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martedì 25 ottobre 2016

La fede si risolleverà con la bellezza liturgica più che con mille piani pastorali e la santità sarà più convincente di ogni discorso politico o sociale

La Civiltà Cattolica è "odiata (in ordine crescente di livore): 
- da eretici e infedeli 
- dai modernisti 
- da quelli che, desiderando rimanere al calduccio, al 90% sono totalmente sono incapaci di prendere atto dell'allucinazione collettiva attuale di cui si son resi preda". (Cit.)
Con lucido spirito profetico, ben conscia dell'estrema gravità dell'attuale situazione ecclesiale, l'Autore dell'Articolo postato suggerisce un sano   piano cattolico di resistenza e di ri-costruzione  : "come una comunità monastica può operare in uno spirito di cristianità. Senza dubbio non si ricostituirà presto una civiltà cristiana, ma si possono costituire delle isole o dei fortini". 
L'Arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles Mons. André-Joseph Léonard nel suo difficile e contrastato governo episcopale cercò, riuscendo nell'intento, di restaurare " la pratica religiosa, con piccoli gruppi che fungevano da lievito, aveva ripopolato alcune chiese che andavano deserte da decenni..." (Cfr. MiL QUI
Buona lettura! 
AC


Dopo la fine della Cristianità: bellezza, preghiera, sacrificio. 
di Daniela Bovolenta 

Sembra essersi diffusa una parola d’ordine nelle fila del cattolicesimo occidentale. 
Negli USA si parla da qualche tempo di “opzione Benedetto”, a suo tempo Giovannino Guareschi parlava di “salvare il seme”, senza contare Joseph Ratzinger, che già nel 1969 affermava durante una trasmissione radiofonica: “Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa
che avrà perso molto. 
Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. 
Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. 
Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali”. 


Anche Jacques Maritain rifletteva sulla fine della Cristianità e numerosissimi autori, di quella che possiamo chiamare la scuola Controrivoluzionaria, riflettono e scrivono a partire da questo dato di fatto. 
Ci siamo, siamo al piccolo resto di Israele: un processo culturale durato secoli sembra ormai giungere alla fine. 

Siamo passati dall’ostilità di pochi nemici radicali, alla marginalizzazione sociale, all’irrilevanza, fino a giungere ormai alla persecuzione e, presto, al martirio. 
Non possiamo negare di aver contribuito spesso noi stessi alla nostra soppressione, con errori politici, strategici, umani, dottrinali, e di questo prima o poi spero ci si renderà conto. Tuttavia, se l’annuncio di Cristo ha ancora un’attualità, se la sua promessa di salvezza non è stata falsa e vana, siamo ancora tenuti alla speranza. 
Speranza prima di tutto nella possibilità di una santità individuale, poi di una trasmissione del seme alle generazioni future, infine una speranza anche collettiva. 
Non nel senso, fallace, che un qualunque ordinamento civile possa automaticamente portare alla salvezza, non esiste e non può esistere nessun paradiso in terra, ma nel senso che alle società si possono dare ordinamenti più o meno conformi a rendere possibile, cioè a non ostacolare, la salvezza dei singoli. 

Senza nessun determinismo, e con la consapevolezza che la libertà individuale è un affare serio e inaggirabile, vogliamo ancora sperare in un mondo in cui annunciare il Vangelo integralmente non sia un’attività a rischio di marginalizzazione, censura, sanzione. 
Ma soprattutto vogliamo poter immaginare per i nostri figli un mondo dove il diritto naturale abbia effetto sulle leggi civili, in cui non sia possibile insegnare ai figli contro la fede dei padri, in cui la natura non sia una sorta di nuova divinità a sé stante, ma un libro che porta su di sé tracce del dito del suo Creatore. 

Vogliamo un mondo dove la verità e la bellezza siano i primi criteri di giudizio, e si sappia invece che sentimenti e sensazioni riguardano un altro ambito, che non necessariamente è veritativo. 
Soprattutto vogliamo poter sperare nel Paradiso, e trasmettere la nostra speranza a tutti coloro che vorranno ascoltare. 
Molti si chiedono, lo so, se non sia giunta l’ora di costruire nuovi monasteri. 


Se Don Massimo Lapponi cerca di fare una scuola a distanza, per insegnare le virtù disperse che possono far fiorire una famiglia (preghiera, arti decorative, canto...), l’amico Alessandro Benigni immagina qualcosa di forse ancora più radicale: una vita separata, quasi una forma di disobbedienza civile

Io rumino e rumino tutte queste cose, quasi serbandole nel mio cuore. 
In passato ho scritto: “Questi monasteri domestici, isole luminose all’interno delle modernità, io li ho visti. 
Non sono resti del passato, attardati su una concezione del mondo ormai radicalmente fuori moda, ma germi del futuro. 
Come san Benedetto, che alla caduta dell’impero romano, non si preoccupa di salvarne i resti sparsi, ma di costruire uomini per il futuro, allo stesso modo vedo fare intorno a me. 
E non perché il futuro ci sembri un luogo teologico migliore del presente, ma perché il futuro si costruisce pazientemente oggi, educando, pregando e cercando Dio. 
I monaci tra la fine dell’Impero Romano e l’inizio del Medioevo salvano la cultura, la civiltà, persino la scrittura e l’agricoltura, ma non lo fanno per portare a termine un raffinato progetto culturale, lo fanno incidentalmente mentre sono presi dalla ricerca di Dio, quaerere Deum”. 

Ma ancora mi chiedo come tutto questo possa tradursi in pratica. 
In particolare a me interessano tre livelli: 
1. come un mondo che scopre di non essere più la moral majority elabori delle strategie di trasmissione di fede e valori (o almeno ne discuta); 

2. alcune specifiche comunità (ad esempio quella di Clear Creek) che si organizzano creando nuclei umani che approfondiscano al massimo la loro coerenza interna di vita, che condividano un orizzonte e che, nella pratica, abbiano mani libere in materia educativa, organizzativa a livello almeno locale, cultuale e culturale; 

3. più di tutto: il “quaerere Deum”, che è l’origine dell’opera di san Benedetto come ci spiega Benedetto XVI al Collège des Bernardins, e che non necessariamente si declina nella nascita di comunità separate, ma che altrettanto è radicalmente ostacolato nella quotidianità perché la persecuzione è vicina, è già in atto, e rimanere isolati e senza mezzi non ci rende più protetti. 


La lezione di san Benedetto mi pare significare, tra l’altro, che un mondo nuovo nasce quando si smette di puntellare quello vecchio che sta morendo e ci si rivolge completamente altrove. 
Non a caso non è stata l’opera di un individuo, ma di comunità e di una regola che plasma i rapporti tra gli uomini. 
In questo senso è illuminante dom Gérard Calvet, O.S.B., quando parla dello Spirito di cristianità. 
Su quest’ultimo punto, in particolare, permettetemi di esprimere tutta la mia angoscia, mi pare che abbiamo ormai superato un punto di svolta e non credo che sarà considerato sufficiente constatare che prevalgono opinioni e stili di vita radicalmente contrari al piano di Dio: siamo ormai al punto in cui ci viene richiesto con sempre maggiore insistenza di “essere d’accordo”, di consegnare i nostri figli perché siano rieducati e ci guardino con diffidenza, di riconoscere di essere completamente impresentabili solo in quanto cristiani. 

Allora non so se l’opzione Benedetto costituisca una risposta, forse però elabora una domanda. Io non ho soluzioni e ricette, solo alcune intuizioni: che la fede si risolleverà con la bellezza liturgica più che con mille piani pastorali, che la santità sarà più convincente di ogni discorso politico o sociale, che la bellezza dell’opera di Dio e di quelle degli uomini dissodi il cuore più arido e che, infine, non sarà ciò che è comodo e facile, ma ciò che è arduo, doloroso, difficile, a riportarci in pieno possesso delle nostre anime. 

Anche se ci piacerebbe che fosse il contrario, è il Sacrificio (e il sacrificio) la chiave delle nostre esistenze. 
L’uomo, diversamente da quel che ci dice il nostro tempo, è fatto di anima e corpo, e la dimensione spirituale prevale e giudica sull’altra. 
La nobiltà d’animo, la paternità spirituale, la grandezza e nobiltà interiore sono le uniche vere alternative alla vita da bestie tecnologiche che ci si sta preparando. 
«Redimere tempus.  L’unica nobiltà dell’uomo, la sola via di salvezza consiste nel riscatto del tempo per mezzo della bellezza, della preghiera e dell’amore. 
Al di fuori di questo, i nostri desideri, le nostre passioni, i nostri atti non sono che «vanità e soffiar di vento», risacca del tempo che il tempo divora. 
Tutto ciò che non appartiene all’eternità ritrovata appartiene al tempo perduto.» (Gustave Thibon, L’uomo maschera di Dio, SEI, Torino 1971, p. 262) 
Bellezza. 

Preghiera. Sacrificio (che è il nome dell’amore che dona sé stesso).

Fonte: Campari & de Maistre

Tutte le immagini sono state prese dal sito : Le Cento Chiese di Amatrice per ricordare la tragedia del sisma del 24 agosto scorso che ha sconvolto quelle belle e devote terre portando morte e rovine.

2 commenti:

  1. E Cristo nostro Dio disse:
    Matteo 24
    "Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata".

    Gli apostoli si vantavano innanzi a Cristo, della magnificenza di quel tempio tanto famoso in tutto il mondo conosciuto, e loro vanto, ma Cristo li stronca subito dicendo che di esso non rimarrà nulla, come dire che gli interessava se di esso fosse rimasto in piedi. Perché il più bel tempio è Dio stesso. Quando l'uomo si attacca alla cose terrene poi Dio ci riporta alla realtà delle cose, e i suoi templi e chiese, vengo distrutti,perché noi amiamo predicare in essi, non con essi. Gesù nostro Dio aveva un solo Tempio se stesso e usava predicare in mezzo alle folle più che in un tempio di pietra. Per altro profezia avverata nel 70 d.C con la distruzione di Tito e come il secondo tempio venne distrutto pure il terzo farà la medesima fine. Finché gli uomini non capiranno che Dio non ama lo sfarzo e il lusso per vantarsi delle pietre e dei bei fregi in essi, tutti questi luoghi saranno abbattuti, questo dice il pezzo. Se le pietre e i fregi fossero graditi a Dio, nessuna chiesa crollerebbe sotto qualsiasi sisma e distruzione, Dio non abita nei luoghi dove esiste il fasto ma nei luoghi umili e semplici, come fu a Fatina in una piccola grotta si mostrò, così a Lourdes. Sempre luoghi spogli, sempre luoghi poveri, mai nelle chiese dove il fasto e l'oro sono necessari per colpire i fedeli. A Dio si da tutto il meglio che si ha, ma non per costrizione di una chiesa costruita sul lusso e sul fasto sul bisso e sullo scarlatto, è una richiesta non di Dio ma del cuore umile dell'uomo perché Dio non ama nel il lusso, ne le pietre, nel il bisso, ne lo scarlatto, ma la purezza delle menti e dei pensieri sinceri, nulla di più; i palazzi fastosi non se ne fa nulla li abbatte. Così fece per il suo tempio famoso di Re Salomone. Fintanto che la chiesa non considererà la parole di Cristo intesta a tutti i santi e porrà i santi prima di Dio, essa crollerà sempre.

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