Nel blog di don Matias Augé troviamo questo dotto articolo che ripercorre la storia del Triduo Sacro. Ne riportiamo larga parte e raccomandiamo di leggero per intero nel succitato blog.
Le prime testimonianze esplicite della celebrazione annuale della Pasqua sono della metà del secolo II e provengono dalle Chiese dell’Asia Minore, che celebravano la Pasqua il 14 Nisan, giorno in cui era prescritto ai Giudei di immolare gli agnelli. Questi cristiani, chiamati appunto “quartodecimani”, convinti che la morte di Cristo aveva sostituito il Pesah giudaico, celebravano la Pasqua digiunando il 14 Nisan e terminavano il digiuno con la celebrazione eucaristica che aveva luogo alla fine della veglia notturna tra il 14 e il 15 Nisan. Le altre Chiese, guidate da Roma, celebravano la Pasqua la domenica dopo il 14 Nisan.
Eusebio di Cesarea (+ 339/340) ci informa nella sua Storia Ecclesiastica (5,23-25) che questa diversità di date provocò una seria controversia tra Roma e le Chiese di Asia Minore, polemica che arrivò al culmine al tempo di papa Vittore (193-203). La controversia non consisteva nel dilemma se la Pasqua ricordi la morte o se invece ricordi la risurrezione di Cristo, ma nel dilemma se la Pasqua debba essere celebrata nel giorno della morte o nel giorno della risurrezione di Cristo. Da notare che nel corso del III secolo si imporrà la data domenicale della Pasqua.
Eusebio di Cesarea (+ 339/340) ci informa nella sua Storia Ecclesiastica (5,23-25) che questa diversità di date provocò una seria controversia tra Roma e le Chiese di Asia Minore, polemica che arrivò al culmine al tempo di papa Vittore (193-203). La controversia non consisteva nel dilemma se la Pasqua ricordi la morte o se invece ricordi la risurrezione di Cristo, ma nel dilemma se la Pasqua debba essere celebrata nel giorno della morte o nel giorno della risurrezione di Cristo. Da notare che nel corso del III secolo si imporrà la data domenicale della Pasqua.
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In Occidente, le testimonianze sulle celebrazioni pasquali sono scarse nei quattro primi secoli; in seguito invece, nei secoli V-VII, sono più abbondanti. Sant’Ambrogio (+ 397) e sant’Agostino (+ 430) parlano del “triduo sacro” (o “sacratissimo”) per indicare i giorni in cui Cristo ha sofferto, ha riposato nel sepolcro ed è risorto. [..]
Il Pontificale Romano-germanico del secolo X conosce solo la messa crismale (n.XCIX, 222) e quella della sera (n.XCIX, 252) anticipata ormai all’ora terza, e colloca la riconciliazione dei penitenti prima della messa crismale (n.XCIX, 224). I libri liturgici del secolo XIII e il Messale Romano postridentino del 1570 hanno soltanto il formulario corrispondente alla messa che ricorda l’istituzione eucaristica. La confezione del crisma e la benedizione degli oli hanno luogo nelle cattedrali e sono riportate dai Pontificali (cfr. Pontificale Romano del 1596, Parte III). Nel secolo XVI, l’unica messa del Giovedì santo è stata ormai anticipata al mattino. Per quanto riguarda la conservazione e adorazione del Ss.mo Sacramento nel Giovedì santo, le prime manifestazione al riguardo le troviamo nei secoli XII-XIII (si ricordi che nel 1264 Urbano II istituì la festa del “Corpus Domini”). La centralità che man mano acquista l’adorazione delle specie sacramentali nella pietà del popolo cristiano è uno degli elementi decisivi che farà del Giovedì santo un giorno del Triduo sacro.
Il Venerdì santo a Roma, nel secolo V, secondo le omelie di san Leone e la sopra citata lettera di papa Innocenzo I, si celebra esclusivamente una liturgia della Parola. A metà secolo VII, la liturgia papale ci ha tramandato solo le orazioni solenni che appartengono alla liturgia della Parola (cfr. Gregoriano, nn.338-355). Nella stessa epoca, nelle chiese presbiterali dei Titoli, la liturgia della Parola è collegata con l’adorazione della Croce e con la comunione di tutti i partecipanti con pane e vino consacrati il giorno anteriore (cfr. Gelasiano, nn.395-418). Nei libri liturgici dell’alto Medioevo, la comunione non è sempre praticata. Nei libri liturgici del secolo XIII, è prescritta la comunione del solo pontefice. Prenderà così il via la pratica che riserverà la comunione al solo presidente della celebrazione. Questa norma passa al Messale di Pio V del 1570 e resta in vigore fino alla riforma di Pio XII del 1956, che permetterà di nuovo la comunione di tutti i partecipanti.
Il Sabato santo fu originariamente un giorno aliturgico, dedicato cioè alla preghiera, alla penitenza e al digiuno.
Momento culminante e nucleo da cui è nato il Triduo sacro è la Veglia pasquale. Nel secolo VII, essa ha una ricca struttura rituale imperniata su tre elementi fondamentali: celebrazione della Parola, celebrazione del battesimo e celebrazione eucaristica (per la liturgia papale: Gregoriano, nn.362-382; per la liturgia dei Titoli presbiterali: Gelasiano, nn.425-462). Si noti che la liturgia dei Titoli inizia con l’accensione e benedizione del cero pasquale, rito che è accolto solo più tardi nella liturgia papale. La celebrazione della Veglia tende sempre di più ad anticiparsi alle ore pomeridiane fino che col Messale di Pio V del 1570 viene fissata al mattino del sabato. In questo contesto appare e si consolida la messa della domenica di Pasqua: il Gelasiano (nn.463-467) e il Gregoriano (nn.383-391) offrono ciascuno un formulario domenicale, nel quale la risurrezione è presentata come parte dell’unico mistero pasquale. Le fonti posteriori parleranno ormai di domenica di “Risurrezione”. Per quanto concerne l’ordinamento delle letture bibliche della Veglia pasquale, gli autori non sono d’accordo nell’interpretazione dei dati forniti dagli antichi Lezionari e Sacramentari. Secondo l’opinione più comune, l’antica liturgia romana conosceva due schemi di letture: quella che fa capo al Gregoriano (nn.362-372) con quattro letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo, e quella che fa capo al Gelasiano (nn.431-443) con dieci letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo. Posteriormente, nel Messale Romano del 1570, le letture arriveranno ad essere fino a dodici dell’Antico Testamento più due del Nuovo. La riforma di Pio XII del 1956 riduce le letture dell’Antico Testamento a quattro (Gen 1,1-31 e 2,1-2; Es 14,24-31 e 15,1; Is 4,2-6; Dt 31,22-30) e conserva le due del Nuovo (Col 3,1-4; Mt 28,1-7).
Il Triduo sacro forma parte di ciò che oggi noi chiamiamo Settimana santa, la quale ha già nei secoli VI-VII una sua propria personalità celebrativa, il cui nucleo centrale è la passione del Signore, tema che negli antichi Sacramentari dà il nome alla domenica che precede quella di Pasqua. Il rito delle Palme, che a Gerusalemme caratterizzava questa domenica nella seconda parte del IV secolo, arriverà a Roma solo alla fine del secolo X.
Il Pontificale Romano-germanico del secolo X conosce solo la messa crismale (n.XCIX, 222) e quella della sera (n.XCIX, 252) anticipata ormai all’ora terza, e colloca la riconciliazione dei penitenti prima della messa crismale (n.XCIX, 224). I libri liturgici del secolo XIII e il Messale Romano postridentino del 1570 hanno soltanto il formulario corrispondente alla messa che ricorda l’istituzione eucaristica. La confezione del crisma e la benedizione degli oli hanno luogo nelle cattedrali e sono riportate dai Pontificali (cfr. Pontificale Romano del 1596, Parte III). Nel secolo XVI, l’unica messa del Giovedì santo è stata ormai anticipata al mattino. Per quanto riguarda la conservazione e adorazione del Ss.mo Sacramento nel Giovedì santo, le prime manifestazione al riguardo le troviamo nei secoli XII-XIII (si ricordi che nel 1264 Urbano II istituì la festa del “Corpus Domini”). La centralità che man mano acquista l’adorazione delle specie sacramentali nella pietà del popolo cristiano è uno degli elementi decisivi che farà del Giovedì santo un giorno del Triduo sacro.
Il Venerdì santo a Roma, nel secolo V, secondo le omelie di san Leone e la sopra citata lettera di papa Innocenzo I, si celebra esclusivamente una liturgia della Parola. A metà secolo VII, la liturgia papale ci ha tramandato solo le orazioni solenni che appartengono alla liturgia della Parola (cfr. Gregoriano, nn.338-355). Nella stessa epoca, nelle chiese presbiterali dei Titoli, la liturgia della Parola è collegata con l’adorazione della Croce e con la comunione di tutti i partecipanti con pane e vino consacrati il giorno anteriore (cfr. Gelasiano, nn.395-418). Nei libri liturgici dell’alto Medioevo, la comunione non è sempre praticata. Nei libri liturgici del secolo XIII, è prescritta la comunione del solo pontefice. Prenderà così il via la pratica che riserverà la comunione al solo presidente della celebrazione. Questa norma passa al Messale di Pio V del 1570 e resta in vigore fino alla riforma di Pio XII del 1956, che permetterà di nuovo la comunione di tutti i partecipanti.
Il Sabato santo fu originariamente un giorno aliturgico, dedicato cioè alla preghiera, alla penitenza e al digiuno.
Momento culminante e nucleo da cui è nato il Triduo sacro è la Veglia pasquale. Nel secolo VII, essa ha una ricca struttura rituale imperniata su tre elementi fondamentali: celebrazione della Parola, celebrazione del battesimo e celebrazione eucaristica (per la liturgia papale: Gregoriano, nn.362-382; per la liturgia dei Titoli presbiterali: Gelasiano, nn.425-462). Si noti che la liturgia dei Titoli inizia con l’accensione e benedizione del cero pasquale, rito che è accolto solo più tardi nella liturgia papale. La celebrazione della Veglia tende sempre di più ad anticiparsi alle ore pomeridiane fino che col Messale di Pio V del 1570 viene fissata al mattino del sabato. In questo contesto appare e si consolida la messa della domenica di Pasqua: il Gelasiano (nn.463-467) e il Gregoriano (nn.383-391) offrono ciascuno un formulario domenicale, nel quale la risurrezione è presentata come parte dell’unico mistero pasquale. Le fonti posteriori parleranno ormai di domenica di “Risurrezione”. Per quanto concerne l’ordinamento delle letture bibliche della Veglia pasquale, gli autori non sono d’accordo nell’interpretazione dei dati forniti dagli antichi Lezionari e Sacramentari. Secondo l’opinione più comune, l’antica liturgia romana conosceva due schemi di letture: quella che fa capo al Gregoriano (nn.362-372) con quattro letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo, e quella che fa capo al Gelasiano (nn.431-443) con dieci letture dell’Antico Testamento più due del Nuovo. Posteriormente, nel Messale Romano del 1570, le letture arriveranno ad essere fino a dodici dell’Antico Testamento più due del Nuovo. La riforma di Pio XII del 1956 riduce le letture dell’Antico Testamento a quattro (Gen 1,1-31 e 2,1-2; Es 14,24-31 e 15,1; Is 4,2-6; Dt 31,22-30) e conserva le due del Nuovo (Col 3,1-4; Mt 28,1-7).
Il Triduo sacro forma parte di ciò che oggi noi chiamiamo Settimana santa, la quale ha già nei secoli VI-VII una sua propria personalità celebrativa, il cui nucleo centrale è la passione del Signore, tema che negli antichi Sacramentari dà il nome alla domenica che precede quella di Pasqua. Il rito delle Palme, che a Gerusalemme caratterizzava questa domenica nella seconda parte del IV secolo, arriverà a Roma solo alla fine del secolo X.
Concludendo, notiamo che con il progredire del Medioevo si verificano alcuni sviluppi nella celebrazione del Triduo sacro che ne sgretoleranno sempre più la primitiva armonia e unità. Si verifica anzitutto una certa decomposizione dell’unità teologica della passione – morte – risurrezione a vantaggio della passione – morte del Signore che si possono meglio, tra l’altro, “rappresentare”. Emerge inoltre una tendenza a rendere la liturgia dramma sacro nella stessa azione liturgica e nelle manifestazioni folcloristiche che l’accompagnano e prolungano. [in cauda venenum]
è sfuggito un refuso: il Papa che istituì la festa del Corpus Domini non è Urbano II ma Urbano IV. Alessandro
RispondiEliminaSe refuso è, è del buon Augé
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