Nato a Sant’Agata di Militello nel 1933 (morto a Milano nel 2012), Vincenzo Cònsolo è considerato uno dei più validi fra gli scrittori italiani viventi; in particolare, a me sembra interessante il romanzo del ’76 dal titolo Il sorriso dell’ignoto marinaio, e decisamente bello Nottetempo, casa per casa del 1992 (Oscar Mondadori).
Spigoloso ma dotato di originalità e di carattere, Consolo rivendica con coerenza una totale estraneità alla fede cattolica, abbandonata fin dall’adolescenza. Entra però a buon diritto, in questa nostra rassegna, il suo Requiem per le vittime della mafia, che risale al 1993 (nell’anno precedente erano stati assassinati, con gli agenti di scorta e non solo: Giovanni Falcone il 23 maggio e Paolo Borsellino il 19 luglio).
Si tratta della traduzione in italiano – in una lingua, peraltro, di registro alto, con venature arcaiche, arricchita da parole provenienti dalla tradizione dialettale siciliana – dei testi latini della Messa dei defunti e del rito delle esequie, musicata da un gruppo di giovani compositori ed eseguita per la prima volta nella cattedrale di Palermo il 27 marzo del
’93. Per l’esattezza, l’Introito e il Kyrie furono affidati a Lorenzo Ferrero, il Dies irae a Carlo Galante, l’Offertorio a Paolo Arcà, il Sanctus a Matteo D’Amico, l’Agnus Dei a Giovanni Sollima, il Communio (Lux aeterna) a Marco Betta, il Libera me Domine a Marco Tutino (ideatore dell’iniziativa e coordinatore).
Per dare un’idea della robustezza e dell’efficacia dell’impasto linguistico elaborato per l’occasione da Vincenzo Consolo, riportiamo qui di seguito il testo del Dies irae, dell’Offertorio (Domine Jesu Christe) e del Libera me Domine:
Spigoloso ma dotato di originalità e di carattere, Consolo rivendica con coerenza una totale estraneità alla fede cattolica, abbandonata fin dall’adolescenza. Entra però a buon diritto, in questa nostra rassegna, il suo Requiem per le vittime della mafia, che risale al 1993 (nell’anno precedente erano stati assassinati, con gli agenti di scorta e non solo: Giovanni Falcone il 23 maggio e Paolo Borsellino il 19 luglio).
Si tratta della traduzione in italiano – in una lingua, peraltro, di registro alto, con venature arcaiche, arricchita da parole provenienti dalla tradizione dialettale siciliana – dei testi latini della Messa dei defunti e del rito delle esequie, musicata da un gruppo di giovani compositori ed eseguita per la prima volta nella cattedrale di Palermo il 27 marzo del
’93. Per l’esattezza, l’Introito e il Kyrie furono affidati a Lorenzo Ferrero, il Dies irae a Carlo Galante, l’Offertorio a Paolo Arcà, il Sanctus a Matteo D’Amico, l’Agnus Dei a Giovanni Sollima, il Communio (Lux aeterna) a Marco Betta, il Libera me Domine a Marco Tutino (ideatore dell’iniziativa e coordinatore).
Per dare un’idea della robustezza e dell’efficacia dell’impasto linguistico elaborato per l’occasione da Vincenzo Consolo, riportiamo qui di seguito il testo del Dies irae, dell’Offertorio (Domine Jesu Christe) e del Libera me Domine:
*
Il giorno dell’ira, giorno tremendo,
in bagliore finirà questo mondo,
disse David, profetò la Sibilla.
Rigore, attasso, tremore d’ossa
allor che il Giudice dall’alto seggio
fredda la mente, grave inquisirà.
Lancia la tromba orrendo suono
per ogni tomba dissolta, remota,
suscita, spinge davanti al Trono.
Stupirà Morte, stupirà Natura
quando s’alza, risorge il sepolto
per la sentenza del Giudice sommo.
Implacabile denunzia quel libro
dove errori, peccati son scritti:
istruttoria del misero mondo.
E quell’occhio del Giudice assiso
svelerà colpe oscure, rimosse:
nulla, nessuno rimane impunito.
Il giorno dell’ira, giorno tremendo,
in fragore finirà questo mondo,
disse David, profetò la Sibilla.
Me meschino, muto, impetrato
qual difensore potrà discolpare
se solo il giusto sarà perdonato?
O Maestà, o tremendo Potere,
che per tua grazia salvi chi salvi,
salva me, fiumara di grazia.
Gesù d’amore, fratello, perdona
me artefice del tuo calvario,
non dannarmi quel giorno fatale.
Giusto, Giudice, d’esatta scolenza,
concedi grazia, rimetti mia pena
prima che giunga l’estremo verdetto.
Colpevole, piango, gemo, làstino,
vampe, sudori segnano il volto,
proscioglimi, Dio, ti supplico.
È miserevole la mia istanza,
ma Tu, Magnanimo, dalle valenza:
no, non mi consumi fiamma di zolfo.
Tu separami dall’orda dannata,
Tu aggregami alla schiera beata,
ponimi in alto, Dio, in salvamento.
Scacciàti nel baratro ardente
i malvagi da Te maledetti,
voca me, o Signore, nel cielo,
dammi infine la pace, l’abènto.
Il giorno dell’ira, giorno tremendo,
in faville finirà questo mondo,
disse David, profetò la Sibilla.
Quell’altro giorno di pianto, clamore
in cui ognuno da cenere, fuoco
torna al giudizio, clemenza,
Dio, per loro, creature di pena,
soccorso, Cristo, umano fratello.
Pace e luce concedi, e riposo.
in bagliore finirà questo mondo,
disse David, profetò la Sibilla.
Rigore, attasso, tremore d’ossa
allor che il Giudice dall’alto seggio
fredda la mente, grave inquisirà.
Lancia la tromba orrendo suono
per ogni tomba dissolta, remota,
suscita, spinge davanti al Trono.
Stupirà Morte, stupirà Natura
quando s’alza, risorge il sepolto
per la sentenza del Giudice sommo.
Implacabile denunzia quel libro
dove errori, peccati son scritti:
istruttoria del misero mondo.
E quell’occhio del Giudice assiso
svelerà colpe oscure, rimosse:
nulla, nessuno rimane impunito.
Il giorno dell’ira, giorno tremendo,
in fragore finirà questo mondo,
disse David, profetò la Sibilla.
Me meschino, muto, impetrato
qual difensore potrà discolpare
se solo il giusto sarà perdonato?
O Maestà, o tremendo Potere,
che per tua grazia salvi chi salvi,
salva me, fiumara di grazia.
Gesù d’amore, fratello, perdona
me artefice del tuo calvario,
non dannarmi quel giorno fatale.
Giusto, Giudice, d’esatta scolenza,
concedi grazia, rimetti mia pena
prima che giunga l’estremo verdetto.
Colpevole, piango, gemo, làstino,
vampe, sudori segnano il volto,
proscioglimi, Dio, ti supplico.
È miserevole la mia istanza,
ma Tu, Magnanimo, dalle valenza:
no, non mi consumi fiamma di zolfo.
Tu separami dall’orda dannata,
Tu aggregami alla schiera beata,
ponimi in alto, Dio, in salvamento.
Scacciàti nel baratro ardente
i malvagi da Te maledetti,
voca me, o Signore, nel cielo,
dammi infine la pace, l’abènto.
Il giorno dell’ira, giorno tremendo,
in faville finirà questo mondo,
disse David, profetò la Sibilla.
Quell’altro giorno di pianto, clamore
in cui ognuno da cenere, fuoco
torna al giudizio, clemenza,
Dio, per loro, creature di pena,
soccorso, Cristo, umano fratello.
Pace e luce concedi, e riposo.
*
O Tu Signore, o Cristo, di gloria
Re glorioso, dei nostri màrtiri
libera l’anima da grave pena
d’oscuro abisso, libera loro
da atroce strazio, non li dilanii
ordigno infame: il sant’alfiere
Michele arcangelo l’anime porti
a quella luce che Dio promise
alla pia stirpe di padre Abramo.
*
Vita eterna, Dio, non la morte
per me, l’ora, il giorno tremendo
quando cielo e terra si squarciano:
Tu appari nel tribunale del mondo
a leggere sentenze di fuoco.
Verga a verga io tremo, io temo
l’ira gelida sotto il processo,
quando cielo, terra sconquassano.
Ira, sciagura, rovina quel giorno,
quel giorno immenso, d’immensa pena.
Pace, pace, o Signore, riposo,
terso cielo per loro, luminoso.
[In attesa delle novità – Dio ce la mandi buona! – annunciate dalla Conferenza Episcopale Italiana a proposito del nuovo nuovissimo rito delle esequie, risfogliavo l’altro giorno il numero monografico della “Rivista liturgica” (n. 1, 2008) dedicato al tema “Celebrare con il Messale di Pio V”. Ammiravo la tenacia con cui Maurizio Barba, nel suo contributo alle pagine 142 sgg., insiste sulla straordinaria ricchezza del rito bugninico-riformato: tutte le preghiere tradizionali per i defunti vi hanno trovato posto, nulla è stato soppresso (o quasi...). Poi ripensavo al Requiem di Consolo e mi veniva voglia di argomentare: caro Barba, che un agnostico inossidabile, volendo rendere onore e memoria a due martiri di oggi, a due combattenti della legalità contro la barbarie, scelga senza esitare il testo latino della Tradizione e non degni di uno sguardo il “ricchissimo” repertorio post-conciliare; e che attinga agli esiti più alti e commossi proprio (ma guarda un po’!) traducendo i testi che la riforma annibalica ha brutalmente cancellato (il Dies irae e il Libera me Domine); questo fatto, forse piccolo ma indiscutibile, non dovrebbe essere assunto anch’esso nell’empireo dei “segni dei tempi”?]
Giuseppe
OT: piccolo appello per i fedeli non distratti come me.
RispondiEliminaQualcuno si è ricordato di ascoltare la Messa Tridentina su Radio Maria?
non c'è un link disponibile per sentire la registrazione?
(Purtroppo ho dimenticato l'orario di celebrazione, mi è sfuggita...ahimè! quando ricapiterà questa "cometa" radiofonica... ? :))
Valeria