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mercoledì 5 agosto 2009

Esercizi di stile: il curialese.

Nel 1947 Raymond Queneau pubblicò i suoi famosi Esercizi di stile: in 99 modalità stilistiche diverse, racconta lo stesso evento. Il Concilio era di là da venire e, così, uno degli 'esercizi' è in latino, mentre manca un testo in quel linguaggio insulso, vuotamente pomposo e anemico di significato, che dagli anni Sessanta è diventato la cifra distintiva di molta parte della prosa ecclesiale, a tutti i livelli (e specie ai più bassi): paradigma di una Chiesa che ritiene, in fondo, di non aver più molto da dire, e quel poco è meglio dirlo in forma sterilizzata, dubitativa, poco perspicua; richiamando magari ad ogni riga slogan e parole d'ordine (come autenticità, amore, solidarietà, ascolto, accoglienza, attenzione) ma stando attenti a che, concretamente, essi possano significare tutto, e il suo contrario. Ecco allora una piccolissima antologia di questo stile che, chissà perché, caratterizza i prelati di tendenza progressista-moderata (almeno i progressisti assatanati, alla don Farinella, non indulgono a queste meline ma parlan chiaro: forse perché non han niente da perdere, mentre gli 'arrivati' devono misurar le parole). Attenzione: la critica a quanto segue attiene esclusivamente a ragioni formali e stilistiche: il contenuto (se c'è) è talmente generico, vago, ariafrittesco, che vi si troverebbero d'accordo sia Metternich che Mazzini. Enjoy.


Da un'intervista al card. Tettamanzi a
La Stampa 17.7.09 (link)


«Non c’è futuro senza solidarietà, la strada della felicità passa per forza dalla sobrietà. Per essere davvero un popolo non possiamo basare la vita privata e pubblica sull’esagerazione, sul consumismo, sull’arricchimento solo materiale. Servono maggiore senso della misura e più accoglienza verso chi è bisognoso, malato, straniero. Accogliere l’altro richiede la disponibilità ad ascoltare, ad interpretare le esigenze vere, profonde, a fare passi avanti insieme. Insomma, costruire ponti invece di alzare muri. Quando si rifiuta l’accoglienza ci si ritira in se stessi e si pensa che tutto il mondo sia racchiuso nel proprio io. Riconoscere e mettere al centro la dignità umana consente di equilibrare le istanze della sicurezza e quelle dell’accoglienza. La vera integrazione passa dal riconoscimento dell’uguaglianza degli esseri umani».


- Dal voto in condotta della Gelmini alle polemiche sulla «generazione né, né», ossia sui giovani che non lavorano né studiano. Vede un’emergenza educativa?
«Sì. Continuiamo a giudicare gli adolescenti con i nostri occhi di adulti. Non entriamo nel loro modo di vedere la realtà, manca il coraggio di condividerne la vicenda umana. I giovani, a volte in maniera grezza o esagerata, esprimono esigenze che noi ignoriamo. La vera emergenza educativa non sono gli adolescenti, siamo noi adulti. Genitori, insegnanti, educatori non possono sottrarsi alle proprie responsabilità. Scarseggia la saggezza umile di mettersi alla pari con i ragazzi, mentre l’educazione deve essere una co-educazione perché se manca la condivisione non si ottiene alcun effetto positivo. Se non portiamo la luce della nostra esperienza nella zona grigia degli inattivi, rischiamo di perdere una generazione. Solo il dialogo e l’incontro fanno capire che c’è un valore nello studio, nel lavoro e che si diventa pienamente liberi solo se si è responsabili».

- Colpa anche degli esempi negativi che arrivano dalla vita pubblica?
«Certo servono nuovi stili di comportamento quotidiano. Bisogna puntare all’essenziale per investire sul capitale umano. I ragazzi sono molto più seri dei vuoti modelli ai quali si vorrebbe conformarli. Anche la Chiesa deve sempre testimoniare valori in grado di dare significato all’esistenza. Dobbiamo essere i primi a dimostrare impegno. Lo stile di vita di Gesù non era l’egoismo, ma la generosità verso tutti. Come suoi discepoli siamo tenuti ad essere disponibili e accoglienti. Per una società diversa, migliore di quella attuale serve sobrietà. Io davanti ai giovani mi sento un mendicante. Dobbiamo imparare da loro che saranno quel che sono, ma del resto anche noi una volta eravamo quello che eravamo».



Recensione dell'Arcivescovo Forte su Il Corriere 22.7.09

Una «Lettera ai cercatori di Dio», che parte dalle domande che ci accomunano tutti, credenti e non credenti, e vorrebbe proporre un itinerario possibile per raccogliere la sfida di Dio. L' hanno pubblicata di recente (Edizioni San Paolo, Dehoniane, Elledici, Paoline) i Vescovi italiani, con un linguaggio e uno stile che potrà apparire insolito a chi ha dei credenti - e in particolare dei pastori della Chiesa - l' idea di persone arroccate nelle loro certezze. Al contrario, la Lettera è un esempio dell' esercizio di porsi in ascolto delle domande vere, di quelle che non sono ripetizione di quanto già sei o conosci, ma vengono a te dall'altro: sta forse qui il carattere più intrigante di questo testo. L'altro rivela te a te stesso: come sottolinea il pensatore ebreo Edmond Jabès, è lui/lei che «ti permette di essere te stesso facendo di te uno straniero». Con la sua differenza, l'altro ti consente di scorgere il profilo della tua identità sullo sfondo oscuro della differenza. In questo senso, l'altro estraneo a noi stessi ci abita da sempre: siamo tutti «ostaggi dell'altro» (Emmanuel Levinas). Perciò la prima parola di ogni essere umano è quella lanciata a chi gli/le ha dato la vita: non «io», ma l'altro che mi accoglie. È in tal senso significativa l'ambivalenza del linguaggio dell'estraneità: il greco xenos, come il latino hospes, dice ad esempio tanto lo straniero, quanto l'ospite, addirittura significato anche col termine hostis, il nemico. Siamo, in realtà, tutti stranieri sulla terra che ci ospita, pellegrini in questo mondo: paroikoi, attendati nel viaggio breve o lungo della vita, debitori di noi stessi all'altro. La diversità dell' altro, se accolta con rispetto, ci genera alla verità di noi stessi, se rifiutata evidenzia la nostra alienazione. La sola arma per diventare noi stessi è allora quella di ascoltare le domande che l'altro, nuovo e diverso da noi, suscita in noi: la domanda vera ci spinge oltre la soglia della nostra solitudine, e proprio così è in grado di farci continuamente rinascere grazie al legame che essa rivela con l'origine che tutti ci accomuna, con lo sfondo misterioso su cui si stagliano e verso cui si muovono le esistenze nel mondo. L'accoglienza delle domande, che ci vengono dall'altro, diventa allora la via della costruzione di un essere umano più autentico, anzitutto per colui che le accoglie. In questo coraggio di lasciarci interrogare dalla verità delle domande, è Dio stesso - dice Jabès - ad avere «in permanenza libero accesso a casa mia». Perciò, la Lettera ai cercatori di Dio, proponendosi come uno strumento per stimolare la ricerca e l'incontro con Dio mistero del mondo, non poteva che partire da quelle domande, che ci fanno tutti pellegrini e cercatori dell' Altro. Testimoni della forza inquietante che si affaccia nella domanda, possiamo fare esperienza della fecondità di un incontro che non cancelli le differenze, ma le stimoli nella reciprocità. In questo senso la Lettera - destinata ovviamente anche alla lettura personale - vorrebbe essere anzitutto uno strumento e una proposta di dialogo, come è peraltro di ogni scritto che voglia costruire ponti fra le solitudini. Lo aveva compreso Platone nella memorabile critica della scrittura, contenuta nella parte finale del Fedro, lì dove insiste sul fatto che il vero ed autentico mezzo di comunicazione non è lo scritto, bensì l'oralità. Gli scritti non sono in grado di rispondere a nessuna domanda che venga posta loro; essi vanno nelle mani di tutti e non possono scegliere coloro ai quali si deve parlare e coloro per i quali bisogna invece tacere. Il libro, insiste Platone, «ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, perché non è capace di difendersi e di aiutarsi da solo». Da parte sua, la scrittura, ospitando la comunicazione orale in essa ripresa, può riscattarsi dal suo limite originario e divenire una forma di resistenza all'oblio e di superamento delle lontananze, se fatta oggetto di dialogo e di interpretazione. Quando il lettore avrà riconosciuto nel testo la memoria dell' altrui vissuto, allora lo scritto gli restituirà la conoscenza di se stesso come dono dell' altro, dello straniero che nella parola scritta lo ha visitato e lo abita. La scrittura ricordando salva, e tanto più lo fa quanto più entra nel dialogo vivo della trasmissione orale, della testimonianza diretta. Così essa ci educa a resistere all' oblio dell' umano che è in noi e a riconoscerci nell' altro, straniero e ospite, fino ad amarlo come nostro fratello in umanità, uniti davanti al Mistero. È quanto la «Lettera ai cercatori di Dio» vorrebbe provocare, mostrando come l' ascolto delle domande vere, coniugato all' esperienza dei testimoni, possa diventare condivisione dell' incontro con Dio, con l' altro, con gli altri. Un testo da leggere nella convinzione che potrà suscitare vita solo se sarà sottratto alla sua solitaria esistenza e troverà padri-madri che lo presentino, lo facciano oggetto di dialogo, di reciprocità, di amicizia. Anche così non si può che concordare con quanto affermava un coraggioso testimone di Cristo ai tempi della barbarie nazista, il pensatore italo-tedesco Romano Guardini: «Solo la vita accende la vita»!

29 commenti:

  1. scrivo questo commento qui perché non lo posso fare, giustamente, nel suo luogo.

    Non capisco come un sito con questo nome e che si occupa di queste tematiche pubblichi alcune per altro belle riflessioni agiografiche presentando figure di santi secondo il calendario ....nuovo!!!
    Ieri, San Domenico nel calendario antico qui è stata presentata la figura del Curato d'Ars che cade in un altro giorno. Per carità, va bene anche così, anche se non capisco per quale motivo lo si faccia.

    Antonello

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  2. Da ciò che si ricava dalle Sue risposte a proposito della coeducazione in quanto gli adulti non capirebbero le esigenze dei minori, bisognerebbe ricordare che il primo nucleo educativo è la famiglia e se i genitori non insegnano ai giovani a discernere il bene dal male, il buono dal cattivo e il giusto dall'ingiusto, se non rafforzano con il loro esempio la scelta della loro vita coniugale, se non ritornano ad essere pudici dinanzi ai figli senza sbandierare una falsa libertà sessuale, se riprendono ad essere leali non solo a parole ma anche nei fatti, i nostri giovani saranno meno turbati e confusi: la scuola potrà nel terreno già dissodato gettare le semenze migliori. Ma nè Scuola nè Chiesa possono sostituire i genitori ai quali Nostro Signore ha concesso particolarissima tutela con il IV Comandamento:" Onora il padre e la Madre"

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  3. Il Novelliere (versione vacanziere)5 agosto 2009 alle ore 14:43

    Un invito a nozze per poter dire finalmente: un certo "bloggherese" non manca, sia nei post che nei commenti.
    Ma questa è altra storia........
    o forse no?

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  4. Ronf, ronf, ronf.
    Come sempre, da quando agli inizi degli anni 70 invece di insegnare e formare solidamente alla fede si propongono aspirazioni ed elucubrazioni di taglio personale di cui. è oggi accertatao, non resta traccia alcuna nell'anima umana. Un bravo e "santo" frate francescano ha detto nell'omelia di ieri sul Curato d'Ars che a noi compete seminare e lavorare di ginocchia (pregare) al resto pensa lo Spirito Santo. La vita è breve!

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  5. Ad Antonello: hai ragione, vedremo di controllare con maggiore attenzione.

    Al Novelliere: se è così, che aspetti a scrivere qualche riga di parodia di 'bloggherese'?

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  6. Il Novelliere (versione vacanziere)5 agosto 2009 alle ore 15:25

    Posso farlo???
    Non dovete poi prendervela!!!
    E' una opinione (e sopra tutto vacanziera scherzosa e spensierata).

    Non lo fò ve la prendereste.

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  7. Mi sembra che dall'intervista al Cardinal Tettamanzi si ricavi che nessuno ha assolutamente piu' nulla da insegnare, tantomeno la Chiesa.

    Quanto al brano di Mons. Forte mi ricorda una frase di Jaques Lacan che ho letto anni or sono e che (piu' o meno) diceva "non darmi cio' che ti chiedo perche' non e' questo"...???!!....

    E' significativo come personaggi simili ritrovino la chiarezza espositiva solo quando si tratta di condannare i tradizionalisti.

    FdS

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  8. La condanna sarà pure esplicita, ma le loro argomentazioni, anche in quel caso, è puro fumo senza contenuto.

    Al Novelliere: prego, prego, attendiamo di leggere. Fai onore al tuo nickname...

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  9. A me colpisce che nel "curialese" si moltiplicano le belle parole e le frasi altisonanti, in un linguaggio di taglio socio-psicologico spinto e si nomini sempre meno il Signore Gesù

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  10. Che dire della recensione sulla
    «Lettera ai cercatori di Dio»?

    Bella, ma scritta per chi? Chi, che sta cercando Dio, verrà aiutato da questo trattatello? Sembra scritto per "dare la linea" ai credenti, più per chi credente non è. E la linea è: facciamo insieme un cammino.

    Perchè ormai nessuno comincia più dicendo: vi annuncio Gesù crocifisso e risorto. Oppure: ho ricevuto una grazia! Oppure: l'unica cosa che nella mia vita conta è di fidarmi di Gesù...

    No, non si può cominciare così. E allora non resta che camminare insieme, io tacendo quel che dovrei dire, o vivendolo, ma "senza esagerare", nel dubbio che io sia nell'errore... L'altro intanto mi dice tutto il bene che ha in sè, senza essere cristiano, anzi, soprattutto chi non è cristiano è così bravo, ammirevole, lontano dal peccato...

    La novità sarebbe appunto un linguaggio e uno stile che potrà apparire insolito a chi ha dei credenti - e in particolare dei pastori della Chiesa - l' idea di persone arroccate nelle loro certezze. Eh già, avere certezze è deleterio, meglio guardare con indifferenza l'apostasia silenziosa in atto.

    Al contrario, la Lettera è un esempio dell'esercizio di porsi in ascolto delle domande vere, di quelle che non sono ripetizione di quanto già sei o conosci, ma vengono a te dall'altro: sta forse qui il carattere più intrigante di questo testo. L'altro rivela te a te stesso: come sottolinea il pensatore ebreo Edmond Jabès, è lui/lei che «ti permette di essere te stesso facendo di te uno straniero».

    Io sapevo che fosse l'Infinitamente Altro a rivelarmi me stesso, ma evidentemente mi sbagliavo... Anche la Bonino o Pannella mi rivelano me stesso, nel loro cammino, nelle loro certezze... Amen
    Solo la vita accende la vita...

    rs

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  11. E' possibile che nella chiesa di oggi si parli poco chiaro, ma la risposta non è certo il tornare indietro ad epoche di chiusua integristica, di sottomissione dei fedeli ai preti, essi pure solo ridotti a funzionari del Sacro, intenti solo a sacramentalizzare (= il valore di una parrocchia era nel numero di prime comunioni), ma mai ad evangelizzare. Questo integrismo è morto con l'epoca di cui faceva rispecchiamento.
    Un'epoca dove veniva sminuito il ruolo della comunità locale, che mancava di ruolo creativo e propositivo e quando lo voleva assumere, veniva pesantemente conculcata nei suoi legittimi diritti nei confronti di una istituzione, che (col Vaticano primo) diventava in pratica antitradizionalmente monarchica, scimmiottando i Re Assoluti.
    Non era questo il primato di Pietro nella chiesa indivisa, come peraltro sapeva benissimo Ratzinger stesso.

    La lezione conciliare, che ha chiuso l'epoca costantiniana di pratica alleanza tono-altare, ci ha affidato due parole preziose: PARTECIPAZIONE e INCULTURAZIONE.
    Ad esse ci affidiamo per continuare a sperare, per tutti.

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  12. La lezione conciliare, che ha chiuso l'epoca costantiniana di pratica alleanza tono-altare, ci ha affidato due parole preziose: PARTECIPAZIONE e INCULTURAZIONE.

    -partecipazione a cosa e in Chi e per Chi?
    -inculturazione, giusto! Ma Cosa, quali sono i Fondamenti Universali a prescindere dalla "cultura" e validi per ogni cultura?

    Ad esse ci affidiamo per continuare a sperare, per tutti.

    a sperare cosa?
    In Chi?

    C'è un Nome troppo assente in ogni vostro discorso, caro Don

    Se "si è chiusa l'era costantiniana", trono-altare, con che cosa la sostituiamo?
    Con tante belle parole e tante 'mense' posticce?

    Se non ci sono più troni perché non ci sono più re o imperatori, c'è pur sempre un'Autorità che proviene da Dio. O no? Non è più vero neppure questo? Cosa mettiamo al posto dell'Autorità, l'anarchia?

    Ha presente cos'è un Altare? a cosa serve? Cosa succede? Con quali conseguenze?

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  13. Un'epoca dove veniva sminuito il ruolo della comunità locale,

    insomma la "nuova" Chiesa, la salvezza sta tutta nella comunità locale e nella sua creatività!
    è per questo che la parola cattolico=universale non va più di moda

    Anche il linguaggio che parla di "ruolo", siamo forse a teatro, la vita è un teatro in cui si vivono dei ruoli oppure devono intrecciarsi relazioni vive, icona della Trinità che è la Relazione Vivente della quale soltanto è icona ogni uomo e ogni comunità?

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  14. A.A.A. Cercasi disperatamente sacerdote che mi parli di Dio.

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  15. ma la risposta non è certo il tornare indietro ad epoche di chiusua integristica, di sottomissione dei fedeli ai preti, essi pure solo ridotti a funzionari del Sacro,

    ha presente il curato d'Ars, cui sta tentando di far riferimento il Papa?

    (= il valore di una parrocchia era nel numero di prime comunioni), ma mai ad evangelizzare.

    ha presenti i movimenti frutto della cosiddetta nuova Pentecoste che si fanno forti dei "numeri" che sbandierano e che tanto piacciono ai vescovi?

    Ha mai provato ad ascoltare COSA evangelizzano?

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  16. Il curialese non lo capisco proprio!
    Purtroppo troppe elucubrazioni ... si sono dimenticati 'il vostro parlare sia sempre si si no no' ...
    Che tristezza! :(

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  17. confermo le parole di mic.
    le parrocchie moderne evangelizzerebbero? e chi, di grazia? ma se i giovani scappano dopo la cresima ben più di cent'anni fa! oppure è perché non seguono abbastanza "il punto omega" che ha in testa il nostro "don"?
    tra l'altro sono un fuoriuscito dal Rinnovamento. e a me pare che gli effusionati "evangelizzassero" le ragazze mettendole incinte. fuori dal matrimonio, chiaro, bisogna essere moderni, no? nel mio gruppo è capitato due volte.

    "alleanza trono altare postcostantiniana"? terminata col CVII? allora il don è un neocatecumenale! altrimenti saprebbe che tale alleanza era già morta e sepolta almeno dal Settecento, quando i primi monarchi "illuminati" cominciarono a prendersela con gli ordini religiosi, cominciando dai gesuiti e dai contemplativi. taccio poi di Napoleone. e per tutto l'Ottocento la Chiesa è stata un esempio di non alleata al trono ma in forte crescita missionaria, senza bisogno di concilii pastorali.
    ma certo, all'epoca era abbastanza grezza e primitiva, tentava di convertire col sangue dei martiri, non con le chiacchiere superverbose di preti postconciliari! viva la modernità!
    Nike

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  18. Caro d. Mercenaro, il compito dei governanti e' quello di indicare e tutelare la Chiesa Una Santa Cattolica Apostolica quale sola via di salvezza, per il bene dei loro popoli, che hanno diritto alla verita' e non a indulgenti bugie. Per il resto, caro d. Mercenaro, tanta "tolleranza".
    FdS

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  19. FDS non ci siamo capiti. Vorrei siegare il senso della mia posizione.
    Con Gesù è mutata la concezione del sacerdozio, non più legato ai riti, ma alla vita intesa come offerta. Lungo la storia, però, i cristiani laici sono stati privati del loro carattere sacerdotale. Colpa di una tradizione esegetica edulcorata, che nella lettera agli Ebrei vedeva profetizzato il carattere sacerdotale dei ministri della Chiesa.
    Invece: «Infatti, MUTATO il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge. Questo si dice di chi è appartenuto a un’altra tribù, della quale nessuno mai fu addetto all’altare. È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio» (Eb 7,12-14).
    Una MUTAZIONE! La rivoluzione del Nuovo Testamento che dice che Gesù è il grande unico sacerdote del mondo e dell’umanità: tutta la concezione del sacerdozio appare trasmutata («Infatti, mutato il sacerdozio...») e di conseguenza c’è anche «un mutamento della legge» che governa il popolo di Dio. Era necessario, diceva il versetto precedente, «che sorgesse un altro sacerdote alla maniera di Melchìsedek, e non invece alla maniera di Aronne».
    Gesù infatti è un “sacerdote” di tipo completamente nuovo, tanto che non viene dalla tribù sacerdotale di Aronne, ma discende dalla tribù di Giuda: egli infatti non ha mai portato i paludamenti sacri, non è mai entrato nel santuario, mai ha compiuto i riti sacerdotali della legge: Gesù era un laico.
    Questa laicità è talmente radicale e rivoluzionaria che viene giustamente cassato l’unico gesto gesuano interpetrabile come sacerdotale: cioè il rito del pane e del vino della sua ultima cena.

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  20. ... In Ebrei il “sacerdozio” è insomma tutto concentrato in Cristo ed è tutt’altra cosa rispetto al sacerdozio levitico ed alla ricaduta levitico-sommosacerdotale che è accaduta nella tradizione cattolica che ne ha dimenticato (nel contesto delle controversie in epoca della Riforma protestante) il radicalismo, che è stato filtrato e frainteso dal quadro del sacerdozio gerarchico; ciò è accaduto perché i Riformatori avevano fatto proprio il tema del sacerdozio dei fedeli demolire, invece che ridimensionare il sacerdozio dei preti e dei vescovi.
    Oggi però bisogna rivalorizzare il carattere e le funzioni sacerdotali del popolo di Dio e di quella parte dei cristiani che ne costituisce la stragrande maggioranza, cioè i cristiani laici.
    Il Nuovo Testamento spazza via il falso problema di attribuire ai laici un ruolo maggiore nella liturgia e nella comunità. Invece la concezione fondamentale del sacerdozio è mutata e che il campo del suo esercizio non è affatto la liturgia: la liberazione di Cristo non è data nell’invenzione di nuovi riti, bensì nella sua vita vissuta come donazione totale al servizio degli uomini.
    La verità sottesa nella risurrezione e nel cosiddetto “ingresso nel santuario celeste", è che ha portato il suo “sacerdozio della vita comune non del rito”, in seno alla divinità; questo sacerdozio è ora consegnato ai credenti per il solo fatto di essere credenti, preti e laici.
    Anche in «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19) il discorso è simile. Il tempio DOVRA’ essere distrutto per sempre: il tempio di pietre come accadrà di fatto e quello della vita di Gesù, che poteva essere tolto di mezzo e ucciso. Dalle rovine sorgerà il vero tempio eterno (Gv 2,20-21), il suo corpo come vissuto dal “tempio spirituale" (1Pt 2,4-10), con il suo culto raziocinante (logikè latreia, Rm 12,1). Come il corpo di Cristo, così i corpi dei cristiani sono il luogo della mediazione “sacerdotale”. L’esistenza secolare è la VERA opera sacerdotale, vera mediazione fra il mondo e Dio: è il sacerdozio LAICO di Cristo e dei cristiani. Di fatto invece i cristiani e Cristo stesso sono stati espropriati del loro carattere sacerdotale e i ministri ordinati se appropriati in maniera esclusiva, sacralizzandolo e ritualizzandolo. Di questa concezione riduttiva il concilio Vaticano II ha fatto giustizia,
    Il processo di ritualizzazione del ministero cristiano, per il quale i sacramenti delle celebrazioni rituali hanno preso la prevalenza sul sacramento dell’esistenza, declassando le opere mondane del cristiano.
    La vita della comunità deve lasciarsi cioè determinare a fondo dalle esigenze della vita vissuta nel mondo e dall’esperienza di fede che ne deriva.

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  21. Non capisco questa posizione di Mercenaro: è cosa nota che tutti i passi dell'antico e del nuovo testamento apparentemente contro gli atti religiosi, sono contro quegli atti che sono compiuti senza la volontà di conversione e staccati dall'Evento salvifico che in essi continua; non solo il gesto di culto può essere come mezzo di sicurezza religiosa e di banalizzazione di Dio, ma anche il rifiuto del gesto liturgico autentico.
    Mi chiedo: a cosa serve questo estremismo?

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  22. Nel primo cristianesimo non si parlò di tempio cristiano, non di sacerdoti né di sacrificio, se non per dire che sacerdoti si è tutti, maestri non ce ne sono, tempio è l’uomo, sacrificio è il cuore pentito, gesto cultuale stare a cena con i fratelli di fede a rinnovare la presenza di Cristo nello Spirito.
    I primi cristiani abbatterono tutte le barriere tra sacro e profano, alimenti mondi e immondi, uomini puri e intoccabili, del luogo sacro si strappò il velo, di Gerusalemme caddero le mura.
    La decadenza è venuta dopo!

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  23. La vita della comunità deve lasciarsi cioè determinare a fondo dalle esigenze della vita vissuta nel mondo e dall’esperienza di fede che ne deriva.

    se mai non è il contrario? l'esperiemza di Fede non deriva dal rapporto col Signore che anima e in-forma la vita nella comunità e nel mondo?

    Adesso la comunità, oltre che "creativa" è anche "creatrice"?

    mi soffermo solo su questo.
    dico soltanto che lo stravolgimento che ripecchia la visione di questo d. (d.=cosa?)
    è estenuante

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  24. La legittima autonomia delle realtà temporali, profetizzazta dal concilio, equivale alla disarticolazione tra:
    a) l’ambito del sacro naturale-religiosità naturale-senso dell’inconoscibile-dei misteri della vita e dei suoi passaggi obbligati-senso della morte,
    b) l’ambito cristiano dell’itinerario di fede-conversione-sacramenti-appartenenza ecclesiale-ortodossia-ortoprassi,

    Essi devono essere acccettati come indipendenti. La loro congiunzione può e deve avvenire solo all’interno di ogni singolo uomo-cristiano.
    Le congiunzioni a livello soprapersonale hanno solo confuso tutto e resa impossibile la scelta cristiana nel mondo.

    Su questa base bisogna avviare una operatività conseguenziale.
    Non più la gestione della religiosità tradizionalistica e folkloristica!
    Ma la ricerca, la fondazione di strutture civili, mondane, profane.
    Non risposte alle richieste di sacro magico, ma pienea e adulta cittadinanza nel secolo.
    In questo senso vanno le belle parole, ingiustamente criticate da voi, del cardinale Tettamanzi.

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  25. Se qualcuno nutriva dubbi sul relativismo e sul suo significato leggendo i post di d. marcenaro ha acquisito solo conferme. Quanto aveva ragione il Card. Siri, padre conciliare, nell'affermare: per porre rimedio ai guasti provocati dalla cattiva interpretazione del Concilio Vaticano II occorreranno cinquant'anni.

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  26. Caro d. Mercenaro,Cristo Signore ha portato a compimentoin se stesso quanto prefigurato in modo incompleto dal sacerdozio ebraico .
    Con l'istituzione dell'Eucaristia (rinnovazione incruenta, o mistica se vuole, del S. Sacrificio del Calvario e rendimento di grazie per tale Sacrificio di salvezza) Cristo Signore e' l'unico ed eterno mediatore ma agisce attraverso i Suoi Sacerdoti, sucessori per ininterrotta catena di quelli da Lui consacrati. Lei confonde l'evento unico del Sacrificio del Calvario con la sua rinnovazione mistica nel S. Sacrificio della Messa.
    Proprio oggi, nella Festa della Trasfiguarazione, la realta' mistica dovrebbe esserLe piu' chiara, almeno come dogma di Fede.
    Et de hoc satis. In spirito di carita' e amore.
    FdS

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  27. Non c'è Dio che il Concilio e d. Mercenaro è il suo profeta?
    e lollarda (mission: ideology) è la chiave di volta?
    d. Mercenaro, scendiamo dalle altezze della teologia, e guardiamo ai fatti. "dai frutti li rocnoscerete": migliaia di preti spretati, altri concubini, incredulità nell'Eucaristia, nella Chiesa, nella Fede di sempre. Allontanamento del Popolo di Dio, che in fondo, tutt'ora cerca il sacro, non le sue masturbazioni teologiche. questo è stato il ruolo "profetico" del Concilio.
    Nike

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  28. Nike se vuoi si posso fornire una storia del dopo Concilio di trento, giusto per fare un parallelismo con i nostri tempi. Un fratello di mio nonno era prete perchè non poteva prendere parte all'eredità!!
    All'epoca era difficile scoprire tante malefatte, ma pensa se al tempo che rimpiangi ci fosse stato internet..... ne avremmo viste delle belle :))

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  29. PORCI in ascolto...
    sempre PORCI
    ovunque PORCI
    per tutta Roma
    e tutta Atene PORCI

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