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domenica 1 dicembre 2024

Commenti alla «Lettera circolare agli Amici della Croce», di S. Luigi Grignion di Montfort

Un commento ad un importante documento di un grande Santo.
“Siate fortemente uniti nello spirito e nel cuore. Tale vostra unione è di molto più salda e più temibile contro il mondo e l’inferno, di quanto non lo siano, per i nemici di uno Stato, le forze esterne di una nazione compatta. I demoni si uniscono per perdervi; voi unitevi per abbatterli”.
Luigi C.


Nel 1714, S. Luigi Maria Grignion di Montfort scrisse la «Lettera circolare agli Amici della Croce», indirizzata ai membri di un’associazione laicale di Nantes di cui era ispiratore.

Plinio Corrêa de Oliveira commentò quest’opera in una serie di sedici riunioni per soci e cooperatori della TFP brasiliana, nel 1967. Siamo lieti di trascrivere alcuni brani delle prime tre conferenze. Il testo è tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’autore, e conserva quindi la struttura del linguaggio parlato. I sottotitoli sono redazionali.

Prima conferenza

Leggiamo, quindi, un brano della «Lettera circolare agli Amici della Croce», di S. Luigi Maria Grignion di Montfort:
“Amici della Croce, alunni di un Dio crocifisso! Il mistero della Croce è sconosciuto ai Gentili, respinto dagli Ebrei e disprezzato dagli eretici e dai cattivi cattolici. Eppure è questo il grande mistero che dovete apprendere sperimentalmente alla scuola di Gesù Cristo e che solo da lui potete imparare. Cerchereste invano in tutte le scuole di pensiero dell’antichità un filosofo che l’abbia insegnato; invano chiedereste consiglio alla luce dei sensi e della ragione. Solo Gesù Cristo, con la sua grazia vittoriosa, può farvi conoscere e gustare tale mistero.

“Alla scuola di sì gran Maestro, diventate dunque esperti in questa scienza sovreminente e con essa possederete tutte le altre scienze, perché questa le racchiude tutte in modo sublime. Questa è la nostra filosofia naturale e soprannaturale, la nostra teologia perfetta e misteriosa, la nostra pietra filosofale che per mezzo della pazienza rende preziosi i metalli più vili e trasforma i dolori più acuti in delizie, la povertà in ricchezza, le umiliazioni più profonde in motivo di gloria.

“Chi di voi sa portare meglio la croce, anche se analfabeta, è il più sapiente di tutti. Udite il grande apostolo Paolo. Dopo il ritorno dal terzo cielo in cui ha conosciuto misteri nascosti persino agli angeli, esclama di non sapere e di non volere conoscere altro se non Gesù Cristo crocifisso. Consolati, povero uomo non istruito, povera donna senza talenti e cultura. Se sai soffrire con gioia, ne sai più di un professore della Sorbona che non sappia soffrire bene come te”.

L’anima che ama la Croce di Cristo: una “pietra filosofale”, generosa e soprannaturale

Ci sono molti pensieri qui. Uno è il principio: che l’amore alla croce dà all’anima una categoria, una qualità che la trasforma in una sorta di “pietra filosofale”. Secondo antiche leggende, la “pietra filosofale” era una pietra misteriosa che, per semplice contatto, tramutava in oro anche i materiali più vili.

S. Luigi Grignion paragona l’amore alla Croce alla pietra filosofale. Cioè, la persona che ama la Croce di Cristo è completamente trasformata. Dall’essere un’anima banale, senza orizzonti, tiepida, ripiegata su se stessa, si trasforma per l’amore alla Croce, in un’anima generosa, soprannaturale e come senza difetti. Dico “come” perché è chiaro che la causa principale dei difetti resta.

Qui ci riferiamo al detto di S. Luigi Grignion: “La croix la rend fervente et pleine de vigueur” (La Croce la rende fervorosa e piena di vigore).

L’amore alla Croce: accettazione teorica e concreta della necessità della sofferenza

In cosa consiste l’amore alla Croce? Naturalmente, l’oggetto immediato è il dolore di Nostro Signore Gesù Cristo crocifisso, cioè il dolore della Sua passione e morte.

La Croce è lo strumento materiale del Suo dolore. Dietro di essa, però, vi è l’accettazione del principio secondo il quale, dopo il peccato originale, è necessario che l’uomo soffra. L’uomo che non vuole affrontare le sofferenze, sentendo sulle spalle il peso del dolore, facendo il proprio dovere, questo uomo non vale nulla. Al contrario, se egli ha la volontà di accettare le sofferenze, allora egli si trasforma completamente.

Le Croci possono essere grandi o piccole, secondo la scuola spirituale di ciascuno. Ciò che è necessario, però, è la rinuncia al mito che si possa vivere senza la Croce, ricusando con orrore qualsiasi sofferenza, rifiutandosi di essere un’anima forte.

Forte nel senso che, in unione con Nostro Signore Gesù Cristo e le lacrime di Maria Santissima, l’anima ottiene il potere di soffrire ciò che la Provvidenza gli chiede. Grandi sofferenze, se la Provvidenza gli chiede grandi sofferenze; piccole sofferenze, se la Provvidenza gliene chiede di piccole. L’anima deve essere sempre disposta a dire “sì” a qualsiasi sofferenza la Provvidenza voglia porre sulla sua strada. Questo è amore alla Croce.

Amore alla Croce e necessità della grazia. Ruolo della Madonna

Questo amore alla Croce è un aiuto soprannaturale che non può essere ottenuto senza una grazia. Pensare di avere tale amore senza una grazia soprannaturale è stoltezza. Gli uomini hanno un naturale orrore della sofferenza, non hanno nessun amore per nessuna forma di sofferenza.

Questo amore è una grazia del Cielo che si ottiene per mezzo della Madonna, per i meriti immensi del suo dolore e, soprattutto, per i meriti infiniti della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Questa è la grazia che noi chiediamo. È così che l’anima diventa forte.

Esempio dell’azione della grazia: l’assedio all’Alcázar di Toledo

Qualche tempo fa abbiamo sentito il racconto del famoso assedio all’Alcázar di Toledo, durante la guerra civile spagnola del 1936. La guerra fu una reazione dei cattolici contro i comunisti, in uno scontro aperto. Nella città di Toledo, chi voleva fuggire dai comunisti, trovava riparo nell’Alcázar, un castello medievale, dove allora funzionava la Scuola Militare.

La maggior parte delle persone lì riunite per caso, in realtà lo erano per un disegno della Provvidenza. Di sicuro, nessuno di loro aveva mai pensato di diventare un eroe. E, tuttavia, compirono atti meravigliosi di eroismo, perché corrisposero alla grazia divina che diede loro la forza di realizzare cose assolutamente incredibili. Qui si vede la potenza della grazia.

Ci accorgiamo, dunque, come la grazia ha trasformato uomini e donne della strada, riparati nell’Alcázar per fuggire dai comunisti, in veri eroi ed eroine, che hanno scritto una delle pagine più epiche di eroicità cattolica di tutti i tempi.

La TFP, un “Alcázar” ideologico

Ciò che accadde a queste persone può accadere anche a noi: la grazia ci può raggiungere e trasformare in eroi. Infatti, la vocazione di un membro della TFP è di essere un eroe. La TFP è una sorta di “Alcázar” ideologico.

Tutto ciò che si racconta su quella fortezza, è paragonabile sul piano morale alla nostra lotta, che è tremenda, ai nostri sforzi e alle nostre azioni. Noi dobbiamo chiedere questo amore alla Croce, per diventare degni di tale vocazione.

Qualcuno dirà: “Quello (dell’Alcázar ndr) fu un gesto normale, il popolo spagnolo è di per sé molto eroico”. Rispondo: è molto eroico, ma sa pure scappare. La Spagna non è solo la terra di Don Chisciotte, ma anche di Sancio Panza. In tutto il mondo vi sono Sancio Panza. Eccome!

Seconda conferenza

La «Lettera circolare agli Amici della Croce» cattura la mia attenzione sin dal suo incipit: un titolo tanto glorioso per un’opera così breve che l’autore ha voluto darle la forma di una lettera.

È chiaro che S. Luigi Grignion aveva in vista una determinata categoria di persone. Non conosco la storia dell’opera, ma a giudicare dal titolo mi sembra evidente che è un documento destinato a infervorare un certo gruppo di persone, che egli conosceva, e che erano già particolarmente amiche della Croce, in un’epoca, come quella nostra, poco amica della Croce.

È, pertanto, una lettera di infervoramento, indirizzata a un determinato tipo di anime che già amano la Croce. Non si tratta di un documento scritto per persone che sono nemiche della Croce di Cristo. È un dettaglio che può sembrare banale, ma che ha la sua portata.

Poiché uno è il linguaggio quando si parla ai nemici. Un altro è quello che si utilizza per gli amici. Un ulteriore ancora, il linguaggio per i fratelli, già entusiasmati per l’ideale, e che si vuole infervorare ancor di più, spingendoli in avanti. Credo che questa lettera sia indirizzata alle ultime due categorie.

Si mescolano, infatti, due tipi di considerazioni: alcune per stimolare l’amore alla Croce, altre per fornire argomenti contro i nemici della Croce. Vi è una dicotomia che percorre tutta l’opera: ora S. Luigi scrive cose che possono interessare direttamente l’amico della Croce, ora egli scrive cose che possono servire all’amico della Croce per argomentare contro i nemici.

Detto questo, riprendiamo la lettura della «Lettera circolare agli Amici della Croce» di S. Luigi Maria Grignion di Montfort.

“Cari Amici della Croce,

“La divina Croce mi tiene nascosto, obbligandomi al silenzio. Non posso, quindi, né desidero rivolgervi la parola, per confidarvi i sentimenti del mio cuore sull’eccellenza e le pratiche sante della vostra unione nella Croce adorabile di Gesù Cristo”.

Leggendo ciò si rafforza in me l’idea che ci troviamo dinanzi a una fraternità o a un’associazione. Nel modo in cui S. Luigi parla dell’unione di questi amici nella Croce adorabile di Gesù Cristo, c’è qualcosa che non riesco a descrivere a parole, ma che dà l’impressione che si tratti di una circolare interna di un’associazione speciale della quale egli era, se non il fondatore, almeno il direttore, e che egli cerca di infervorare.

Come la Rivoluzione francese si formò nel “grembo” dell’Ancien Régime

“Oggi, ultimo giorno del mio ritiro, esco per così dire dall’incantevole soggiorno del mio spirito, per delineare su questa carta alcuni lievi tratti della Croce, affinché si imprimano nel vostro buon cuore”.

È una cosa fantastica! Si tratta di un prete su cui pesa un’interdizione [dei vescovi], e che fa un ritiro spirituale. Durante il ritiro, scrive questa lettera fiammeggiante di amore per Dio! L’interdizione dei vescovi mostra come la Rivoluzione francese si stesse già forgiando nel grembo dell’Ancien Régime. Una situazione nella quale accadeva che la stragrande maggioranza dei vescovi assumesse un atteggiamento persecutorio nei confronti di un santo, mentre allo stesso tempo favoriva il giansenismo, evidentemente stava covando le peggiori cose possibili.

È importante capire questa mostruosa situazione dell’episcopato francese di allora, non senza paragone con la situazione di molti vescovi di oggi [1967, ndr], dalla quale nasceranno cose incomparabilmente peggiori di quelle del 1789.

Questo ci permette anche di vedere come alcune delle peggiori manifestazioni della Rivoluzione (1) siano state generate da abusi ecclesiastici.

Nucleo della grazia dell’amore alla Croce: obbedienza, servizio, olocausto

“Volesse Dio che il sangue delle mie vene, più dell’inchiostro della mia penna, li renda penetranti! Ma che sto dicendo, se il mio sangue è quello di un peccatore troppo colpevole! Lo Spirito del Dio vivente sia dunque la vita, la forza e il contenuto di questa mia lettera; la sua amabilità sia l’inchiostro del mio calamaio! La Croce divina sia la mia penna, e il vostro cuore il foglio sul quale andrò scrivendo!”

Questa non è pura letteratura. Ha un po’ il tono della letteratura del suo secolo, ma contiene un profondo pensiero teologico: affinché qualsiasi cosa sia buona, è necessaria la grazia di Dio.

La grazia è particolarmente necessaria in ciò che riguarda la Croce di Cristo. L’uomo è così avverso alla sofferenza, nemico per eccellenza della sofferenza, profondamente egoista, che senza una grazia particolarmente intensa, particolarmente possente, l’azione di una persona non è in grado di svegliare in un altra l’amore alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo.

Questo ci riporta a un tema che abbiamo discusso in altre riunioni: l’ammirazione (2). È l’ammirazione per la Croce che ci dà il coraggio di abbracciarla.

Con l’ammirazione, la grazia agisce in una tale profondità nell’uomo, che lo trasforma quasi senza che egli se ne accorga. Qualcosa comincia a produrre in lui una gioia, un amore latente per Dio e per la Madonna. Man mano, la grazia cambia la sua anima. È la metanoia, il cambio di mentalità di cui parlò S. Giovanni Battista.

L’amore alla Croce è la causa, la sostanza e il sintomo della metanoia. Stiamo, dunque, trattando di un punto assolutamente fondamentale per la vita spirituale. Quanto più la persona contempla con amore la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, tanto più diventa sempre più desiderosa di obbedienza, servizio e olocausto. Ora, l’obbedienza, il servizio e l’olocausto sono delle croci.

L’obbedienza è fare la volontà altrui e non la propria. Questo per l’uomo è una croce. Il servizio è servire gli interessi altrui, e non i propri. Anche questo è una croce. L’olocausto è l’auge della donazione di se stessi. Battersi per un altro, sacrificare per un altro tutto ciò che abbiamo, offrendo perfino la nostra vita, è l’auge del sacrificio.

Questi tre atteggiamenti dell’anima – obbedienza, servizio e olocausto – sono delle croci. In fondo, sono la sostanza di ogni croce che esiste sulla terra. L’amore alla Croce nasce dall’ammirazione per le cose di Dio, che è questa grazia così eccezionale di cui abbiamo parlato [nelle recenti riunioni]. L’amore alla Croce è una grazia fondamentale.

Concetto di “Amico della Croce”: la Croce come vessillo di guerra

“Eccellenza degli Amici della Croce.

“Amici della Croce! Vi siete uniti come soldati crocifissi per combattere il mondo!”

“Crocifissi”, cioè crociati. È interessante notare che S. Luigi Grignion usa la parola “Croce” come vessillo di guerra.

Nel definire gli “Amici della Croce”, S. Luigi Grignion li presenta subito come crociati. È una correlazione immediata: essere un amico della Croce vuol dire essere un crociato, vuol dire prendere la Croce come vessillo di battaglia, vuol dire prendere la Croce per andare in guerra contro i suoi nemici, interni ed esterni.

Voi ben vedete lo spirito che anima S. Luigi Grignion, già dalle prime righe della «Lettera». È caratteristico del suo spirito l’essere combattivo, egli ha qualcosa di infuocato e di aggressivo. Ci sono molti passaggi nelle sue opere dove egli sfoggia un aria nitidamente aggressiva contro l’avversario, non nel senso di attaccarlo in quanto persona, ma di combattere i suoi difetti. Questo è lo spirito di crociata che brilla già dalle prime righe della «Lettera Circolare agli Amici della Croce».

Vorrei sottolineare questo, affinché noi possiamo estirpare dalle nostre anime qualsiasi connotazione romantica nel parlare degli “amici della Croce”. Quando sentiamo discutere di un “amico della Croce”, a volte tendiamo a immaginare una povera vecchietta col piede gonfio che si trascina in chiesa per la Messa. Pensiamo: “Quella povera vecchietta sta portando una grande croce!”. Lungi da me denigrare una tale situazione, che può essere anche santa. Ma da lì a dire che questo è l’essenza dell’amore alla Croce… L’amore alla Croce consiste essenzialmente nella combattività, è uno spirito di iniziativa.

“Vi siete uniti come soldati crocifissi per combattere il mondo, non con la fuga - come i religiosi e le religiose - per timore d’essere vinti, ma come valorosi e bravi lottatori che scendono sul campo di battaglia, senza cedere terreno e senza volgere le spalle al nemico. Coraggio! Combattete da prodi!”

Ecco! Vedete? È esattamente ciò che io dicevo. Lui, fondatore di una congregazione religiosa che ha riunito persone per fuggire dal mondo, conosce pure la varietà dei doni che esistono nella Chiesa. Egli capisce che alcune persone devono rimanere nel mondo per combattere. Perché rimanere nel mondo è sinonimo di combattimento. Non si può restare nel mondo senza combattere. Bisogna restare nel mondo e combattere. Ed è per questi combattenti che egli scrive.

Come sono questi combattenti? Sono “valorosi e bravi”, che combattono “senza cedere terreno e senza volgere le spalle al nemico”. Tutto qui? No. Egli termina con un proclama: “Coraggio! Combattete da prodi!”. Cioè, non basta essere saldi, è necessario prendere l’iniziativa!

In questo brano c’è qualcosa del timbro di voce di San Luigi di Montfort, che è insostituibile! Ed è per questo che ho voluto leggere il suo stesso testo, per poi fare alcune osservazioni in seguito. Così come, guardando la fotografia di una persona si possono scorgere aspetti della sua psicologia, in questo brano si vede tutta la psicologia di San Luigi di Montfort: bruciando di amore e di entusiasmo, non avendo un solo minuto che non sia di amore superlativo, profondamente cosciente di ciò, allo stesso tempo volge lo sguardo all’ideale che lo entusiasma e all’azione guerriera.

Egli procedeva, in modo del tutto naturale, dal fuoco della contemplazione al fuoco dell’azione. Era un apostolo di fuoco, che trascinava dietro di sé molte persone, che egli poi lanciava nel fuoco del combattimento. Per lui, questa triplice azione ignea era una sola. Egli era un focolare ardente. Ecco ciò che si sente in queste parole: esse comunicano calore. Sono le parole che userebbe un generale per dare l’ordine di marcia a una colonna militare, per iniziare un’azione bellica.

Saggezza senza contaminazione mondana

San Luigi di Montfort era una specie di angelo, perché ciò che diceva e faceva era più da angelo che da uomo. Mentre leggevo il suo libro, ho avuto l’impressione che egli fosse un essere elevato a una categoria più angelica che umana, più un angelo che un uomo, uno spirito in cui la carne rappresentava un ruolo molto secondario. Un uomo con l’amore di un serafino, che bruciava costantemente. È lo spirito di S. Elia profeta, è lo spirito della Contro-Rivoluzione.

È uno spirito che ha qualcosa di una castità primaverile, un candore innocente, una saggezza incontaminata che non conteneva la minima concessione allo spirito della Rivoluzione. Era un puro spirito delle [schiere] della Madonna lavorando tra gli uomini, come appunto potrebbe fare un angelo.

S. Luigi di Montfort era ammirevole nella sua purezza, che egli inglobava nella virtù della saggezza. Quel continuo fiammeggiare è la saggezza angelica. La saggezza è sempre al suo apice e non scende mai sui pendii della montagna, fiammeggia sempre nel punto più alto. Questo era S. Luigi Maria Grignion di Montfort.

Ecco l’impressione, intensissima, che egli mi dà e che forse io non riesco a trasmettervi per intero. In ogni caso, questo è un tentativo da parte mia per farvi sentire il tono, quasi il calore personale, di San Luigi di Montfort.

Io vorrei poter trasmettervi questo, perché è essenziale per capire il nostro imparagonabile patrono e il motivo per il quale io ho messo la sua immagine in questo posto centrale nella Sede del Regno di Maria [sede centrale della TFP brasiliana, ndr].

Terza conferenza

L’unione delle menti e dei cuori è l’arma più temuta dal mondo e dal demonio

“Siate fortemente uniti nello spirito e nel cuore. Tale vostra unione è di molto più salda e più temibile contro il mondo e l’inferno, di quanto non lo siano, per i nemici di uno Stato, le forze esterne di una nazione compatta. I demoni si uniscono per perdervi; voi unitevi per abbatterli”.

Mi piace molto questo pezzo, che ha un senso profondissimo di saggezza e di realtà.

S. Luigi dice questo: se gli Amici della Croce saranno fortemente uniti da un’unione delle menti e dei cuori – cioè un’unione di principi, di spirito e di volontà – tale unione sarà infinitamente più forte e più formidabile contro il mondo e il demonio, come lo sarebbe uno Stato che deve affrontare nemici esterni, meglio se compattamente, piuttosto che le singole persone.

S. Luigi Grignion di Montfort è vissuto tra la fine del regno di Luigi XIV e i primi anni della Reggenza di Filippo d’Orléans. L’Europa era spesso in guerra, e quindi l’immagine di una nazione che ne invade militarmente un’altra era molto familiare. Tutti avevano l’idea di un Regno ben unito che ne invade un altro, come l’espressione stessa del pericolo. Egli prende quest’immagine per affermare un principio, che mi è immensamente gradito.

Possiamo immaginare il nemico come un Regno con un re seduto su un trono di fumo attorniato da una corte orribile: è Satana con i suoi seguaci.

Immaginate, dall’altra parte, un Regno dove alcune persone si riuniscono e insieme fanno un atto di amore intenso, di riparazione importante e di consacrazione incondizionata alla Madonna, con tutta la loro anima, mosse da una grande grazia. Io sostengo che questo atto avrebbe, ipso facto, un contraccolpo nel Regno del demonio: la sua potenza si offuscherebbe, il suo potere di comunicazione con i propri seguaci diminuirebbe, i suoi stessi seguaci avrebbero più difficoltà a comprenderlo e a eseguire i suoi ordini.

Questo accadrebbe a causa di due tipi di fenomeno: in primo luogo un fattore soprannaturale, infinitamente più prezioso di quello naturale, e cioè la comunione dei santi. Quando alcune anime si consacrano davvero alla Madonna, che ha potere su tutte le cose, diminuisce la capacità del demonio di fare il male. Un tale atto di amore a Dio, per mezzo della Madonna, confonde il demonio.

I Salmi parlano frequentemente della confusione. Dobbiamo chiedere a Dio di confondere gli avversari, cioè di offuscare la loro visione, affinché non sappiano cosa fare. Dobbiamo chiederGli di far cadere sugli avversari la maledizione della confusione.

Ecco dunque il fattore soprannaturale: la comunione dei santi, per cui le riparazioni e le azioni generose dei buoni pesano sulla bilancia per eliminare o ridurre il peso dei peccati.

Vi è anche un fattore naturale. La società umana può essere paragonata a una rete radiofonica o televisiva. Qui, dove mi trovo, passano tutti i suoni del mondo. Se io avessi un ricevitore abbastanza potente, potrei raccogliere il rumore di una foglia morta che il vento sta muovendo in una piazza in Australia. Il fatto che io non percepisca questo suono non vuol dire che non arrivi a me.

È lo stesso con la società umana. Vi sono tanti fenomeni che producono un certo effetto su di me. Vi è una sorta di “porosità universale” della società umana, un fatto naturale per cui tutto ciò che accade nelle anime finisce per incidere su tutte le altre anime, anche se non se ne accorgono.

Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma Lei non si accorge che sta dicendo una sciocchezza, una fantasia?”. Rispondo: è vero che questo sembra andare contro il buon senso. Tanto quanto, prima della radio, andava contro il buon senso dire che con una piccola scatola io avrei potuto chiamare tutti i paesi del mondo. Un sacco di gente rideva, dicendo che era contro il buon senso. Poi, quando si è avverato, questa gente è rimasta a bocca aperta. Questo quando si tratta di un fenomeno naturale. Perché non può succedere lo stesso con un fenomeno spirituale?

Il principio che io affermo è il seguente: quando alcuni si uniscono, in un’unione come deve essere, attorno alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo, che è il punto di unione per eccellenza, avendo ai Suoi piedi la Madonna, dalla quale scendono tutte le grazie, queste grazie passano attraverso di Lei a tutta l’umanità.

Così, cinque anime perfettamente unite attorno alla Croce possono vibrare un colpo terribile al cuore del covo del demonio. Ed è per questo che io sostengo che quando Sant’Ignazio riunì i primi discepoli a Parigi, nella cripta di Montmartre, con lo scopo di formare la Compagnia, questa unione di anime ebbe un contraccolpo nei covi dei calvinisti e dei luterani. Fu un fatto naturale che vibrò un duro colpo a ciò che l’avversario aveva di più essenziale.

Il senso più profondo dell’apostolato: unirsi intorno a un ideale

Ecco, allora, il senso più profondo dell’apostolato degli Amici della Croce: la presenza di anime entusiasmate intorno a un ideale, e unite attorno ad esso nel massimo grado e modo in cui possano essere unite. Anche se fossero cinque handicappati, ricoverati in un ospedale e disprezzati da tutti, la loro unione sarebbe un evento importante nella lotta della Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione.

Chi non ha questo in mente, anche nei suoi connotati meramente naturali, non capisce la lotta fra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione.

Ecco l’enorme potenziale che abbiamo. Noi siamo stati chiamati a unirci. Anche se il mondo ci dovesse eventualmente negare ogni mezzo di azione, possediamo questo potere semplicemente grazie alla nostra unione. Se fossimo, per esempio, prigionieri nella Lubyanka, uniti in questo grado staremmo combattendo il nemico in modo straordinario.

Un piccolo gruppo di amici fortemente uniti alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo è come un esercito che sta marciando vittoriosamente per sconfiggere l’avversario.

Nostro Signore dice che il Regno dei cieli è dentro di noi. Non sono bravo in esegesi, ma ho l’impressione che il corollario sia: la nostra vittoria è dentro di noi. Siamo ciò che dobbiamo essere, e la nostra vittoria sarà quasi automatica. Essere ciò che si deve essere è molto più importante di qualsiasi altra cosa.

La grande battaglia, invisibile e superiore, degli Amici della Croce

Ho già commentato questo in altre occasioni: tutti gli storici sono unanimi nel considerare la riforma del Carmelo fatta da Santa Teresa come uno dei fattori dominanti della Controriforma [del secolo XVI], persino gli storici laicisti, che non credono alla comunione dei santi e studiano esclusivamente i fattori naturali dicono lo stesso.

Dal punto di vista puramente naturale, fondare un Ordine contemplativo sembrerebbe un errore strategico madornale, perché toglierebbe dalla vita attiva religiose che potrebbero essere impegnate in cause concrete, come ad esempio la lotta contro i protestanti. Invece, sono rinchiuse dietro una griglia e costrette a mantenere il silenzio… Qualcuno potrebbe anche dire che è quasi un tradimento che favorisce il protestantesimo.

Eppure, anche gli storici laicisti, che negano il soprannaturale e non credono alla comunione dei santi, riconoscono, in modo confuso ma molto reale, l’importanza della riforma carmelitana di Santa Teresa di Gesù. Questo perché, cinque monache Carmelitane, “seppellite” in un Carmelo, possono vibrare colpi che scompigliano l’esercito del male. Quanto maggiore sarà il loro amore a Dio e il loro odio al male, tento più forti saranno i colpi contro l’avversario.

Ma anche dalla parte del male vi sono fenomeni di questo genere.

Questa è la grande battaglia, invisibile e superiore, degli Amici della Croce: d’una parte gli Amici della Città di Dio, che portano l’amore a Dio al punto di dimenticarsi di se stessi; dall’altra gli amici del godimento, del piacere e della soddisfazione, che portano l’amore di se stessi al punto di dimenticare l’amore a Dio.

Vedete che è la lotta fra due coalizioni contrarie, che vincono prima di tutto per l’intensità dei loro rispettivi amori. Questo è l’aspetto statico della lotta fra il Bene e il Male, molto più importante dell’aspetto dinamico.

“Gli avari si associano e trafficano per arricchirsi d’oro e d’argento; voi lavorate insieme per conquistare i tesori dell’eternità racchiusi nella Croce. I libertini si uniscono per divertirsi; voi unitevi per soffrire!”.

Qui S. Luigi di Montfort parla di un’azione che non è un’azione esterna. L’avaro raccoglie, non agisce fuori. È il contrario dell’amore di Dio, che è “avaro” con le cose dell’eternità. I suoi tesori sono rinchiusi nella Croce, non è ancora l’azione esterna.

Egli poi mostra uno scontro entusiasmante. Se vi sono così tante persone che si riuniscono per divertirsi, noi dobbiamo vincere questa coalizione di libertini! In quale modo? Solo con la sofferenza? No, la sofferenza in unione con gli altri Amici della Croce. Ecco un punto centrale nella dottrina sulla Croce. È necessario formare questo blocco, questa unione! Questo è il maggior colpo che possiamo vibrare all’avversario.

Confesso che questo tratto di S. Luigi Grignion contiene il fondo delle mie opinioni sull’apostolato, ma proprio il fondo dei fondi. In questo consiste l’aspetto di gran lunga più efficace della lotta fra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione.

Note

1. Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», Luci sull’Est, Roma 1998.

2. Plinio Corrêa de Oliveira utilizza, qui come in tanti altri luoghi, il termine portoghese “enlevo”, difficilmente traducibile in italiano. Vuol dire rapimento, entusiasmo, stupore, incanto, con una nota di dolcezza che attira la persona verso l’oggetto contemplato.