni dettaglio, ma il mio cammino con la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà che superava tutte le individualità e le generazioni, che diveniva motivo di meraviglia e di scoperta nuove». 
Questa concezione della liturgia come patrimonio ereditato dalla Tradizione, arricchito da apporti successivi che lo fanno crescere in modo organico, contrasta con alcune visioni contemporanee che preconizzano un sapere atomizzato, orfano di fondamenta e di vincoli saldi, facilmente adattabile alla circostanza concreta; un sapere, in definitiva, rabbiosamente «originale» – come se la tradizione non fosse la forma suprema di originalità, in quanto ci permette di vincolarci alle «origini» – che ha contaminato certe tendenze liturgiche, svuotando di senso il rito. 
Il seme che i genitori deposero in quel bambino avrebbe in seguito recato frutti in opere come Dio e il mondo, dove Ratzinger si preoccuperà di mostrare il senso della storicità della liturgia come dono consegnato da Cristo alla Chiesa, dono che cresce con essa e incita a «riscoprirla come una creatura vivente». 
A questa creatura vivente avrebbe dedicato Introduzione allo spirito della liturgia, un libro in cui – in continuità con il titolo classico di Guardini – Ratzinger rivendica il concetto di Tradizione, che non è statico, «ma che non si può neanche sminuire in una mera creatività arbitraria», approfondendo una concezione della liturgia come partecipazione all'incontro di Cristo con il Padre, in comunione con la Chiesa universale. 
Come il suo maestro Guardini, Ratzinger desidera che la liturgia si celebri «in modo più essenziale». 
E qui «essenzialità» non significa povertà, almeno non nel senso in cui alcuni hanno voluto anteporre la dimensione sociale alla celebrazione liturgica (ai quali Gesù risponde chiaramente nel brano evangelico dell'unzione di Betania); «essenzialità» significa «esigenza intima», ricerca di una purezza interiore che in nessun modo deve essere interpretata come purismo statico. 
Nell'attenzione per la liturgia dobbiamo inquadrare l'importanza — visibile per qualsiasi persona non completamente stordita dalla frivolezza — che Benedetto XVI attribuisce ai paramenti e, in modo particolare, agli ornamenti liturgici. 
Il sacerdote non sceglie tali ornamenti per un vezzo estetico: lo fa per rivestirsi di Cristo, quella «bellezza tanto antica e tanto nuova» di cui ci parlava sant'Agostino. 
Questo «rivestirsi di Cristo», concetto centrale dell'antropologia paolina, esige un processo di trasformazione interiore, un rinnovamento intimo dell'uomo che gli permetta di essere una sola cosa con Cristo, membro del suo corpo. 
Gli ornamenti liturgici rappresentano questo «rivestirsi di Cristo»: il sacerdote trascende la sua identità per divenire qualcun altro; e i fedeli che partecipano alla celebrazione ricordano che il cammino inaugurato con il Battesimo e alimentato con l'Eucaristia ci conduce alla casa celeste, dove saremo rivestiti con abiti nuovi, resi candidi nel sangue dell'Agnello. 
Così gli ornamenti liturgici sono «anticipazione della veste nuova, del corpo risuscitato di Gesù Cristo»; anticipazione e speranza della nostra stessa risurrezione, tappa definitiva e dimora permanente dell'esistenza umana. …” 
( Cfr. Le vesti liturgiche secondo Ratzinger Da "L'Osservatore Romano" del 26 giugno 2008 di Juan Manuel de Prada, da : http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/205468 

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«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio … cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia» 
"Non tanto facilmente entra nel club dei progressisti chi parla bene del passato. Ma al compromesso preferisco l'impopolarità." (Card. Giuseppe Siri). 
“La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi” (Benedetto XVI)
Perseveriamo con tutte le forze che la Provvidenza ci mette a disposizione nella devozione alla bellezza liturgica :  fonte sicura di santità e di obbedienza alla Chiesa di ieri, di oggi e di domani !


" Andiamo avanti ! " ( Benedetto XVI )

( A.C.)