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lunedì 7 dicembre 2009

Echi tridentini... in gastronomia: il tempura giapponese


La nostra rubrica sugli echi tridentini in letteratura ci dà molta soddisfazione ed orgoglio e dobbiamo ringraziare (in ordine alfabetico) Giuseppe e Jacopo per i contributi che condividono con noi. Il nostro scopo è palese: mostrare da un lato il profondissimo influsso della Liturgia di sempre sulle più alte manifestazioni dello spirito umano e al tempo stesso applicare, nel nostro piccolo, un'intuizione gramsciana: contrastare l'egemonia degli intellettuali organici al sistema (ossia gli ancora preponderanti, ancorché senescenti e sempre più sfiduciati, cantori della primavera del Concilio), mostrando anche attraverso la letteratura quale perdita incommensurabile sia stato l'abbandono della liturgia che ha innervato per due millenni la civiltà europea. Altro che "Messale povero"!

Ma l'influsso della Liturgia di sempre ha permeato in tanti secoli moltissime manifestazioni umane, che potremmo considerare 'arti minori': con questo post vogliamo iniziare una nuova rubrica dedicata agli influssi della liturgia gregoriana sulla gastronomia. Per farlo, ci affidiamo naturalmente ai contributi dei lettori: l'Italia è una miniera di piatti e ricette ispirati da cadenze dell'anno liturgico, da veglie d'astinenza o da banchetti delle feste.

Noi, per cominciare, vogliamo complicarci la vita ed andare a cercare gli echi tridentini dove nessuno si aspetterebbe di trovarli: in un paese lontanissimo, non cattolico, anzi nemmeno cristiano. Parliamo del Giappone, nazione dove il Cristianesimo fu perfino bandito e perseguitato per due secoli. Scopriremo, in un prossimo post, come un caposaldo della civiltà nipponica, la cerimonia del tè (Cha no yu - 茶の湯), abbia ad un certo punto tratto sotterranea ispirazione dalla composta solennità del rito cattolico.

Oggi, invece, vogliamo parlare del Tempura (天麩羅), un piatto molto diffuso in Giappone (e nei ristoranti nipponici di tutto il mondo), fatto con sottili strisce di verdura, pezzi di pesce o frutti di mare, passati in una pastella sottile e leggera di acqua ghiacciata e farina appena sbattuta, e infine fritti, tradizionalmente in olio di sesamo. Il risultato è una frittura leggerissima e croccante.

Ebbene: pochi sanno che il nome tempura deriva dalle Quatuor tempora del calendario liturgico tradizionale, quei giorni di una stessa settimana (mercoledì, venerdì e sabato) una per ognuna delle quattro stagioni - donde il nome - in cui eran prescritti digiuno, preghiera ed astinenza. Per inciso: una delle tante sciagurate scelte montiniane (o per meglio dire bugniniane: il Papa spesso manco sapeva quel che combinava il famigerato Consilium che devastò la liturgia) fu l'abolizione delle Quattro tempora. Le quali sono già grosso modo attestate da Papa S. Callisto all'inizio del III secolo (alla faccia dell'archeologismo!); prevedevano da 3 a 5 letture prima del Vangelo (alla faccia del maggior tesoro scritturale del novus ordo); inoltre, essendo giorni dedicati a consacrare a Dio le stagioni e i lavori dei campi, avevano un sapore ecologico ante literam, che sarebbe stato estremamente opportuno conservare in questi tempi. E invece, furon come detto aboliti; o meglio: col tipico sistema invalso in quegli sciagurati anni '60-'70, si sancì dapprima che non v'era più obbligo di digiuno o astinenza in quei giorni (decreto Paenitemini di Paolo VI, 1966); poi, con la revisione del calendario liturgico del 1969, senza alcuna espressa abolizione, si rimandò alle varie conferenze episcopali di disciplinare date e cerimonie delle quattro tempora e delle rogazioni... l'esito sappiamo quale è stato: la loro sparizione!

Ma torniamo al Giappone: i primi missionari (portoghesi) nel Paese del Sol Levante, si trovarono dinanzi alla necessità di consumare pasti di magro, ossia senza carne, nei giorni di astinenza delle Quattro tempora. Insegnarono quindi ai loro cuochi indigeni a preparare semplici verdure e pesci impastellati e fritti nell'olio: metodo di cottura allora sconosciuto in Giappone. Questa parca pietanza delle Tempora divenne il tempura e si diffuse per tutto l'arcipelago nipponico. Oggi lo ritroviamo nei ristoranti giapponesi delle nostre città e solo grazie a quei ristoratori espatriati è rimasto qualcosa, in un paese cattolico!, della tradizione liturgica della Quattro tempora.

A proposito: quest'anno la Tempora di Avvento cade nei giorni 16, 18 e 19 dicembre. Se proprio non voleste digiunare, cercate almeno un ristorante nipponico...

10 commenti:

  1. E' etimologia controversa. La soluzione indicata dalla Redazione è solo una delle possibili.

    Secondo altri il termine deriverebbe dal verbo portoghese "temperar", nel senso di "indurire friggendo" o nel senso di "aggiungere spezie" (le quali ultime diconsi "tempero").

    Altri ancora lo riferiscono all'iberico (portoghese e spagnolo) "templo", cioè "tempio" (ma qui il nesso è più fumoso del fritto).

    Gli ideogrammi sono stati scelti unicamente per la resa sonora, ma è curioso notare che il primo dei tre significa "cielo" (anche nel senso di sede divina).

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  2. A favore dell'etimologia indicata nel post stanno però i seguenti elementi:

    1) Posto che è assodato che il termine (come il piatto) è di derivazione occidentale, teniamo presente che i primi occidentali giunti in Giappone (prima ancora dei mercanti) furono i missionari.

    2) La ricetta nasce esclusivamente per friggere verdura e pesce (non carne, se non in versioni moderne per turisti americani). Ossia ingredienti perfettamente compatibili con l'obbligo di astinenza.

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  3. Senz'altro verosimile è che il termine sia stato introdotto in Giappone dai missionari portoghesi. Il giapponese conserva del resto svariati vocaboli di origine portoghese, probabilmente introdotti da quei primi missionari. Vero è però che non si tratta necessariamente di termini di origine religiosa (basti pensare a "chokoredo", per "cioccolato").

    L'idea di una derivazione da "tempora", comunque, è tutt'altro che peregrina (ancorché, come spesso accade nel mondo etimologie, ipotetica): l'influsso del Cristianesimo sulla cultura Giapponese fu più robusto di quel che spesso si pensa (e di quel che son disposti a concedere i nipponici stessi). Osservando con attenzione i gesti della cerimonia del tè, i cultori del Vetus noteranno qualcosa di familiare (e forse qualche lezione da un buon maestro di Sado farebbe un gran bene ai liturgisti e ai liturganti di casa nostra).

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  4. "Osservando con attenzione i gesti della cerimonia del tè, i cultori del Vetus noteranno qualcosa di familiare": ...ma così non vale! Non si può stuzzicare in questo modo l'altrui curiosità e poi lasciarla insoddisfatta!!!! :-)

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  5. Tra alcuni gesti della Cerimonia del tè e alcuni gesti della Messa antica vi è una singolare corrispondenza. Viene dunque da chiedersi (e c'è chi se lo è chiesto) se all'epoca in cui tale arte è arrivata alla sua piena maturità formale - tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo - non abbia avuto luogo qualche "misterioso prestito" di natura estetico formale.
    Suggestivi indizi non mancano. Si sa, ad esempio, che nel Giappone del XVII secolo i maestri del tè cristiani furono sorprendentemente numerosi. Nell'intima cerchia del grande formalizzatore dell'arte del tè, Sen no Rikyu, si contano svariati cristiani: Takayama Ukon, Shibayama Kenmotsu, Seta Kamon, Oda Yuraku e Gamo Ujisato, tutti esponenti dell'alta aristocrazia nipponica. Pare inoltre che Furuta Oribe, esponente della piccola nobiltà, "successore" di Rikyu e fondatore dell'omonima scuola di tè, fosse un "kakure kirishitan", cioè un cristiano occulto (tra i simboli caratteristici di Oribe il "dieci" giapponese, cioè la croce). Certo è che negli ambienti dell'aristocrazia militare nei quali la cerimonia del tè ricevette il suo definitivo assetto la penetrazione del cristianesimo fu robusta e profonda.

    Di qui ad argomentare l'esistenza di un influsso diretto del rito cattolico more antiquo sulla prassi cerimoniale del Sado - l'arte del tè - il passo è tutt'altro che breve. Ma chiunque abbia assistito a una cerimonia del tè e abbia osservato con attenzione i gesti con cui le tazze vengono lavate, pulite, riempite, sollevate, appoggiate, e il modo in cui tutti gli altri strumenti vengono disposti e adoperati, oltre che la cura "religiosa" e l'estrema concentrazione nella quale l'intero processo è immerso, non può non cogliere impressionanti affinità (e non può non avvertire profondo rammarico per la perdita del sublime patrimonio di parole e di atti splendidamente formalizzati che caratterizzava il Vetus Ordo).

    Se sommiamo i dati storici circa il numero e la qualità dei maestri del tè cristiani alle analogie formali e, direi, "atmosferiche" che la cerimonia rivela, l'ipotesi che l'antica messa gregoriana abbia offerto più di una suggestione allo sviluppo del Sado, acquista qualche spessore.

    Certo è che, come dicevo, se mandassimo un po' dei nostri liturganti arrembanti a lezione di Sado, ne riavremmo ottimi celebranti.

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  6. Acc., Noonumos: stai anticipando il nostro prossimo eco tridentino culinario. Vorrà dire che riporteremo questo tuo erudito commento in quel prossimo post.

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  7. Be', l'8 dicembre un omaggio agli amici nifonici andava fatto: mentre da noi si celebra l'Immacolata, nella tradizione buddista di colà oggi si celebra la festa più importante, quella del risveglio, in altre parole il giorno in cui il Buddha Gautama avrebbe avuto l'Illuminazione (nessun sincretismo, sia chiaro! Solo indicative coincidenze astronomiche).

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  8. Un'obiezione da considerare, comunque, è quella che la cucina giapponese era ed è in massima parte "di magro", sicché è difficile pensare che per i missionari occidentali quello di reperire cibo adatto alle "Tempora" fosse un problema (è vero che nel Kyushu - dove essi per lo più operavano - si consuma, per tradizione carne equina, ma è anche vero che per tradizione la si consuma saltuariamente).

    P.S. Gli hapax del vostro "Verifica parola" sono in genere plausibili e gustosi.

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  9. Al di là del mio dissenso ideologico dall'idea-base del post (e del blog), mi devo complimentare per questo articolo ben fatto (personalmente avevo già orecchiato che il Tempura derivasse dalle "Quattro Tempora" [così di solito vengono volgarizzate!], ma così mi offrite un ottimo riscontro.
    Devo anche dire che, nonostante il mio giudizio di gran lunga positivo sulla riforma liturgica, non ho alcuna remora nel dire che la banalizzazione dei segni penitenziali (quaresimali e non), lungi da favorire una loro migliore valenza spirituale, ha portato alla loro sempre crescente dimenticanza. Però, per fortuna, da noi le Rogazioni si fanno ancora.

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  10. si vogliamo tutti una messa tradizionale :-D ! yeahhhhh! una messa più vintage ;) !

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La Redazione