Cari Confratelli nel ministero episcopale!
La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell’anno 1988 dall’Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.
Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere.
Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa.
Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell’Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.
Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.
Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell’Enciclica Deus caritas est.
Se dunque l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti – per quanto possibile – nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?
Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate – superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo.
Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà – anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.
Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo
Vostro nel Signore
BENEDICTUS PP. XVI
Dal Vaticano, 10 Marzo 2009
Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo
Vostro nel Signore
BENEDICTUS PP. XVI
Dal Vaticano, 10 Marzo 2009
Nella lettera traspare l'umiltà e la grandezza teologica del Papa. Ringraziamo lo Spirito Santo se il 19 aprile 2005 ha scelto lui come vescovo di Roma, servo dei servi di Dio e Vicario di Cristo. Alessandro
RispondiEliminaRingraziamo lo Spirito Santo se il 19 aprile 2005 ha scelto lui come vescovo di Roma, servo dei servi di Dio e Vicario di Cristo.
RispondiElimina******************************
Anch'io -perfido lefebvriano- non posso che unirmi ben volentieri e gridare con tutto il cuore:
VIVA IL PAPA!!!!!!
Solo la storia ci aiuterà a conoscere la vera portata di questa strategia pontificia.
RispondiEliminaL'impressione attuale, a mio sommesso avviso, è che l'esercizio della potestà del Sommo Pontefice sia gravemente minato.
Che Dio l'aiuti
L'anonimo del 12 marzo 2009 13.00 ha centrato il cuore del dramma. In questo documento sembra che il Papa, invece di riaffermare con forza il diritto a esercitare l'autorità derivatagli da Cristo ( la citazione del passo chiave di Luca sull'autorità di Pietro è molto indebolita dal contesto della lettera), abbia soprattutto premura di rassicurare gli ebrei e le conferenze episcopali sul fatto che quelli della FSSPX, in fondo, rimangono dei reprobi con qualche piccolo spunto buono, da riportare alla ragione.
RispondiEliminaIl Papa si GIUSTIFICA, insomma, non agisce d'imperio. La cosa mi pare preoccupante.
Grande Benedetto XVI.
RispondiEliminaGrande lettera. Umiltà, chiarezza e fermezza nelle Sue parole. Che rassicurano e chiariscono.
Solo il Signore Gesù sa quali saranno i frutti a seguito di questa lettera. Penso, in questo momento ai giovani seminaristi della Fraternità San Pio x, ai loro genitori, ai monaci e alle monache, ai religiosi e ai tanti fedeli laici che si riconoscono nella Fraternità, che amano il Romano Pontefice e la Santa Chiesa di Dio. Quale sarà la loro reazione e quale quella delle Conferenze Episcopali?
RispondiEliminaPenso al commento maldestro sul TG1 delle h.13.30 fatto dal vaticanista Aldo Maria Valli: dove ha letto che i lefebvriani "rimangono fuori dalla Chiesa".
Comunque, grazie Santità, continuerò a pregare intensamente per la Sua persona. Consentitemi però di dire in tutta franchezza che, da amico della Fraternità, da vero simpatizzante, non ho mai ritenuto ne essi si ritengono un "gruppo", una comunità, una porzione di credenti dalle idee unilaterali etc.etc.: ci siamo sempre considerati figli della Chiesa, parte di Essa. E' vero, le posizioni di alcuni della Fraternità suscitano perplessità per la durezza dei toni, per l'arroganza in materia dottrinale, quasi come se fossero gli unici detentori e difensori delle verità di fede, ma siamo prudenti a generalizzare. Pochi forse sanno che anche all'interno della Fraternità e di tutte quelle realtà che ad essa fanno riferimento, vi sono stati e vi sono frutti di santità, uomini e donne innamorati del Papa, della Chiesa e, permettetemi, della Tradizione.
Mi pare di capire che i prossimi colloqui che il Superiore della Fraternità farà a Roma, saranno presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. Prego per un buon inizio e un felice esito.
Sì, comunque grazie Santità. E se posso da "lefevbriano":
VIVA IL PAPA!
Manca nella lettera, fra tanta amarezza e molte precisazioni, talora estremamente dure nei riguardi dei lefebriani, l'imposizione dell'obbedienza ai vescovi singoli o alle conferenze episcopali che lo hanno aggredito e sostanzialmente minacciato.
RispondiEliminaI due aspetti della lettera avrebbero dovuto manifestar pari determinazione.
Nessun episcopato è stato nominato, nessun singolo vescovo, neppure coloro che, abbiamo letto qui, sul blog, si sono allontanati dalla retta dottrina.
Certo ha parlato di fratelli che si mordono, ma non ha preso il bastone per allontanare il lupo vorace.
Capisco la prudenza diplomaitica, ma ormai da troppo tempo la diplomazia, prendendo il posto della legittima Autorità e del suo esercizio, ha creato guasti umanamengte insanabili.
Questa era l'occasione buona certo per il Pontefice di chiarire, se proprio era necessario, ma anche e soprattutto di affermare la propria autorità suprema che gli viene da Dio, non dalle conferenze episcopali, né dagli ebrei o dai media.
In tutta sincerità, dopo due letture, non nego una certa delusione.
Vi propongo la lettura di questo articolo di don Bux e don Vitiello
RispondiEliminaVATICANO - LE PAROLE DELLA DOTTRINA a cura di don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello - Il servizio del Primato all’unità della Chiesa
Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Settant’anni fa il Cardinale Eugenio Pacelli, romano, veniva eletto Papa con il nome di Pio XII. Allora, nessuno poteva concepire che il Collegio cardinalizio e quello episcopale non dovessero essere “ tutti unanimi del parlare – secondo le parole dell’Apostolo – perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti” (1 Cor 1,10). Anche Giovanni XXIII, nel discorso di apertura del Concilio, poteva parlare di “rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione, quale ancora splende negli atti conciliari da Trento al Vaticano I ”. Si potrebbe infatti immaginare che la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, si esprima in modo disorganico? Si potrebbe concepire l’ecclesiologia di comunione, dimenticando quel che il Concilio ha detto sul Primato (cfr Lumen gentium 13, 22 e 23) ?
Allora bisogna che tutti nella Chiesa, Vescovi, sacerdoti e fedeli, riflettano sulle parole miti e argomentate del Santo Padre Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore e all'Angelus di domenica 22 febbraio e facciano cessare le polemiche che “nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di esser migliori dell’altro…questa è una caricatura della Chiesa che dovrebbe essere un cuor solo e un’anima sola”. Tali parole manifestano l’esercizio del Primato nella pazienza e ad esso deve corrispondere la docilità umile di tutti i cattolici.
Il Santo Padre sa che il Primato ha una “struttura martirologica” perché “la parola di Dio non è incatenata”(2 Tm 2,9) e questo vale per ogni Papa. Il Primato petrino sta ed opera perché la comunione ecclesiale non può essere distruttiva, anzi il Credo la chiama “cattolica”. Conviene andare, in proposito, a quanto ha scritto da teologo, nel testo “Introduzione al Cristianesimo”: “un’idea fondamentale è documentabile, sin dal principio, come determinante: con questa parola si allude all’unità di luogo: solamente la comunità unita al Vescovo è ‘Chiesa cattolica’, non i gruppi parziali che, per qualsiasi motivo, se ne sono staccati. In secondo luogo, è qui richiamata l’unità delle Chiese locali fra loro, le quali non possono chiudersi in se stesse, ma possono rimanere Chiesa solo mantenendosi aperte l’una verso l’altra, formando un’unica Chiesa […] nell’aggettivo ‘cattolica’ si esprime la struttura episcopale della Chiesa e la necessità dell’unità di tutti i Vescovi fra loro […]” (ed. Queriniana-Vaticana, 2005, p 335).
Dopo aver osservato che questo non costituisce l’elemento primario, ricorda: “Elementi fondamentali della Chiesa appaiono piuttosto il perdono, la conversione, la penitenza, la comunione eucaristica e, a partire da questa, la pluralità e l’unità: pluralità delle Chiese locali, che però restano Chiesa unicamente tramite il loro inserimento nell’organismo dell’unica Chiesa […]. La costituzione episcopale compare sullo sfondo come un mezzo di questa unità […]. Un ulteriore stadio, sempre nell’ordine dei mezzi, sarà poi costituito dal servizio del Vescovo di Roma. Una cosa è chiara: la Chiesa non va pensata partendo dalla sua organizzazione, ma è l’organizzazione che va compresa partendo dalla Chiesa. Tuttavia è al contempo chiaro che, per la Chiesa visibile, l’unità visibile è qualcosa di più della semplice ‘organizzazione’. […] Solo in quanto ‘cattolica’, ossia visibilmente una pur nella molteplicità, essa corrisponde a quanto richiede il Simbolo. Nel mondo dilaniato e diviso la Chiesa deve esser segno e strumento di unità, deve superare barriere e riunire nazioni, razze e classi. Sino a che punto anche in questo compito essa sia venuta meno, lo sappiamo assai bene […] nonostante tutto…invece di limitarci a denigrare il passato, dovremmo soprattutto mostrarci pronti ad accogliere l’appello del presente, cercando di non limitarci a confessare la cattolicità del Credo, ma di realizzarla nella vita del nostro mondo dilaniato” (Ivi, p 336-337). (Agenzia Fides 12/3/2009)
Non ha certamente torto Dante Pastorelli nelle sue considerazioni ... tuttavia, mi sforzerei di considerare la lettera (che, pure, insieme ai limiti correttamente riscontrati, contiene, del pari, alcuni spunti di alta spiritualità) come un espediente inteso a suscitare almeno una momentanea pausa agli inconsulti atti di contestazione al Pontefice, al fine di permettere la felice continuazione della procedura volta all'ufficiale sanzione della piena comunione (che mi auspico rapida) della Fraternità.
RispondiEliminaConsiderata in questa chiave, la duplice "umiliazione" della Fraternità (considerata in termini spiritualmente minimalistici) e dello stesso Pontefice (quasi costretto ad una "giustificazione") mi susciterebbe alla mente il ben noto principio, secondo cui: chi si umilia verrà esaltato ...
Cordialmente.
rispondo al sig. Pastorelli.
RispondiEliminaQuante conferenze episcopali hanno avuto da ridire sulla revoca della scomunica? Ufficialmente, per quanto mi consta, due (Svizzera e Germania), ufficiosamente altre due (Francia e Gran Bretagna). Molti sono stati i mugugni. E allora? Quando Giovanni Paolo II a Puebla nel 1979 disse basta agli eccessi di alcune correnti della teologia della liberazione moltissimi (molti di più di ora) contestarono. E quando Paolo VI scrisse la Humanae vitae? Eppure quelli sono rimasti punti fermi del Magistero, nonostante l'apostasia più o meo silenziosa, chi contestava è passato perchè sic transit gloria mundi!. Quattro episcopati non sono e non costituiscono un Concilio, non costituiscono e non saranno mai la Chiesa. Siamo troppo eurocentrici, pensiamo che il cristianesimo inizi e finisca in Europa. E sbagliamo. Per quanto mi consta nessuna conferenza episcopale africana e/o asiatica ha criticato il Papa sulla revoca della scomunica. Non guardiamo solo il bicchiere mezzo vuoto come ce lo propinano quasi tutti i media. Alessandro
Il papa ha dato un saggio magistrale di esercizio della virtù della carità. Pur essendo diverse spanne moralmente e intellettualmente al di sopra di coloro che pretestuosamente lo hanno attaccato, e direi anzi proprio per questo, non si è affatto mostrato restio a spiegare, pazientemente e didatticamente, le ragioni del suo operato. Con una vena, oserei dire, di sottilissima ironia, perché ciò che dice dovrebbe essere già fin troppo noto a un vescovo senza bisogno di "ripetizioni". Un papa così padrone di sé saprà mostrarsi energico quando sarà il momento, ne sono certo.
RispondiEliminaCaro Imerio, l'umiltà e la spiritualità erano già state sottolineate abbondantemente e su tale aspetto non avevo niente da aggiungere.
RispondiEliminaVolevo manifestare e manifesto la mia delusione per un'occasione mancata per riaffermare il supremo potere d'orgine divina del Pontefice ormai tremendamente scalfito.
Quanto ad Alessandro, ricordo che se ufficialmente gli episcopati che più si son esposti son pochi (ma son già troppi se si pensa in termini di unità della Chiesa), di singoli vescovi o gruppi che osteggiano la decisione pontificia ce ne sono molti altri (come si vede dalla mancata applicazione del Motu Proprio anche in Asia), in Europa e fuori, dalla Francia, alla Svezia, dall'Inghilterra agli Usa ecc. E nella Curia.
Il fatto che gli episcopati in altri tempi abbiano osteggiato Paolo VI per l'Humane vitae e Paolo II per "aluni eccessi" della teologia della liberazione non sminuisce la gravità della ribellione, semmai l'aggrava: vale a dire che troppo tempo l'Autorità è calpestata. E' vero che i vescovi e teologi son morti, ma è pur vero che la loro opposizione alla morale cattolica ed alla retta dottrina continua nei nefandi discepoli.
Non c'era alcuna gloria in ciò ch'è passato né ce n'è in ciò ch'è presente.
C'è solo una Chiesa allo sbando che ha bisogno di preghiera ininterrotta e di fedeltà al Papa, ma questa preghiera e questa fedeltà non possono esser dirette che ad un unico fine: la difesa, sino alla morte, e con il coraggio dei martiri, del Depositum Fidei.
Nella Chiesa il bicchiere dev'esser sempre pieno: un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto significa una Chiesa con mezze verità. Una non Chiesa.
Il fatto è che si vuol far fallire la riconciliazione con la Fraternità. Si sta ripetendo, e spero con esito ben diverso, ciò che accadde con mons. Lefebvre.
Il card. Siri fece incontrare Lefebvre con Giov. Paolo II in sua presenza: l'accordo verbalmente fu trovato in pochi minuti: Papa e Lefebvre avrebbero dovuto, a suggello, presentarsi insieme alla "finestra" a salutare la folla. Fu chiamato a prender atto della conciliazione e preparar il documeno ufficiale il livoroso Seper che aggredì il Papa sostenendo che cadeva nel tranello di Lefebvre. Siri, umiliato dal fatto che il Papa ascoltasse Seper più di lui e della garanzia ch'egli con la sua storia rappresentava, non volle più saper di mediazioni.
Nel 1988 l'accordo fu raggiunto con Ratzinger, ma poi Lefebvre il giorno dopo ritirò l'adesione parlando di trappola. Cosa gli era stato detto in quel breve lasso di tempo da parte di alti esponenti vaticani informati? Non si sa.
Si sa soltanto che il card. Thiandoum, che non voleva saper né di scomunica né di scisma, come tanti altri suoi confratelli, dopo qualche visita ad Econe, già prima della firma dichiarò a 30giorni che avrebbe parlato da radio e televisioni di tutto il mondo per denunciare coloro che stavano tramando per ottenere il fallimento della conciliazione.
I recenti documenti ufficiali della Fraternità S. Pio X sono estremamente corretti e dimostrano grande apertura ed amore per la Chiesa, dalla quale mai si son sentiti lontani.
Abbandoniamoci cpm fiducia allo Spirito Santo, senza diomenticare però le responsabilità degli uomini, ad ogni livello.
Benedetto XVI consegna ai vescovi - e a noi tutti - una lettera di altissimo profilo.
RispondiEliminaDifficile far breccia nel cuore indurito di chi, da ambo le parti in causa, anziché accordare ascolto e fiducia al Pontefice coglie ogni occasione per censurarne l'operato.
Questa lettera è una grande chance, per tutti noi. Alla profondità spirituale di ciascuno la volontà e la capacità di intenderne appieno il messaggio.
Parlavo di correttezza della Fraternità. Ecco che mons. Fellay ringrazia il Papa e si dice pronto a far quello che ha sempre chiesto: colloqui dottrinali.
RispondiEliminaGià alcuni giorni fa avevo scritto che era dannoso un accordo pratico, come quelli imbastiti con altre fraternità,
perché è necessario un dibattito che una volta per tutte ci dica dov'è la verità e dove l'opinabile nei documenti del Concilio.
Fellay va oltre la correttezza. La sua pronta risposta ha infatti toni umili che sembrano in sintonia con quelli mirabilmente toccati dal Papa.
RispondiEliminaContiene inoltre un esplicito riconoscimento del fatto che la Fraternità non ferma il cammino della Tradizione al 1962. Riconoscimento significativo perché manifestato in immediata risposta al rilievo del Papa.
Dio ci ha veramente donato un grande papa in Benedetto XVI; non so se tutti se ne rendono conto ma molte cose che questo papa sta facendo, anche sommessamente, lontano dai clamori mediatici, avrà una ripercussione su tutta la Chiesa negli anni a venire. BXVI è veramente l'operaio che getta in terra la buona semente che un domani darà il suo frutto. C'è però chi si industria a seminar pure la zizzania, e duole constatare che a far ciò sono fedeli (nell'accezione che di questo termine ne da il Codex Juris Canonici e cioè intendendo con questo sacerdoti e laici) che avrebbero dovuto aiutare il seminatore.
RispondiEliminaIn passato l'accordo con Lefebvre fallì per opposizioni abbastanza nascoste; ora son più evidenti, ma non per questo meno dannose. Mi da speranza la mite fortezza di questo papa che non si lascia intimorire dagli ululati dei lupi, e da buon cacciatore bavarese sa che deve mettersi controvento per mettere nel sacco i lupi i quali continueranno ad ululare anche nel momento in cui arriverà loro dalle spalle una grandinata di piombo. W il papa. w mons. Lefebvre
I nemici di mons. Lefebvre erano scopertissimi. Magari in certi templi indossavano il cappuccio.
RispondiEliminaora però con il "cacciatore tedesco" nessun cappuccio impedirà loro di ricevere una bella grandinata di piombo; alle spalle. e non dico altro per decenza.
RispondiEliminaSia lodato Gesù Cristo!
RispondiEliminaLa lettera del Santo Padre sono evidenziate le virtù cristiane che dovrebbero farci uniformare all'immagine di Cristo Signore " Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri" ( Colossesi, 3 -12,13)
Chi non segue questi insegnamenti evangelici non può appartenere a Cristo !
Non sta a me, servo inutile, fare l'elencazione di coloro che stanno flagellando Nostro Signore e la Sua unica Chiesa.
A me compete solo pregare per la Chiesa e per il Papa.
Fra la preghiera metto anche un mio conoscente che per essere ammesso al Dottorato teologico ha dovuto fare una tesina , di stampo luterano, contraria al primato di Pietro.
Risultato ? 100 dieci e lode !
Risultati delle precedenti tesine, ortodosse nella fede, appena sufficienti...
Fornirò alla competente Congregazione vaticana tutta la documentazione.
Ma posso fare anche alcune cosette, assai spicce e terrene, intervenire presso le Istituzioni affinchè il monopolio dei Della Valle, dei Malloni, dei Bianchi ecc ecc nella TV di Stato, ovverosia la RAI, sia affievolito e venga dato spazio agli umili e poveri "papalini".
Chiedo troppo a quei potenti Signori ?
Oggi stesso chiderò il numero di fax della commissione parlamentare di vigilanza della RAI.
Buona giornata a tutti
Andrea Carradori
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Andrea Carradori tocca il cuore dei problemi quando ci comunica la valutazione ottima di una tesi luterana. E' propio questo il motivo che nel 1970 spinse mons. Lefebvre a "costruirsi" un seminario ortodosso, quando constatò come negli università ecclesiastiche l'ortodossia fosse stata emarginata.
RispondiEliminaE Siri?
Il grande Siri cosa rispose a Paolo VI che gli chiedeva quanti seminaristi genovesi studiavano a Roma? Rispose che prima di inviare nuovamente i suoi seminaristi nelle università pontificie a Roma dovevan cambiare molte cose. E molte cose dagli anni settanta in effetti son cambiate a Roma e in quasi tutte le facoltà teologiche: in peggio.