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lunedì 13 settembre 2021

Echi tridentini in gastronomia: Socci, "Il vino, la Toscana e Dio"

Continuiamo con i nostri itinerari gastronomici.
Luigi


Sapere che nella bellissima e antica Montalcino, terrazza affacciata sulla struggente Val d’Orcia, è stato appena aperto un museo del vino non stupisce, perché è la patria del Brunello, uno dei più famosi vini del mondo.

Ma in Toscana nulla è così banale, tutto è speciale ed è immerso nel di-vino. Anche il vino. Infatti la vera notizia è un’altra: con un investimento di due milioni di euro si è restaurato il complesso monumentale del convento di Sant’Agostino (XIV-XV secolo) che comprende l’antica chiesa e l’ex convento ed ex seminario, con il museo diocesano-civico e il museo archeologico: 5.500 metri quadrati di storia, fede e arte.

È qui che, in collaborazione con 60 cantine, si è aperto ora il “Tempio del Brunello”, circondato dalla bellezza sacra, dalle tavole di grandi artisti del medioevo senese come Simone Martini, Ambrogio Lorenzetti, Giovanni di Paolo, Sano di Pietro, Bartolo di Fredi e poi da sculture di artisti come Jacopo della Quercia e Francesco di Valdambrino, senza dimenticare il San Sebastiano di Andrea della Robbia.

Ma il museo – che ospita anche altri tesori, come il Crocifisso del Giambologna o l’antica Bibbia miniata proveniente dalla vicina e splendida Abbazia di S. Antimo (VIII secolo), luminosa di alabastro – ha accanto pure la chiesa gotica, aperta al culto, con gli affreschi del XIV-XV secolo alle pareti (Scene della Passione di Cristo e Storie della vita di S. Antonio abate) e quelli trecenteschi del coro attribuiti a Bartolo di Fredi (Storie di S. Agostino, Evangelisti e Dottori della Chiesa).

Perché – ci si chiederà – un museo del vino in un luogo così pieno di bellezza divina e di storia cristiana?

Perché l’Arcidiocesi di Siena, Colle val d’Elsa e Montalcino ha avuto l’idea (geniale) di promuovere questa iniziativa insieme a Consorzio del Brunello, Comune di Montalcino e Opera laboratori?

Certamente c’è anche un motivo pratico: poter restaurare questo meraviglioso complesso per offrirlo di nuovo alla vita della città e a tutti i visitatori. Ma c’è poi la volontà di mostrare il legame fra la storia cristiana e il territorio, il lavoro e la vita degli uomini.

Anche perché il vino non è appena un prodotto agricolo: connotando la civiltà italica è un fatto culturale (in questa terra già lo gustavano gli etruschi e i romani) e soprattutto è diventato poi, addirittura, un fatto cultuale stando al centro della liturgia cattolica e quindi al centro della bimillenaria civiltà cristiana.

Hanno costruito per secoli chiese e cattedrali volendole belle proprio per onorare e adorare il pane e il vino eucaristici. Il corpo e il sangue del re dell’universo, il re-vittima che ci ha riscattato.

Qualche anno fa un vescovo di queste zone agricole, mons. Mario Meini, al tempo della vendemmia, scrisse una splendida e dotta lettera pastorale intitolata: “Il vino che allieta il cuore dell’uomo”.

Il vino attraversa tutta la storia biblica, come simbolo di festa e di benedizione, di lode e ringraziamento, fino alla sera misteriosa del giovedì santo in cui Gesù lo scelse – insieme al pane – come segno della sua presenza fra noi per sempre: il suo stesso sangue versato, come prezzo, per la nostra salvezza.

Perciò viene da chiedersi in quale altro posto fare un museo del vino se non in un luogo sacro cristiano?

Già la campagna senese è una sinfonia di campi di grano e vigneti che fanno pensare al pane e al vino: sembra tutta un altare eucaristico (per i cristiani la terra intera è questo).

Lo stesso popolo in cui nascevano gli artisti del Medioevo e del Rinascimento, che hanno incantato il mondo con la loro arte sacra, è il popolo che plasmava queste terre, per Fernand Braudel “la più commovente campagna che esista”.

Henri Desplanques scriveva:

“La campagna toscana è stata costruita come un’opera d’arte (…) è questa la caratteristica, il tratto principale calato nel corso dei secoli nel disegno dei campi, nell’architettura delle case toscane. Questa gente si è costruita i suoi paesaggi rurali come se non avesse altra preoccupazione che la bellezza. La campagna toscana è sistemata come un giardino e da parte loro anche i pittori delle città hanno contribuito a idealizzare la campagna”.

Ancor più acutamente Franco Rodano metteva in relazione la bellezza del paesaggio italiano – specialmente la campagna dell’Italia centrale – con la fede cattolica che ha plasmato “la millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di vivere il lavoro non solo come duro travaglio disseminato di ‘spine e triboli’, ma anche come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso, del necessario e del bello”.

Perché nel cattolicesimo la natura e la grazia non sono separate da un abisso (come nel protestantesimo) e il lavoro dell’uomo, il lavoro che santifica e dà il pane, collabora con Dio creatore, ordina e umanizza il creato, lo rende dimora, lo rende cultura.

Così nei chiostri del museo di Montalcino, con gli occhi e il cuore pieni del panorama delle campagne sottostanti, circondati da opere d’arte scintillanti d’oro, si può gustare il prelibato Brunello (ma anche altri prodotti di questa terra come olio, miele, tartufo bianco e zafferano) e si hanno a disposizione libri: letteratura e spiritualità. È possibile insomma “ubriacarsi” di bellezza.

Si dice che il turismo stia cambiando perché sempre più, in Italia, cerca un’esperienza totale che lega l’arte e la gastronomia, il paesaggio e le tradizioni popolari.

In effetti chi viene in Italia e specialmente in Toscana vuole fare un’esperienza spirituale: senza saperlo cerca Dio e qui tutta una civiltà parla della luminosa storia cristiana.

Si possono assaporare come fosse un tutt’uno la ribollita e la fiorentina, col vino toscano, gustando pale d’altare, torri, cattedrali e feste, con la meraviglia delle letture della Divina commedia (in questi mesi le fanno dappertutto) e con il piacere del paesaggio toscano e dei suoi borghi, perché questa è un’unica civiltà. La nostra.

La Chiesa di Siena, città di S. Caterina, intuisce che una vera evangelizzazione passa attraverso la bellezza, attraverso il gusto, il vedere, il toccare, il sentire, il far festa. Proprio com’è la liturgia cattolica: legata ai cinque sensi (come i sacramenti).

Il cristianesimo vuole infatti mostrare agli uomini un modo più vero per gustare pienamente la vita: anche un bicchiere di vino che prefigura il banchetto del cielo, la grande festa.

Come ha scritto Benedetto XVI: “Il vino esprime la squisitezza della creazione, ci dona la festa nella quale oltrepassiamo i limiti del quotidiano: il vino ‘allieta il cuore’. Così il vino e con esso la vite sono diventate immagini anche del dono dell’amore, nel quale possiamo fare qualche esperienza del sapore del divino”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 luglio 2021