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martedì 22 novembre 2016

Amoris laetitia: la quinta domanda dei Cardinali

di don Alfredo M. Morselli


Qui il quarto dubium, il terzo, il secondo ed il primo)

Il quinto dubium dei Cardinali riguarda la natura e il ruolo della coscienza morale: il § 303 di Amoris laetitia potrebbe apparire fuorviante in materia. Esaminiamone i punti controversi.
AL 303. "A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio…".
Si comincia a parlare di un miglior coinvolgimento della coscienza delle persone, nelle "situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio".
Innanzi tutto ci chiediamo che senso abbia usare l'espressione la nostra concezione di matrimonio, piuttosto che la concezione di matrimonio secondo la legge naturale e la rivelazione cristiana: forse che il matrimonio indissolubile e il sacramento del matrimonio sono una nostra concezione e non una realtà oggettiva?
Inoltre la coscienza non può essere coinvolta meglio: potrà essere meglio educata, meglio formata e come tale deve essere coinvolta nella valutazione della moralità di un atto. Ma continuiamo la lettura del § 303.
"Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia…".
Qui, se le prima parole potrebbero sembrar essere una risposta alla mie precedenti obiezioni, in realtà ci troviamo di fronte a una terribile clericalizzazione della coscienza, quando si dice che questa deve essere "accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore".  Innanzi tutto non è detto che la guida spirituale debba essere necessariamente un sacerdote o vescovo (Pastore ?). In secondo luogo nessun confessore o direttore o padre spirituale potrà mai assecondare la scelta di compiere un atto intrinsecamente cattivo. Proseguiamo la lettura:
"Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno".
Qui il concetto di coscienza morale viene veramente stravolto: da atto della ragione mediante il quale si confronta un atto da compiersi con la legge evangelica e lo si giudica buono o cattivo, la coscienza vien presentata come l'atto mediante il quale la persona determina se è possibile o meno per lei realizzare un certo bene ed evitare un certo male.

Una simile affermazione potrebbe sembrare veramente un peccato contro la fede, inducendoci a pensare che Dio possa chiederci cose impossibili e che ci metta in condizioni di dover compiere per forza un atto necessariamente cattivo. In altre parole, secondo questa concezione, Dio potrebbe lasciarci intrappolati nel peccato: che non sarebbe più peccato solo perché l'uomo non può/non ritiene di poter fare altro che compiere un determinato atto cattivo: e questo atto non sarebbe più intrinsecamente cattivo perché l'uomo non potrebbe fare altro… in attesa di realizzare l'ideale in modo più pieno (quindi le beatitudini sono solo un ideale e non una santità concreta realizzabile sempre e da tutti con l'aiuto della grazia?).

Ah, con che linguaggio sublime insegnava diversamente S. Giovanni Paolo II, quando scriveva:
"La Chiesa propone l'esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all'onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l'amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l'intenzione di salvare la propria vita" [1].
A riprova della gravità delle affermazioni del § 303 di Amoris laetitia, riporto alcune definizioni magisteriali:
"Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio" (Concilio di Trento) [2].
Inoltre, sempre lo stesso Concilio di Trento insegna che:
"Dio non comanda cose impossibili ordinando di resistere a qualunque tentazione, ma ordinando ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa" [3].
Inoltre lo stesso S. Paolo, ci rinfranca, scrivendo:
"Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere" (1 Cor 10,13).
Allora appare veramente appropriata anche il quinto dubium:
5. Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?
I Cardinali richiamano qui un altra mirabile formulazione della dottrina cattolica proposta a credere da S. Giovanni Paolo II: 
Veritatis splendor § 56. Per giustificare simili posizioni, alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l'originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un'opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un'ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. Non vi è chi non colga che con queste impostazioni si trova messa in questione l'identità stessa della coscienza morale di fronte alla libertà dell'uomo e alla legge di Dio.
Ci troviamo dunque di fronte a un dilemma:

Non è possibile "fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale" (Veritatis  Splendor)

oppure

"scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo" (Amoris laetitia).

Santo Padre, risponda, di grazia, e ci dica come è possibile ritenere valide entrambe le affermazioni; se non fosse possibile, ritiri quella sbagliata.

NOTE

[1] Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 91.
[2] Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11; testo ripreso da: H. Denzinger, Enchiridion symbolorum  definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue sulla 40ª edizione (2005) a cura di  Peter Hünermann, Bologna: EDB, 2005/5, n. 1536.
[3] Ibidem.

3 commenti:

  1. DA NON PERDERE
    Fragkiskos Papamanolis, o.f.m.cap, vescovo emerito di Syros, Santorini e Creta, presidente della Conferenza episcopale di Grecia ha così risposto ai suoi 4 confratelli dubbiosi riguardo la loro lettera al Papa.
    http://www.settimananews.it/vescovi/lettera-aperta-ai-4-cardinali/

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  2. DA NON PERDERE
    Buttiglione: “Così risponderei a quei dubbi su Amoris laetitia”

    Il filosofo, profondo conoscitore del magistero di san Giovanni Paolo II, propone una sua personale risposta ai «dubia» sollevati pubblicamente da quattro cardinali sull’interpretazione del documento post-sinodale di Francesco in merito ai sacramenti per i divorziati risposati

    http://www.lastampa.it/2016/11/22/vaticaninsider/ita/commenti/buttiglione-cos-risponderei-a-quei-dubbi-su-amoris-laetitia-EfYEY9YbmVCQc3WQQdM4PM/pagina.html

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    1. Se stiamo aspettando la risposta d'El Papa, che ce ne frega della risposta di Buttiglione ? Come si permette di parlare al posto d'El Papa ?

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