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giovedì 31 luglio 2025

L’identità è potere: la lezione che l’Europa rifiuta. Dialoghi con Gaëtan Cantale e sull’Occidente che sa cosa fare, ma non lo fa #300denari

L’Occidente non sta morendo: sta dimenticando sé stesso. Mentre l’Europa si divide su accordi commerciali, guerre regionali e riconoscimenti diplomatici, emerge una questione più profonda, quasi ignorata dai radar dell’informazione mainstream: abbiamo ancora consapevolezza di ciò che siamo?
Su 300 denari oggi proponiamo un ribaltamento della prospettiva usuale: non è la geopolitica a spiegare la cultura, ma è la cultura a rendere possibile una visione strategica. L’analisi si sviluppa a partire dalla conoscenza con Gaëtan Cantale-Miège per indagare un assunto di fondo: la famiglia non è solo un’istituzione privata, ma un soggetto politico e rigenerativo. E la cultura occidentale, lungi dall’essere un retaggio del passato, rappresenta ancora oggi una risorsa geopolitica di prim’ordine.
Di seguito, attraverso cinque concetti chiave – crisi sistemica, funzione generativa della famiglia, akrasia strategica, sussidiarietà tradita e cultura come risorsa – intendiamo mostrare come una vera rigenerazione politica dell’Occidente non possa avvenire senza il recupero consapevole della sua identità profonda: non un’operazione nostalgica, ma l’unica strategia realista rimasta.

Crisi sistemica e disorientamento strategico
Che l’Europa attraversi una crisi non è una novità. Ma ciò che colpisce oggi è la natura di questa crisi: più culturale che diplomatica, più identitaria che tattica. Prendiamo uno dei temi caldi. Le divisioni tra gli Stati membri sul riconoscimento della Palestina o sulle linee da adottare nel conflitto russo-ucraino non sono semplici divergenze di vedute. Sono l’emergere di una disgregazione semantica: non sappiamo più dare un nome comune alle cose. Parliamo di “valori europei” come si parlerebbe di una eco lontana, senza più radici condivise.
E ancora. La gestione dei dazi imposti da Trump (subiti più che negoziati), l’accordo commerciale UE-Mercosur (bloccato e rilanciato all’infinito), ne è solo un esempio: le retoriche ambientaliste e protezionistiche si sovrappongono, ma dietro si cela una mancanza di visione unitaria, un vuoto antropologico che si riflette in una paralisi politica.

La famiglia, invisibile pietra angolare della civiltà
L’idea che la famiglia sia un semplice fatto privato è un postulato recente. In realtà, da sempre, essa ha rappresentato il primo spazio in cui si forma l’essere umano come cittadino, come lavoratore, come attore sociale. Gaëtan Cantale-Miège invita a superare l’approccio sociologico per riconoscere nella famiglia una vera e propria infrastruttura geopolitica, capace di generare coesione, responsabilità e stabilità.
E non si tratta di un’astrazione teorica. Osserviamo, per esempio, l’Europa centro-orientale: Paesi come la Polonia e l’Ungheria – pur con tutte le criticità che il loro modello democratico può sollevare – hanno puntato su una narrazione pubblica incentrata sulla famiglia, sulla natalità, sulla trasmissione culturale. Il risultato? Maggiore resilienza demografica, un’opinione pubblica meno volatile e una politica estera meno condizionata dalle pressioni esterne. Senza entrare nel merito, ci limitiamo a far notare che questo è un indicatore prezioso: la famiglia funziona anche come leva di rigenerazione politica.

L’akrasia geopolitica dell’Occidente
L’Occidente sa cosa dovrebbe fare, ma non lo fa. Questo paradosso – che la filosofia greca chiamava akrasia, l’atto di volontà che cede alla paura – descrive perfettamente la condizione strategica dell’Europa attuale. Sappiamo che servirebbe maggiore autonomia, sappiamo che servirebbe una visione condivisa, eppure restiamo immobili. Perché?
Una risposta va cercata nella struttura delle nostre élite, spesso più sensibili agli umori dei consessi internazionali che alle dinamiche profonde delle proprie comunità. L’esempio più eloquente è la gestione europea sui dazi imposti da Trump. La consapevolezza della UE di dover difendere il proprio interesse strategico non ha generato una risposta ferma e autonoma, ma una reazione diluita, subordinata al ciclo elettorale americano. Il risultato è stato non solo un danno industriale (industria tedesca docet), ma la conferma della debolezza strutturale dell’Europa nel ridefinire il proprio posto all’interno dell’ordine commerciale globale.

Sussidiarietà capovolta: un continente verticalizzato
Uno dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, diventato parte integrante del dettato costituzionale, è quello della sussidiarietà: le decisioni devono essere prese il più vicino possibile alle persone. Eppure, oggi, l’Europa vive una dinamica inversa. Il centro – Bruxelles, ma anche Berlino e Parigi – detta le condizioni ai margini, annullando la ricchezza delle diversità locali.
Il riconoscimento unilaterale della Palestina da parte di alcuni Paesi europei, come la Francia, ha generato reazioni a catena e tensioni tra Stati membri. Anche qui, senza entrare nel merito della posizione, ciò che colpisce è l’assenza di un quadro comune: ogni decisione sembra isolata, reattiva, priva di un orizzonte strategico condiviso.
In questa dinamica, il principio di sussidiarietà non è solo ignorato: è capovolto. E il risultato è la crescente percezione, in molte società europee, di essere governate da poteri lontani, culturalmente distanti e politicamente autoreferenziali.

La cultura come risorsa strategica
Se l’Occidente ha vinto storicamente – qui vi rimando al magnifico lavoro di Niall Ferguson – non è stato per la superiorità militare, ma per la forza dei significati. La libertà interiore, la ragione critica, la dignità della persona: sono questi i codici che hanno permesso alla civiltà occidentale di costruire ordine, progresso, resilienza. In una parola: la capacità di tenuta.
Tuttavia, oggi questi codici sono stati confinati nel museo della memoria. È urgente recuperarli, non per nostalgia, ma per necessità. La cultura non è ornamento: è potenza rigenerativa, capacità di orientare le scelte collettive, bussola nei conflitti globali.
La Dottrina sociale della Chiesa lo ha sempre sostenuto: la questione sociale è innanzitutto una questione antropologica. Prima dell’economia, viene l’uomo. Prima della governance, viene il senso. Prima dell’efficienza, viene la verità.

Sintesi e rilancio
La rigenerazione dell’Occidente non si giocherà su nuove piattaforme, né su alleanze provvisorie. Si giocherà sul terreno più profondo e meno visibile: quello di una genetica spirituale dell’Occidente.
Recuperare il valore pubblico della famiglia, restituire centralità alla cultura come leva geopolitica, ripensare la sussidiarietà come logica di prossimità e responsabilità: questa è la vera strategia. Non è conservatorismo. È lucidità storica.
Dunque, l’Occidente non ha bisogno di reinventarsi. Ha bisogno di riconoscersi. E di agire, finalmente, di conseguenza.



Bibliografia essenziale



Roberto Manzi – Author | PhD, Communication Sciences | Lic. Theology
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