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venerdì 3 luglio 2020

Vescovi, ascoltate la scienza vera: a Messa senza paura

Un bell'articolo del medico Paolo Gulisano.
Luigi



Oggi il rischio è decisamente assente, eppure le Messe sono ancora regolate dal protocollo concordato da Stato e Cei nei primi di maggio, quando l'epidemia era ancora molto diffusa. Perché continuare ad applicare norme restrittive, mitigate da interventi come quello di ieri del Ministero sui guanti, senza sapere quali sono le evidenze scientifiche che invece consentirebbero di tornare ad una semplice normalità? Si torni a Messa senza paura, vescovi: serve una radicale revisione del protocollo. 
È passato un mese da quando nelle chiese italiane sono riprese le Messe. Un mese nel quale abbiamo visto applicato il protocollo concordato tra Stato e Conferenza Episcopale per consentire le celebrazioni alla presenza dei fedeli.
Da un punto di vista epidemiologico, questo mese ha avuto un significato enorme: abbiamo assistito a una costante netta diminuzione del numero dei casi, dei ricoverati, dei deceduti. Il Covid-19 sta andando incontro a una progressiva scomparsa.

Inoltre, chi si ammala oggi di Covid-19 lo fa in una forma più lieve: il virus ha una carica virale più debole e anche meno contagiosa. Lo continuano ad affermare scienziati come Firmato Alberto Zangrillo, Matteo Bassetti, Massimo Clementi, Donato Greco, Giuseppe Remuzzi che insieme ad altri hanno pubblicato un vero e proprio manifesto, pubblicato dal quotidiano Il Giornale, in cui evidenziano il «crollo inequivocabile dei malati con sintomi e dei ricoveri in ospedale» mentre aumentano in modo esponenziale i casi debolmente positivi che dunque non sarebbero più contagiosi e potrebbero evitare l'isolamento. Il ricorso all’ospedalizzazione è un fenomeno ormai raro. Le evidenze virologiche in totale parallelismo hanno mostrato un costante incremento di casi con carica virale bassa o molto bassa.

Alla luce di tutto questo, dunque, è lecito e doveroso chiedersi: hanno ancora senso le misure restrittive che la Chiesa italiana ha adottato, oltretutto senza specificare quando avranno termine? Si tratta di misure a tempo indeterminato, oppure si può cominciare una fase tre anche in campo ecclesiastico, così come è stata avviata in moltissime altre attività?

Sarebbe bene che la CEI avviasse una rinegoziazione e ridiscussione del protocollo, alla luce delle evidenze scientifiche. Il precedente protocollo- non dimentichiamolo - fu elaborato ai primi di maggio, in una situazione decisamente diversa. Ora, ad esempio, sappiamo con certezza che l'unica via di contagio del COVID a differenza di tante altre infezioni virali sono solo le goccioline di tosse e starnuti: tutte le altre vie di cui si era parlato non sono mai state dimostrate. 

Se dunque il Coronavirus è meno aggressivo e l’epidemia in dismissione, perché mantenere nelle chiese delle misure che di fatto - come abbiamo visto in questo mese di sperimentazione del protocollo - hanno di fatto portato al crollo numerico della partecipazione a Messe che sembrano fatte per tenere lontane le persone, e che si svolgono in un clima di paura e di preoccupazione. Ha ancora senso vietare le celebrazioni nelle chiese che non hanno due vie di accesso, una per l’entrata e una per l’uscita? Anche se i fedeli dovessero “sfiorarsi” nell’entrare o nell’uscire non si trasmetterebbero alcun virus, anche perché se a Messa ci sono degli asintomatici (ed è ovvio che se uno ha la febbre in chiesa non ci va) il rischio è pressochè inesistente.

I Vescovi dovrebbero a questo punto consultare degli esperti, magari scelti tra quelli che abbiamo citato in precedenza, e proporre al governo un nuovo protocollo. Molto più agile e semplice. Basato sulle evidenze scientifiche.

Basterebbero dei cartelli all’ingresso delle chiese che ricordino che non si può partecipare alla Messa se si ha febbre o tosse insistente, che si deve tossire o starnutire solo nel fazzoletto o nel gomito, che non ci si deve stringere la mano in chiesa.

Per il resto le altre attuali misure da “alto rischio biologico” potrebbero essere revocate. Potrebbero essere reintrodotte le panche (sostituite da sedie) là dove sono state tolte; potrebbe essere consentito ai fedeli di inginocchiarsi (il virus - qualora anche ci fosse - non si trasmette dal pavimento alla stoffa dei pantaloni); potrebbe tornare l’acqua santa, visto che è dimostrato che il virus non sopravvive nell’acqua; si potrebbe permettere una “libera circolazione” all’interno della chiesa, senza percorsi obbligati.

Infine, sono ormai ingiustificate le misure con le quali i sacerdoti devono dare la Comunione, in particolare l’uso dei guanti. L’OMS stessa ha recentemente messo in discussione l’utilità dei guanti e alla luce di quanto già espresso in precedenza, si tratta di una misura non necessaria, così come non giustificato da motivi sanitari è l’obbligo di dare la Comunione esclusivamente sulle mani disposto da molte diocesi, un obbligo che peraltro non era nemmeno previsto dal protocollo di maggio.

Un obbligo che non trova nessuna giustificazione di tipo scientifico.

Nonostante questo, la CEI, che negli scorsi giorni ha posto all’attenzione del governo due quesiti specifici in merito alle modalità di celebrazione, si è vista arrivare dal Comitato Tecnico Scientifico di Conte una raccomandazione in merito alla distribuzione dell’Eucaristia che lascia ancor più perplessi; non si parla più di guanti, effettivamente, ma si dice che “in assenza di dispositivi di distribuzione” ( una aggiunta surreale, quasi fossero previste delle macchinette da cui prendere le particole) il celebrante che nella distribuzione avrà avuto la sventura di venire a contatto con la mano del fedele, dovrà immediatamente provvedere all’igienizzazione delle proprie mani. Un intervento di urgenza da attuarsi interrompendo evidentemente la distribuzione agli altri fedeli, oppure avendo a disposizione un chierichetto con il dispenser pronto all’uso.

Ci sono due ulteriori postille alla modalità di ricevimento dell’Eucaristia: secondo il CTS anche i fedeli dovrebbero igienizzarsi le mani prima di accostarsi al Sacramento, e infine si va a rendere il protocollo vigente ulteriormente restrittivo: “Rimane la raccomandazione di evitare la distribuzione delle ostie consacrate portate dall’officiante direttamente alla bocca dei fedeli”. In realtà, come abbiamo ricordato, questa norma non “rimane”, perché non c’era nel protocollo, ma viene inserita ex novo.

Insomma: di male in peggio. A fronte di tutto ciò, sarebbe necessaria non tanto una interpellanza della CEI su singoli dettagli, ma una radicale revisione del protocollo, urgente e necessaria, per consentire che anche le liturgie, come tutte le altre attività del vivere quotidiano, possano presto tornare alla normalità.