In parecchi sani ambienti conservatori ed anti-progressisti, circola l’idea fuorviante secondo la quale il debito pubblico sarebbe un’entità a sé stante e potenzialmente alimentabile irresponsabilmente ad libitum, senza alcuna conseguenza. Se a far cambiale loro idea non bastano le Scritture (“Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore”, Proverbi 22:7) e la storia (post MiL su John Law), mi auguro almeno che possa far cambiare loro idea la realtà circostante.
Mario Seminerio, in un recente post pubblicato sul blog Phastidio, avverte di un possibile pericolo: quello della possibile, imminente, “repressione finanziaria”.
A fronte di tassi di crescita economica elevati, le economie occidentali hanno sperimentato importanti diminuzioni degli stock di debito pubblico dopo la II Guerra Mondiale (con alta crescita del Pil, diminuisce per definizione il rapporto debito/Pil). Discesa dello stock che è rallentata ad inizio anni ’70, salvo invertire drasticamente di rotta con la Crisi dei sub-prime e con il Covid-19. In questi casi, grandi espansioni fiscali (spesa pubblica>entrate fiscali) sono state messe in atto al momento delle crisi senza mai rientrare a sufficienza ad emergenza terminata. Il rapporto deficit/Pil delle economie avanzate, risulta ora in un "italianissimo" processo di continuo deterioramento: cioè, in una situazione di incapacità politica di rientrare come spesa pubblica (anche per via dell’invecchiamento della popolazione) e di crescite dei Pil asfittiche e insufficienti.
In generale, come si può proteggere i debiti da eventuali shock finanziari (cioè da drastiche vendite del debito pubblico da parte degli investitori)?
- aumento delle imposte,
- crescita del Pil - e come?
- inflazione - stampare moneta, frodando il potere d’acquisto dei cittadini e
- default.
Tuttavia, in un contesto di libera circolazione dei capitali, buona parte di queste misure sarebbero difficilmente realizzabili. Ad esempio, i capitali fuggirebbero dai paesi ad alta inflazione o con tassazioni ancora più elevate rispetto a quelle correnti. Ecco quindi che si profila un pericolo di possibile repressione finanziaria. “La repressione finanziaria è una categoria molto vasta, che può spingersi all’estremo dei controlli sul movimento dei capitali. L’unica cosa che potrebbe disattivare la globalizzazione finanziaria, ma a prezzo di gravi turbolenze e dissesti. Qualsiasi forma di repressione finanziaria che non limiti i movimenti di capitali (vaste programme) causerà la fuga dei medesimi, e si torna al via”.
Immaginatevi cosa significherebbe imbrigliare i vostri investimenti, il vostro TFR e il vostro fondo pensione ad un range di investimenti il cui perimetro è deciso dall'Unione Europea o dalla Repubblica Italiana, in un paese sempre più disastrato e meno competitivo! Questa dinamica si delinea all'interno dell'ennesimo processo di riduzione di libertà di scambio tra paesi che tanto aveva giovato ai paesi occidentali nel secondo dopoguerra. Scrive Maurizio Milano nel libro “Il Pifferaio di Davos” (già recensito qui da MiL):
“37. La globalizzazione economica post-1991 ha contribuito alla cosiddetta grande moderazione, una pluriennale fase di stabilità nei prezzi di beni e servizi, favorendo allo stesso tempo l'emersione dalla povertà di centinaia di milioni di persone nel mondo: l'evoluzione del quadro geopolitico in atto potrebbe seriamente comprometterla. Una nuova stagione di protezionismo, con un accorciamento delle supply chain - le catene produttive e distributive - deciso per motivi di sicurezza o comunque lato sensu politici, comporterebbe una diminuzione della divisione internazionale del lavoro e una contrazione del commercio mondiale. La minore specializzazione provocherebbe un calo della produttività con un'inevitabile lievitazione dei costi, una diminuzione delle opportunità di scelta per i consumatori e degli spazi di vendita per gli esportatori. Il rischio, in sintesi, è quello di far ripiombare nella povertà chi aveva beneficiato dell'apertura dei mercati mondiali. Se il globalismo come ideologia è da rigettare, la globalizzazione economica, intesa come un'apertura agli scambi volontari tra aree e Paesi diversi, è stata e rimane invece uno dei principali fattori di crescita economica e sociale, a vantaggio di tutti, nonché di promozione della pace. Il rischio che corriamo nei prossimi anni è quello di una ritirata della globalizzazione economica e di un'avanzata del globalismo ideologico. Il peggiore dei mondi possibili: più povero, meno libero, più conflittuale”.
Gabriele
Cerchiamo di pubblicare i commenti evitando un tempismo biblico. Grazie.
RispondiEliminaPosso richiedere un post di commento al Project 2025?
RispondiEliminaQui tutto il materiale: https://www.project2025.org
Molto spesso si dice che l'UE imponga un sacco di norme assurde. Ed è vero: si può fare un elenco lunghissimo delle norme insensate prodotte dall'UE. Tuttavia i vincoli di Maastricht (rapporto debito/pil inferiore al 60% e rapporto deficit/pil inferiore al 3%) sono delle norme più che ragionevoli, anzi, anche fin troppo lassiste.
RispondiEliminaDavvero? Su che basi lo afferma?
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