Graziato dall’imperatore austriaco dopo dieci anni di carcere duro (otto dei quali nella fortezza morava dello Spielberg), lo sfortunato patriota saluzzese Silvio Pellico (1789-1854) visse gli ultimi anni della sua vita a Torino, bibliotecario e segretario nel palazzo dei marchesi di Barolo. E’ tutt’oggi famoso per il volumetto di memorie dal titolo Le mie prigioni, che – va chiarito – non ha alcun interesse di carattere politico, incentrato com’è sul suo itinerario di ritorno alla fede cattolica, dopo l’ubriacatura carbonara (e massonica, probabilmente) dei primi anni della Restaurazione.
Nessuno legge più, invece, le tragedie in versi (e giustamente, ivi comprendendo anche la sopravvalutata Francesca da Rimini) e le poesie religiose, che al contrario meriterebbero, a mio parere, una rilettura non frettolosa.
Riporto qui appresso un brano della lunga composizione (diciotto pagine a stampa) dal titolo “Le chiese” (in Poesie inedite, Torino, 1837, vol. I, pp. 20 sgg.); l’autore vi propone una rassegna affettuosa e commossa degli edifici sacri della sua vita, fra Saluzzo, Pinerolo, Torino, Lione, Milano, fino alla piccola cappella dello Spielberg. La metrica è ricchissima e assai variegata; il brano che ho scelto riguarda la chiesa pinerolese in cui, bambino, ricevette il sacramento della Cresima, e utilizza le classiche terzine “dantesche” di endecasillabi a rima incatenata.
«(...) Ah, noi pur dal Crisma santo
Confermati esultavamo,
E spogliar l’antico Adamo
Era saldo in noi desir! (...)
Mentre de' genitori i voti accesi
Sorgono per la prole benedetta,
Stanno i fanciulli all'alta pompa intesi,
E ciascun d'essi palpitando aspetta
Lo Spirto Santo e la percossa, donde
L'alma a patir per nobil opre è eletta.
All'unzïone, al tocco, alle profonde
Del Vescovo parole, il giovin core
Con proposti magnanimi risponde.
Mai paventato non avea il Signore,
Come il paventa in quest'istante, e mai
Non avea per Lui tanto arso d'amore!
Nessun dica al fanciul: «Tu obblïerai
Questo gran dì»: più non possibil crede
Volgere a colpa affascinati i rai: (...)
Al Crisma santo ei no, non mosse invano:
Però che in lui ritorna con possanza
Questa voce secreta: «Io son cristiano»!
E ripiglia la Croce, e al ciel s'avanza. (...)»
Palpitando i fanciulli aspettano, al culmine del sacro rito della Confermazione, “lo Spirto Santo e la percossa”. Tale percossa – in realtà, un lieve accenno di piccolo schiaffo, poco più che una carezza – faceva parte, in effetti, dei simboli del secondo Sacramento, prima della riforma post-conciliare che molto ha semplificato e – sembra a me – molto ha impoverito e banalizzato.
Il rito tradizionale rappresentava la traduzione liturgica della formula catechistica plurisecolare che recitava (n. 194 del Catechismo tridentino di San Pio V): “Quando il battezzato è unto dal Vescovo con il sacro crisma e vengono pronunciate le solenni parole (...) il battezzato acquista il vigore di una nuova virtù e comincia ad essere perfetto soldato di Gesù Cristo”.
I cresimandi, ognuno accompagnato dal padrino (o dalla madrina), erano schierati, i ragazzi a destra (lato del Vangelo), le ragazze a sinistra (lato dell’Epistola).
Il Vescovo, indossati i paramenti sacri, s’inginocchiava sul gradino più basso davanti all’altare e intonava il “Veni Creator Spiritus”.
Dopo una serie di preghiere in latino e un piccolo fervorino in vernacolo, stendeva le mani verso i cresimandi invocando su di loro i sette doni dello Spirito Santo; poi si accostava a ogni singolo (prima ai ragazzi, poi alle fanciulle) e col pollice della mano destra intinto nel Crisma ungeva la fronte di ognuno tracciandovi un segno di croce e pronunciando la formula: “Signo te signo Crucis et confirmo te Chrìsmate salutis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti”. “Amen”, rispondeva il cresimando, che a questo punto riceveva sulla guancia una sorta di buffetto (la “percossa”) accompagnata dalle parole “Pax tecum”.
I simboli sono trasparenti, e comunque erano perfettamente chiari ai piccoli fedeli, ai padrini e ai genitori: l’unzione in forma di croce sulla fronte significava che da allora in avanti il fanciullo, da vero soldato della Fede, avrebbe dovuto portare alta la fronte senza arrossire della Croce e senza alcun timore davanti ai nemici. Il lieve schiaffo faceva riferimento all’obbligo di sopportare, per la Fede, ogni affronto e ogni pena. Poi si cantava un’antifona, si salmodiava e si pregava; il Vescovo chiudeva con una bella orazione che faceva riferimento alla successione apostolica e concedeva la solenne benedizione; al termine, tutti insieme recitavano il Credo, il Pater noster e l’Ave Maria.
Nel rito riformato, abbreviata abbondantemente la cerimonia, eliminati il “Veni Creator” e le preghiere finali (parzialmente sostituite dal rinnovo delle promesse battesimali), sfrondate salmodie e antifone, scomparso ogni riferimento militaresco ma anche ogni accenno alla lotta e al martirio, ecco la formula consona e aggiornata: il Vescovo chiama per nome il cresimando, unge la sua fronte e dice: “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”. “Amen”, è la risposta. Il Vescovo augura: “La pace sia con te” e – al posto della percossa – “dà il segno di pace”. “E con il tuo spirito”, conclude il cresimato.
Uno scambio fra gentiluomini, insomma: una stretta di mano e via. “Percosse”, nemici, coraggio, affronti, pene, màrtiri e persecuzioni? Oh via, che bisogno c’è di spaventare giovani virgulti sereni e innocenti? C’è il rischio che gli passi l’appetito e non riescano a godersi la mangiata al ristorante e il servizio fotografico, che sono il vero clou della cerimonia. “Soldati di Cristo”, poi... Ma che cattivo gusto, in tempi di antimilitarismo decapitànico e cheguevariàno!
[L’amarezza è tanta e – credo – giustificata. Ma in chiusura di post mi piace accantonare per un momento la polemica liturgica e ridare la parola a Silvio Pellico e ai suoi ricordi di carcerato allo Spielberg, innamorato di Dio e della Fede:
«Grazie, chiesuola, a' prigionieri amica!
Da te emanava inenarrato incanto!
Da te riedea la mia fiducia antica
Nell'assistenza del tre volte Santo!
In te il perdon non mi costò fatica!
In te d'amore e di dolcezza ho pianto!
In te ne' tristi dì ripigliai lena,
E sino al termin sopportai mia pena!»]
[Le opere principali di Pellico – comprese Le mie prigioni e le Poesie inedite qui citate – sono scaricabili gratuitamente in Internet dal sito http://www.liberliber.it/biblioteca/p/pellico/index.htm]
Giuseppe
A dire il vero, ricordo che durante la mia cresima (NO) il buffetto sulla guancia c'è stato!
RispondiEliminaE il celebrante non era nemmeno un vecchio tradizionalista, anzi, era nientemeno che il mons. Casale di nota fama radical-progressista.
Scusate,
RispondiEliminaso di star per fare cio' che potrebbe essere letto come un piccolo "Abuso", ovvero il testo che lascero' ha solo un vaghissimo rapporto con il povero Silvio Pellico. Ho scelto questo spazio, perche' vorrei che, come primo coommento, abbia un po' di rilievo. Cio' di cui vi voglio rendere edotti e' che, a NATALE, tolta una sola Messa della FSSPX a mezzanotte, A NAPOLI NON è PREVISTA ALCUNA MESSA TRIDENTINA!
Questo è quanto
Caro Laico,
RispondiEliminami pare di poter arguire che col NO ognuno si sente autorizzato a fare quello che ritiene opportuno. Frutto di libertà? o di prevaricazione e confusione?
La notizia, comunque, m'incuriosisce: nella preparazione al Sacramento, ai cresimandi era stata fatta menzione del buffetto come simbolo delle sofferenze e del martirio che un soldato di Cristo avrebbe dovuto essere pronto ad affrontare?
(Naturalmente, gli elementi forniti nel post li ho ricavati dal testo del "Rituale Romano" riformato.)
Guarda Giuseppe, i ricordi sono flebili anche perchè parliamo di un avvenimento di circa 10 anni fa in cui avevo ben poca consapevolezza dell'atto che stavo per compiere. Ricordo l'accenno all'arruolamento tra i "soldati di Cristo", ma non credo vi fosse menzione di martiri e sofferenze.
RispondiEliminaVolendo avanzare una ipotesi, è probabile che quella celebrazione fosse una adeguata "trattativa" tra il mio parroco di allora, un santo parroco, e il vescovo catto-radical-progressista.
Ho scritto 10 anni...magari! Sono almeno una ventina!
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