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giovedì 3 novembre 2022

Magister. La squadra di Francesco al comando della Chiesa. Tutta di gesuiti

Purtroppo ci fu Pio VII...
CUM JESU ITIS, NON CUM JESUITIS (QUI l'ultima su MiL).
Luigi

Settimo Cielo, 31-10-22

Incredibile ma vero. Proprio ora che ha perso in pochi decenni una buona metà dei suoi effettivi, la Compagnia di Gesù è assurta ai vertici di comando della Chiesa cattolica come mai in passato.
Di Francesco si sa. È il primo papa gesuita della storia: lui che pure aveva più avversari che amici dentro la Compagnia e si guardava bene dal mettere piede nella sua curia generalizia, tutte le volte che da cardinale veniva a Roma.
Ma la novità è che in quest’ultima fase del suo pontificato – declinante per età ma non per ambizioni – Francesco si è dotato di una agguerrita squadra d’attacco, tutta sua e tutta fatta di gesuiti.
Il numero uno di questa squadra è indiscutibilmente il cardinale Jean-Claude Hollerich (nella foto), arcivescovo di Lussemburgo. Numero uno, nei piani di Jorge Mario Bergoglio, sia per l’oggi che per il domani.

Per l’oggi il compito assegnatogli da Francesco è di pilotare, come relatore generale, il sinodo mondiale che ha preso il via nel 2021 e che durerà almeno fino al 2024 ma nella mente del papa anche oltre, con il compito di rimodellare la Chiesa all’insegna, appunto, di una “sinodalità” permanente.

Mentre per il domani non è un mistero che Hollerich sia anche il candidato “in pectore” di Francesco per la sua successione, sulla quale il sinodo in corso avrà un peso determinante, obbligando di fatto il futuro papa – chiunque sarà – a prenderlo in consegna e a continuarne il “processo”, un po’ come toccò a Paolo VI con il Concilio Vaticano II ereditato da Giovanni XXIII.

Di questo sinodo mondiale la prova generale è quella in corso in Germania, che sta già contagiando altre Chiese nazionali senza che Francesco vi opponga alcun freno efficace, con l’immancabile litania di riforme alla moda, che vanno dai preti sposati alle donne prete, dalla nuova morale sessuale ed omosessuale alla democratizzazione del governo della Chiesa.

Impossibile non ricordare che alcune di queste erano le riforme che un altro grande gesuita, il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), aveva incluso nell’agenda della Chiesa futura, in un suo memorabile intervento del 1999. Di Martini si sa che aveva un giudizio negativo di Bergoglio, ma i sostenitori dell’attuale pontificato hanno buon gioco a fare di lui il “profeta” delle riforme a cui Francesco starebbe finalmente aprendo la strada e delle quali Hollerich si è già dichiarato più volte a favore.

“L’Osservatore Romano” ha pubblicato lo scorso 24 ottobre un’intervista programmatica a tutto campo con questo colto cardinale gesuita con alle spalle ventisette anni di missione in Giappone. E in essa egli ha ancora una volta auspicato “un cambiamento di paradigma” nella pastorale e nella dottrina della Chiesa in materia di omosessualità, perché anche gli omosessuali “sono frutto della creazione” e quindi non sono “mele guaste” ma “cosa buona”. Certo, non c’è spazio – ha aggiunto il cardinale – per un matrimonio sacramentale tra persone dello stesso sesso, perché lì manca il fine procreativo che caratterizza un matrimonio, “ma questo non vuol dire che la loro unione affettiva non abbia nessun valore”.

E al direttore de “L’Osservatore Romano” che gli faceva notare che i vescovi del Belgio si sono pronunciati a favore della benedizione delle unioni omosessuali, Hollerich ha risposto: “Francamente la questione non mi sembra decisiva. Se rimaniamo all’etimologia di ‘bene-dire’, pensate che Dio possa mai ‘dire-male’ di due persone che si vogliono bene?”.

Queste parole di Hollerich fanno scattare spontanea la domanda: ma non era stato un altro gesuita d’alto grado in Vaticano, il cardinale Luis F. Ladaria, nella sua veste di prefetto della congregazione per la dottrina della fede, a proibire la benedizione delle unioni omosessuali, in un “Responsum” reso pubblico il 15 marzo 2021?

E non era stato Francesco in persona ad aver “dato il suo assenso” alla pubblicazione di questo “Responsum”, dopo esserne stato “informato”, com’era scritto in calce al documento?

Proprio così. Salvo però prendere atto che la domenica successiva, all’Angelus, il papa aveva fatto capire di non gradire affatto “condanne teoriche” né “pretese di legalismi o moralismi clericali” dove invece ci vorrebbero ”gesti di amore”. E “autorevoli fonti vaticane” avevano anonimamente fatto sapere che egli squalificava con ciò proprio il “Responsum” che proibiva la benedizione della unioni omosessuali, da lui approvato a parole.

Insomma, umiliato dal confratello papa, il malcapitato cardinale Ladaria è l’eccezione che conferma la regola. È il gesuita d’antica scuola che Bergoglio tiene in panchina in attesa di mandarlo in pensione, fuori dalla sua squadra. Obbligandolo, intanto, a rispondere “no” a quei cardinali – e ve ne sono stati – che gli hanno chiesto di richiamare Hollerich al rispetto della retta dottrina.

Ma oltre a Hollerich, vi sono altri due gesuiti che Francesco ha fatto recentemente cardinali e ha messo in squadra in ruoli importanti.

Il primo è il canadese Michael Czerny, per molti anni più concorrente che collaboratore del cardinale ghanese Peter K. A. Turkson prima nel pontificio consiglio della giustizia e della pace e poi nel dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, di cui ora è diventato prefetto. Czerny è stato anche segretario speciale del sinodo per l’Amazzonia. Dalla difesa della natura ai migranti, ai “movimenti popolari”, è il cardinale di cui Bergoglio si avvale in questi campi da lui prediletti.

Il secondo è l’italiano Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana e navigato esperto in diritto canonico. Tra i suoi compiti c’è quello di tradurre in disposizioni giuridiche gli atti d’imperio che Francesco compie col piglio d’un monarca assoluto. È di Ghirlanda, ad esempio, la sbrigativa chiusura dell’annosa disputa teologica tra poteri di ordine, cioè derivanti dall’ordinazione episcopale, e poteri di giurisdizione, cioè conferiti da un’autorità superiore, optando per i secondi al fine di collocare anche dei laici, uomini o donne, a capo della curia vaticana, col semplice mandato del papa. E sono sempre di Ghirlanda, nel suo ruolo di “factotum” giuridico al servizio di Francesco, l’azzeramento e la rifondazione imposti dal papa all’Ordine di Malta.

Ma non è tutto. Anche tra i gesuiti non cardinali ve ne sono alcuni che il papa ha collocato in ruoli chiave, a suo servizio.

Nella segreteria generale del sinodo dei vescovi c’è un consultore che di fatto è il collaboratore più stretto del cardinale Hollerich. È padre Giacomo Costa, già direttore della rivista “Aggiornamenti Sociali” dei gesuiti di Milano e vicepresidente della Fondazione Carlo Maria Martini.

Per non dire di padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” e vicinissimo a Francesco fin dalla sua elezione a papa, anche lui molto attivo e pressante nel promuovere il sinodo mondiale sulla sinodalità e in particolare nel coinvolgere nell’avventura – con l’aiuto importante del suo predecessore a “La Civiltà Cattolica” Bartolomeo Sorge (1929-2020) – la conferenza episcopale italiana, inizialmente molto diffidente.

E poi c’è il capitolo delle finanze vaticane, dove Francesco ha nominato il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero Alves prefetto della segreteria per l’economia, l’ufficio che sovrintende all’intero settore.

Inoltre, da un paio d’anni c’è un gesuita anche alla Basilica di San Pietro, a fianco del cardinale arciprete Mauro Gambetti, vicario generale del papa per la Città del Vaticano. È Francesco Occhetta, segretario generale della Fondazione “Fratelli tutti” e fino al 2020 notista politico per “La Civiltà Cattolica”.

E c’è un gesuita anche tra i vescovi ausiliari della diocesi di Roma di cui è vescovo il papa: Daniele Libanori, al quale è affidata la cura pastorale del centro della città.

Col papa i nomi elencati fanno nove. E con Sorge e il “profeta” Martini undici, naturalmente senza mettere nel conto il cardinale Ladaria. Una squadra così, tutta di gesuiti, mai s’era vista al comando della Chiesa.