Proseguendo nelle letture di poeti contemporanei attraverso i quali sarebbe possibile con un po’ di buona volontà mettere insieme, brano dopo brano, tutte le parti essenziali della messa vetus ordo, mi soffermo su un autore che non ha mai fatto mistero del suo ritorno alla fede cattolica, del quale anzi parlava in questi termini: “Nel 1928, dal Monastero di Subiaco dove avevo trascorso ospite una settimana, […] d’improvviso seppi che la parola dell’anno liturgico mi si era fatta vicina nell’anima”. Ma niente paura, non si tratta di un oscuro poeta di sacrestia. Il suo nome è Giuseppe Ungaretti.
Dalla raccolta Il dolore, sezione Roma occupata, datata 1943-1944, riporto la terza parte della poesia “Mio fiume anche tu” (sarebbe interessante esaminarla per intero, ma è piuttosto lunga: per chi fosse interessato sarà comunque agevole trovarla in rete). Vorrei sottolineare, perché dovremo tornarci sopra, il contesto in cui questi versi si collocano: l’occupazione nazista di Roma, le violenze perpetrate dalle truppe straniere, “la stolta iniquità / delle deportazioni”…
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Nella prima parte sembra prevalere il dubbio:
“Ora che osano dire / Le mie blasfeme labbra: / «Cristo, pensoso palpito, / Perché la Tua bontà / S’è tanto allontanata?»”.
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Nella seconda emerge una risposta:
(“Vedo ora nella notte triste, imparo, / So che l’inferno s’apre sulla terra / Su misura di quanto / L’uomo si sottrae, folle, / Alla purezza della Tua passione”).
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Segue la terza parte:
"Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la piaga appassionata
Dell’amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, ti chiamo Santo,
Santo, Santo che soffri.
.
Evidente l’eco liturgica, la ripresa del Sanctus che prende corpo come un ritornello fino a concludere la poesia. Non si tratta però di una semplice ripresa alessandrina. Ungaretti “dialoga” con le parole della messa, le fa interagire con altri significati. Ne era già un esempio nella prima parte l’utilizzo della formula che precede il Pater noster, …audemus dicere (“Ora che osano dire / Le mie blasfeme labbra”), per introdurre non una preghiera ma l’espressione di uno smarrimento. Le parole Sanctus, sanctus, sanctus nella messa dovrebbero invece essere seguite da Dominus Deus sabaoth, il biblico Dio “degli eserciti”. Il poeta che vive circondato dagli eserciti e dalle loro nefandezze lo ha trasfigurato nel Christus patiens, l’unico in grado di dare significato attraverso il suo sacrificio alla tragicità del momento.
È una raffinatezza poetica che possiamo cogliere solo conoscendo la messa antica. Nel novus ordo, come sappiamo, il Deus sabaoth è diventato un irenico “Dio dell’universo”.
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Jacopo
stavolta la tiri un po' per i capelli.
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RispondiEliminaCaro Inopportuno, grazie per l'opera di traduzione, ma non potresti scriverci via mail, anziché inserire un commento off topic? Se temi che inviando una mail tu possa mettere a repentaglio l'anonimato, non hai che da creare una nuova mail ad hoc, tipo vivabugnini@gmail.com e usare quella...
RispondiEliminaFacciamo così: noi copiamo il testo tradotto e lo posteremo nei prossimi giorni, così potremo tutti divertirci nei commenti a scannarci sui pizzi (preparati, Inopportuno: anzi, chiama pure qualche sodale a darti man forte); quindi cancelliamo i commenti messi qui (da Inopportuno e da quelli che gli han risposto) che con Ungaretti non c'entran nulla.
Anonimo scrive: "stavolta la tiri un po' per i capelli"
RispondiEliminaScusa, ma in una poesia dedicata a Cristo, che per giunta Ungaretti definisce "Santo, Santo, Santo", ti sembra che la liturgia c'entri solo tirata per i capelli?
La faccenda della giovincella però è vera. Ungaretti morì tra i suoi conforti (non esattamente religiosi).
RispondiEliminaQuanto alle svenevolezze otto(e protonove)centesche, anche qui l'inopportuno ha qualche ragione.
Non solo la traduzione è da cani, ma anche l'italiano dei commenti, con o senza parentesi quadre.
RispondiEliminaChissà quali indumentiindosava la fanciulla ungarettiana.
Bella questa sparizione miracolosa di commenti... rende più surreali gli interventi assortiti che accompagnavano la traduzione dell'inopportuno.
RispondiEliminaQuanto alla fanciulla ungarettiana, temo che non indossasse granché, almeno quando dispensava il suo viatico al vecchio satiro poetante.
Caro F.Pernice, avremo modo nei prossimi giorni di sceverare ogni aspetto vestimentario, quando pubblicheremo il testo in proposito tradotto da Inopportuno. Prepariamoci.
RispondiEliminaQuanto alla giovincella... il nostro Jacopo si è prefisso proprio di rintracciare influenze liturgiche preconciliari negli autori che non eran "di sacrestia", più lontani quindi o indifferenti alla religione (e ancor meglio se libertini). Passeremo anche a quelli pii (non ci priveremo mica di Manzoni, o di Huysmans, vero Jacopo?) ma è giusto iniziare proprio dai 'lontani', per mostrare come il peso della millenaria tradizione liturgica pervadesse comunque l'intera società, prima che un cataclisma recidesse le radici.
Se Inopportuno, poi, vuol contribuire a suo modo rintracciando echi di messale di Paolo VI nella letteratura contemporanea, o liriche ispirate, che so, a espressioni liturgiche tipo "dalla Tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo", non ha che da cimentarsi.
Viva Ungaretti, che era sano e non affetto da verginite perversa, che anche Alberto Magno condannava.
RispondiEliminaBeato quell'uomo cui spunterà un fiore in bocca, perchè non almeno uno non l'ha venduto e così non sputerà veleno.
In rpimo luogo desidero ringraziare Jacopo e la Redazione per questa sensibilita' letteraria.
RispondiEliminaQuanto all'inopportuno, penso abbia capito che non ci potra' mai prendere per stanchezza, ma la sollecitudine per il suo ravvedimento e la salute della sua anima saranno costanti.
F.d.S.
E' vero, amici, l'episodio relativo alla dipartita di Ungaretti è stato narrato anche da Carlo Bo (secondo il quale comunque la signora proprio giovane giovane non era, anche se aveva qualche decennio meno dell'ultraottantenne poeta). Bo amava aggiungere che invece il laico Montale era morto recitando il rosario. Vorrei però rifarmi all'autorità del buon Benedetto Croce: un poeta lo si trova solo nella sua poesia, andarlo a cercare nelle pieghe recondite dei suoi fatti biografici è fuorviante.
RispondiEliminaLe FdS si accontentino di fare arrivare i treni in orario, lasciando al Concilio di fare le sue riforme fino in fondo.
RispondiEliminaI sostenitori del vecchi messale sono l'opposto di Ungaretti: lui vecchi amava giovincelle, voi giovanotti amate le vecchie.
Anche tu però, inopportuno, che ami Ungaretti, un vecchiume, classe 1888! Buttalo a mare e leggi piuttosto qualche poeta del 1988!
RispondiEliminaLa distinzione crociana tra il poeta e l'uomo ha fatto il suo tempo.
RispondiEliminaA meno che non si creda alla poesia come splendido dono delle muse.
La poesia è l'essenza dell'uomo, la sua anima che parla.
Effettivamente i commenti ai pizzi di inopportuno sarebbe meglio toglierli.
RispondiEliminaSenza pizzi e trine, ma con scarpe polverose, jeans e camicia torno a far il venditor di fiori dalle maschie radici in maschi pesanti vasi, alla faccia dei veleni olezzanti dell'inopportuno
Temo, caro Pastorelli, che Croce ci porti lontano dal tema di questo sito, anche se alla fine tout se tient, come dicono i francesi. Ovviamente le poesie non sono funghi che spuntano sotto gli alberi, per cui è giusto sapere chi le ha scritte e dove e quando eccetera (quando queste cose sono note). Quello che faceva sobbalzare sulla sedia don Benedetto era la credenza che le poesie fossero spiegabili attraverso lo studio degli accidenti biografici dei loro autori. Questo significa ascriverle in pieno a una sfera pratica, il che per Croce era una somma eresia, e non aveva mica tutti i torti. Fra l'altro la critica "biografica" è tipica di una visione positivista della realtà, quella che una volta si interessava alle cartelle cliniche degli scrittori e più tardi si è dilettata molto di psicoanalisi. Oggi spunta perfino qualcuno che vorrebbe sottoporre i testi letterari a una critica "darwinista"! Ecco, rispolverare qualche nozione crociana in questi casi è un eccellente antidoto, mi creda.
RispondiEliminaNon preoccuparti, Jacopo, di uscire fuori tema: meglio farlo discettando di Croce e di critica idealista, piuttosto che di tomboli e ricami...
RispondiEliminaCaro Jacopo, in Italia c'è stata una lunga stagione in cui denigrare la critica idealista (e non solo la critica) era un passatempo tra i più praticati. Oggi possiamo dire che è quella stagione ad avere fatto il suo tempo, con tutto il suo contorno di filologi, strutturalisti e storicisti, e che don Benedetto e la sua lezione sono decisamente più attuali (oltre che più utili). Invocarlo come un'auctoritas può apparire eccessivo, ma visto che c'è chi lo fa con i ronzini, perché non farlo con un purosangue.
RispondiEliminaD'altronde se non si riesce a considerare l'arte (anche) a prescindere dal profilo biografico, morale e psicologico degli autori, bisognerebbe cominciare a staccar quadri e scrostar affreschi da parecchie chiese...
La poesia è espressione della "persona" che è un concetto ben più vasto di una biografia spicciola.
RispondiEliminaLa persona è vita, corpo, intelletto, anima, cultura, pensiero, storia, aspirazioni, dover essere e voler essere e non poter essere ecc.
Questo intendevo. Non recuperare i cascami del positivismo, che pure ha i suoi meriti in certi settori dello studio dell'uomo.
Ma neppure mi entusiasma la concezione crociana (mi sono formato in un primo tempo col crocianissimo Mario Sansone) che con la sua concezione di intuizione lirica ecc. riduce la Divina Commedia (tanto per fare un es.) a una collana di liriche vedendo la poesia solo o quasi in alcuni episodi dell'inferno. Tutta la struttura teologico-filosofica per lui è "allotria", mentre è parte integrante della poesia dantesca, così come il Paradiso è il punto culminante della poesia cui Dante voleva pervenire, e non l'Inferno. Come è difficile giudicar il Carducci ideale di poeta e come tutta la critica crociana della poesia del novecento è da lasciare alla storia perché egli non ne comprese né lo spirito né i risultati
Ma con questo chiudo il discorso.
Inopportuno ancora continua a manifestare le suggestioni del suo inconscio. Che abbia il complesso della nonna?
Si fa interessante, caro Pastorelli, non chiudiamo così in fretta... Intanto però preciso per Franco che con "autorità" intendevo uomo di grande cultura e capace di far funzionare il cervello. Nessuna volontà di giurare in verba magistri: Croce ha preso anche parecchie cantonate, alcune delle quali grosse.
RispondiEliminaVedo riemergere una vecchia accusa che veniva mossa a Croce, quella di aver fatto "uno spezzatino" della Divina Commedia dicendo che alcune parti erano di poesia e altre di struttura. L'obiezione di Croce è a mio avviso inappuntabile: ha solo mostrato che l'unità della poesia di Dante non è l'unità del testo complessivo della Divina Commedia, il quale contiene anche elementi non poetici (questo è piuttosto evidente), i quali a loro volta non sono affatto da eliminare ma sono da leggere come elementi appunto strutturali. La poesia di Dante non ne soffre, perché nulla di suo le è stato sottratto. Concordo invece con lei, Pastorelli, che Croce come lettore di poesia non ci azzeccasse sempre. La tesi che Ariosto sia il poeta esemplare della nostra letteratura mi ha sempre lasciato alquanto perplesso, tanto per dire.
Vengo alla sua obiezione più importante. Che in una poesia si riflettano anche i fatti biografici di un poeta, la sua cultura, la storia in cui vive ecc., oppure, per esempio, le sue concezioni filosofiche, è indubitabile. Ma non è questo che ne fa un poeta. Ci sono poeti che hanno elaborato filosofie alquanto strambe, o puerili, come Leopardi, e nondimeno sono grandi poeti. Perché ciò che fa grande un poeta altro non è che la sua poesia, il resto è un contorno, per quanto interessante (nel caso di Dante l'elaborazione filosofica è per esempio di tutto rispetto, sicuramente). Sono argomenti però che richiederebbero molto più spazio...
Ma Jacopo, credo che sull'Ariosto Croce abbia scritto cose molto interessanti: il suo saggio suu questo autore è fondamentale eper lo sviluippo della critica ariostesca. A lui sono debitori altri grandi specialisti, ad es. Momigliano e lo stesso Binni.
RispondiEliminaChe il pensiero leopardiano sia puerile è veramente discutibile: si leggano gli interventi sugli atti del convegno leopardiano del '62, se non erro, a cui partecipai, dove anche i crociani come il mio primo grande maestro Sansone svolsero approfondite indagini proprio sulla vastità di questo pensiero esòpressione di un illuminismo sentito come verità e carcere insieme.
La struttura della Divina Commedia è intrinsecamente legata alla poesia e non ne può essere assolutamente divisa. E' essa stessa poesia.
Il pensiero, la filosofia, la teologia, come dimostra il Paradiso, diventano poesia perché esse esprimono tutto l'ardore mistico, tutto il mondo sentimentale e culturale di Dante: insomma tutto il suo animo. Senza quel pensiero, quella teologia, senza quella struttura, la poesia non esisterebbe.
Lo sminuzzamento di un grande poema tra struttura e baleni di poesia appartiene ad una visione della poesia come lirica pura che porta a definire Angiolo Silvio Novaro uno tra i migliori poeti italiani... Parola di Croce.
"Primavera vien danzando, vien danzando alla mia porta...
"Le cose tutte quante /hann'ordine fra loro e quest'è forma / che l'universo a Dio fa simigliante..." e continua la grande sinfonia dell'ordine universale che tende a Dio. Insieme al nostro animo.
Un'uiltima notazione: non è il Paradiso che deve esser letto alla luce dell'Inferno (inferno vivo e umano, ricco di passioni e perciò poetico: Paradiso teologia e pertanto allotria) ma l'Inferno dev'esser letto alla luce del Paradiso: superamento delmondo e delle sue pasioni nell'abbandono nella Sua volontade. Solendidi in questo senso gli studi della Chiavacci Leonardi.
Buona notte: io me ne vo a letto con Dante, Petrarca, Tasso, Manzoni, Leopardi, Pirandello, Pascoli ecc. nel cuore, alla faccia di don Benedetto.
La "filosofia" di Leopardi è un meraviglioso esempio della confusione fra ciò che non è poesia e ciò che lo è. Di più: si immagina una sorta di proprietà transitiva, per cui se uno è un grande poeta (e Leopardi è uno dei più grandi della nostra letteratura), allora anche i suoi ragionamenti devono essere alta filosofia. Con ciò non voglio affatto dire che Leopardi fosse uno stupido (tutt'altro!) o che fra le cose che ha detto, anche in prosa, non ci siano pensieri validissimi. Il fatto è che non aveva una mente filosofica, e ha scambiato per filosofia alcune considerazioni sulla sua situazione pratica.
RispondiEliminaA questo punto i lettori del blog potrebbero pensare che siamo partiti per la tangente rispetto ai temi dello stesso. Un po' di ragione l'avrebbero, ma a guardare bene queste considerazioni si possono trasferire anche al campo che a tutti preme di più. Quando qualcuno dice che siamo cultori di pizzi e merletti, o quando qualcuno considera la religione unicamente sotto il punto di vista sociale, che cosa fa se non un'operazione analoga a quella che Croce rimproverava ai critici pasticcioni che confondono la poesia con la biografia di un autore o con il suo pensiero o con altre cose ancora? Badi bene, qui non si tratta di non prendere in considerazione la biografia o il pensiero di un autore, cose che hanno il loro significato, ma di cercare lì dentro la sua poesia. Chi vede in una messa tradizionale solo pizzi, merletti, gesti "strani" ecc. semplicemente non sa cosa sia una messa e dove bisogna guardare quando si assiste alla sua celebrazione.
Per finire, "Struttura", vede, o "letteratura" meglio ancora, in Croce non sono un concetto negativo. Croce non ha mai detto che Dante poteva scrivere solo il canto V dell'Inferno e risparmiarsi il IV che non vale nulla. O che il IV dobbiamo gettarlo noi nel cestino. Lo leggiamo invece sapendo che è l'alto lavoro di un raffinatissimo intelletto e prepara la poesia del canto V. Sono d'accordo con lei che il Paradiso non è affatto da meno delle altre cantiche e che la critica romantica, di cui anche Croce in fondo è erede, non ha bene inteso questo fatto per ragioni molto contingenti.
Non solo la critica romantica, Jacopo. La tesi della maggiore efficacia poetica della prima cantica rispetto alle altre due è molto antica (tra i suoi sostenitori più espliciti e provveduti vale la pena di citare il Tommaso Campanella della "Poetica"). E senza dubbio contravviene non solo al disegno dantesco, ma anche alla realtà dei fatti poetici.
RispondiEliminaIl Croce di qualche interesse, comunque, è soprattutto il filosofo dell'intuizione poetica. Lì c'è qualcosa (sottolineare: q u a l c o s a) da recuperare. Il Croce critico ha funzionato a intermittenza, con validissime uscite, per esempio sul nostro Seicento, ma anche con discrete scivolate, per esempio - come ricorda Dante Pastorelli - sul nostro Novecento (o, altro esempio, sulle fortune del Tasso).
A dire il vero, si dovrebbe dire - e l'autore del commento non l'ha fatto - che mentre il Sanctus della liturgia è rivolto al Padre, qui è rivolto all'Uomo Dio. Nella liturgia ha valenza dossologica, qui invece la ripetizione del termine ha mero valore iterativo, rafforzativo. Se di ricorrenza liturgica si tratta, è solo a livello di stilema, formale e non di contenuto. Correttezza metodologica vorrebbe che si ricercasse l'elemento liturgico assunto come tale. Non mi ricordo quale lettore ha citato l'ultimo Luzi, ma direi che lì c'è molto di più. Jacopo, può provvedere?
RispondiEliminahttp://www.arts.ed.ac.uk/italian/gadda/Pages/resources/walks/pge/sacroreabaud.php
RispondiEliminaCaro inopportuno,
RispondiEliminail treno delle riforme di cui parli e' ahime' deragliato (se l'obiettivo rimane quello della salvezza delle anime). Passando alle vie del mare, ricorda gli ingegneri del Titanic. Avevano costruto una nave "inaffondabile", ma poi qualcosa e' andato storto....
La tua presenza qui testimonia del fatto che il sacro argomento di questo sito gode di "eterna giovinezza" (absit iniuria verbis).
Comunque far arrivare i treni in orario mi sembra un obiettivo legittimo. Ma immagino che nella tua societa' ideale non ci sia bisogno di volgari mezzi di trasporto.
In Cristo Signore,
F.d.S
eh, caro Franco, se vogliamo proprio dircela fuori dai denti, la forza di Croce è nel fatto che chi è venuto dopo di lui ha combinato poco. Ma adesso non vorrei tirarmi addosso le ire dei sostenitori della filologia, dello strutturalismo, della semiologia, della critica marxista e psicoanalitica, per cui mi autocensuro. Come filosofo, so che non è molto amato dagli esperti della materia perché la sua è una filosofia applicata che poco ha a che vedere con le vette della speculazione metafisica. Più che con Kant, Hegel ecc. andrebbe messo con Vico e altri pensatori di questo genere.
RispondiEliminaA El Cid: Non ho capito bene l'obiezione. Ungaretti sicuramente non voleva creare una liturgia o inserirsi al suo interno. Come in genere fanno i poeti veri quando riprendono un testo altrui, gli ha dato un significato nuovo.
Dici bene. Potrebbe esserci in giro qualche inopportuno nipotino di Contini, Segre o De Robertis (o qualche inopportuno pronipote del D'Ancona o del Pasquali), perciò è meglio non trascinare troppo per le lunghe questa digressioncella su don Benedetto da Pescasseroli.
RispondiEliminaIl mio poeta preferito è padre Turoldo.
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