di don Alfredo Morselli
Sul sito Scuola Ecclesia Mater, è comparso un articolo in cui viene preso in considerazione un paragrafo - per lo meno strano - dell'Esortazione Amoria laetitia: il documento non è problematico solo per la messa in discussione - di fatto - della morale dell'oggetto (chiedo umilmente al S. Padre perché in un enciclica dove si trattano problemi di morale fondamentale non vien mai citata nemmeno una volta l'enciclica Veritatis spendor), ma per altri punti veramente ambigui.
"A titolo esemplificativo - scrive il sito - valga questa “pillola”, tratta dal § 149 di AL:
«Alcune correnti spirituali insistono sull’eliminare il desiderio per liberarsi dal dolore. Ma noi crediamo che Dio ama la gioia dell’essere umano, che Egli ha creato tutto “perché possiamo goderne” (1 Tm 6,17). Lasciamo sgorgare la gioia di fronte alla sua tenerezza quando ci propone: “Figlio, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice” (Sir 14,11.14). Anche una coppia di coniugi risponde alla volontà di Dio seguendo questo invito biblico: “Nel giorno lieto sta’ allegro” (Qo 7,14). La questione è avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di espressione nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore. In tal senso, si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive. Tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento».
Il paragrafo è inserito nella parte relativa all’«Amore appassionato» e segnatamente nella sezione «Dio ama la gioia dei suoi figli», immediatamente prima di quella concernente «La dimensione erotica dell’amore». Dunque, il tema considerato dal § 149 attiene propriamente alla dimensione di piacere del rapporto di coniugale.
Tuttavia, nel discorso si vede emerge una categoria insolita per la teologia cattolica, vale a dire quella dell’«allargamento della coscienza»; una categoria poco comprensibile nell’ottica del Cristianesimo, ma che trova la sua collocazione perfetta all’interno delle filosofie indù ed in quelle di stampo New Age (salvo il supporre malignamente che qui si sia voluto far riferimento al pensiero di Jung o a personaggi come Jim Morrison dei Doors, che era notoriamente “maestro” nella pratica dell’«allargamento della coscienza»). Sta di fatto che nel menzionato paragrafo si accolgono di fatto queste pratiche, legate al tantra o al kama-sutra o al taoismo, il cui fondamento ultimo non è nella fede cristiana bensì nella Gnosi e nella tradizione esoterica orientale. L’aspetto drammatico, e per certi versi paradossale, è che vengano suggerite da un lato – alle coppie cristiane – tali pratiche per uscire quasi dalla “noia della quotidianità” o, come si legge nel testo, per “non rimanere prigionieri in un’esperienza limitata” («…si può accogliere la proposta di alcuni maestri orientali che insistono sull’allargare la coscienza, per non rimanere prigionieri in un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive…») e, dall’altro, tali pratiche volte all’ampiamento della coscienza sarebbero quasi perfezionamento e coronamento dello stesso piacere di coppia («tale ampliamento della coscienza non è la negazione o la distruzione del desiderio, bensì la sua dilatazione e il suo perfezionamento»).
Affermazioni che, prese nel loro significato, destano non pochi interrogativi circa la loro compatibilità con il depositum fidei.
Che dire su queste considerazioni del sito Scuola Ecclesia Mater? Ne condividiamo al 100% le preoccupazioni e riportiamo l'insegnamento sulla stessa materia di Pio XII: che maggior chiarezza, che fuga dei dubbi, che purezza dottrinale... che nostalgia di un magistero chiaro!
Discorso di Pio XII alle partecipanti al Congresso dell'Unione Cattolica Italiana Ostetriche (29 ottobre 1951):
"… Quello stesso Creatore, che nella sua bontà e sapienza ha voluto per la conservazione e la propagazione del genere umano servirsi dell'opera dell'uomo e della donna, unendoli nel matrimonio, ha disposto anche che in quella funzione i coniugi pro vino un piacere e una felicità nel corpo e nello spirito. I coniugi dunque nel cercare e nel godere questo piacere, non fanno nulla di male. Essi accettano quel che il Creatore ha loro destinato.
Nondimeno anche qui i coniugi debbono sapersi mantenere nei limiti di una giusta moderazione. Come nel gusto dei cibi e delle bevande, così in quello sessuale, essi non debbono abbandonarsi senza freno all'impulso dei sensi. La retta norma è dunque questa: L'uso della naturale disposizione generativa è moralmente lecito soltanto nel matrimonio, nel servizio e secondo l'ordine dei fini del matrimonio medesimo. Da ciò consegue che anche soltanto nel matrimonio e osservando questa regola, il desiderio e la fruizione di quel piacere e di quella soddisfazione sono leciti. Poichè il godimento sottostà alla legge dell'azione, dalla quale esso deriva, e non viceversa, l'azione alla legge del godimento. E questa legge, così ragionevole, riguarda non solo la sostanza, ma anche le circostanze dell'azione, di guisa che, pur restando salva la sostanza dell'atto, si può peccare nel modo di compierlo.
La trasgressione di questa norma è tanto antica quanto il peccato originale. Però al tempo nostro si corre pericolo di perdere di vista lo stesso principio fondamentale. Al presente, infatti, si suole sostenere, con le parole e con gli scritti (anche da parte di alcuni cattolici), la necessaria autonomia, il proprio fine e il proprio valore della sessualità e della sua attuazione, indipendentemente dallo scopo della procreazione di una nuova vita. Si vorrebbe sottoporre ad un nuovo esame e ad una nuova norma l'ordine stesso stabilito da Dio. Non si vorrebbe ammettere altro freno nel modo di soddisfare l'istinto che l'osservare l'essenza dell'atto istintivo. Con ciò alla obbligazione morale del dominio delle passioni si sostituirebbe la licenza di servire ciecamente e senza freno i capricci e gl'impulsi della natura; il che non potrà, presto o tardi, che ridondare a danno della morale, della coscienza e della dignità umana.
Se la natura avesse mirato esclusivamente, o almeno in primo luogo, ad un reciproco dono e possesso dei coniugi nella gioia e nel diletto, e se avesse disposto quell'atto soltanto per rendere felice nel più alto grado possibile la loro esperienza personale, e non per stimolarli al servizio della vita, allora il Creatore avrebbe adottato un altro disegno nella formazione e costituzione dell'atto naturale. Ora invece questo è insomma tutto subordinato e ordinato a quell'unica grande legge della «generatio et educatio prolis», vale a dire al compimento del fine primario del matrimonio come origine e sorgente della vita.
Pur troppo ondate incessanti di edonismo invadono il mondo e minacciano di sommergere nella marea crescente dei pensieri, dei desideri e degli atti tutta la vita matrimoniale, non senza seri pericoli e grave pregiudizio dell'ufficio primario dei coniugi.
Questo edonismo anticristiano troppo spesso non si arrossisce di erigerlo a dottrina, inculcando la brama di rendere sempre più intenso il godimento nella preparazione e nella attuazione della unione coniugale; come se nei rapporti matrimoniali tutta la legge morale si riducesse al regolare compimento dell'atto stesso, e come se tutto il resto, in qualunque modo fatto, rimanga giustificato dalla effusione del reciproco affetto, santificato dal sacramento del matrimonio, meritevole di lode e di mercede dinanzi a Dio e alla coscienza. Della dignità dell'uomo e della dignità del cristiano, che mettono un freno agli eccessi della sensualità, non si ha cura.
Ebbene, no. La gravità e la santità della legge morale cristiana non ammettono una sfrenata soddisfazione dell'istinto sessuale e di tendere così soltanto al piacere e al godimento; essa non permette all'uomo ragionevole di lasciarsi dominare sino a tal punto, né quanto alla sostanza, nè quanto alle circostanze dell'atto.
Si vorrebbe da alcuni addurre che la felicità nel matrimonio è in ragione diretta del reciproco godimento nei rapporti coniugali. No: la felicità nel matrimonio è invece in ragione diretta del vicendevole rispetto fra i coniugi, anche nelle loro intime relazioni; non già, quasi che essi giudichino immorale e rifiutino quel che la natura offre e il Creatore ha donato, ma perché questo rispetto, e la mutua stima che esso ingenera, è uno dei più validi elementi di un amore puro, e per ciò stesso tanto più tenero.
Nella vostra attività professionale opponetevi, per quanto vi è possibile, all'impeto di questo raffinato edonismo, vuoto di valori spirituali, e quindi indegno di sposi cristiani. Mostrate come la natura ha dato, è vero, il desiderio istintivo del godimento e lo approva nelle legittime nozze, ma non come fine a se stesso, bensì insomma per il servizio della vita. Bandite dal vostro spirito quel culto del piacere, e fate del vostro meglio per impedire la diffusione di una letteratura che si crede in dovere di descrivere in ogni particolare le intimità della vita coniugale col pretesto di istruire, di dirigere e di rassicurare. Per tranquillizzare le coscienze timorate degli sposi bastano in generale il buon senso, l'istinto naturale e una breve istruzione sulle chiare e semplici massime della legge morale cristiana. Se, in alcune speciali circostanze, una fidanzata o una giovane sposa avessero bisogno di più ampi schiarimenti su qualche punto particolare, toccherà a voi di dar loro delicatamente una spiegazione conforme alla legge naturale e alla sana coscienza cristiana.
Questo Nostro insegnamento non ha niente da fare col manicheismo o col giansenismo, come alcuni vogliono far credere per giustificare sè stessi. Esso è soltanto una difesa dell'onore del matrimonio cristiano e della dignità personale dei coniugi.
Servire a tale scopo è, soprattutto ai giorni nostri, un urgente dovere della vostra missione professionale…".