Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1311 pubblicata da Paix Liturgique il 2 dicembre, in cui si ritorna ad approfondire e commentare la decisione dell’Arcidiocesi di Parigi e della Congregazione dei religiosi di san Vincenzo de’ Paoli di chiudere e vendere, senza alcun confronto e dialogo con i fedeli che la frequentano, la Chapelle Notre-Dame du Lys, nella quale ogni domenica si celebra una frequentatissima Santa Messa tradizionale, ed il collegato fiorente centro giovanile (QUI; QUI su MiL).
La vendita della Chapelle Notre-Dame du Lys pare inserirsi nelle vicende di una Arcidiocesi finanziariamente al collasso, soprattutto a causa di errori passati e di una diffusa cattiva gestione patrimoniale.
Lorenzo V.
Dietro la strana e brutale fuga dell’Arcidiocesi di Parigi, che ha annunciato ai fedeli e ai genitori dei bambini del Patronage [Centro giovanile: N.d.T.] Notre-Dame du Lys (in rue Blomet) di non poter più sostenere l’attività e di restituire gli edifici alla Congregazione dei religiosi di san Vincenzo de’ Paoli, aleggia uno strano profumo di bancarotta e di intrallazzi.
In una riunione guidata da un mons. Michel Gueguen, Vicario generale dell’Arcidiocesi di Parigi, più clericale che mai, [QUI: N.d.T.]
l’Arcidiocesi di Parigi ha annunciato a una folla di fedeli sconvolti la chiusura, prevista per l’estate, della Chapelle Notre-Dame du Lys (XV arrondissement), adducendo come motivo principale le gravi difficoltà finanziarie (adeguamento alle norme / messa in sicurezza dei locali e lavori di manutenzione / ristrutturazione importanti). Ha quindi proposto ai fedeli e ai bambini del centro giovanile di rivolgersi alle altre Parrocchie e ai centri giovanili esistenti a Parigi.Dal 1988 la Chapelle Notre-Dame du Lys ospita una Santa Messa tradizionale, una Messa Novus Ordo e un centro giovanile con un centinaio di bambini. Da quasi vent’anni anni è servita da un sacerdote dell’Arcidiocesi di Parigi bi-ritualista.
Dal 2009 la Congregazione dei religiosi di san Vincenzo de’ Paoli ha trasferito la gestione all’Arcidiocesi di Parigi, ma ne è rimasta proprietaria, non avendo vocazioni in numero sufficiente per portare avanti questo apostolato.
Ma gli importi avanzati per giustificare questa decisione sono stranamente elevati, così come la loro urgenza – i locali sono complessivamente a norma, con persino un ascensore per raggiungere la cappella, al primo piano: «Secondo l’economo dell’Arcidiocesi, sarebbero necessari tre milioni di euro di lavori in una prima fase e poi cinque-sei milioni di euro nei prossimi cinque anni per adeguare l’edificio alle norme di sicurezza e poter continuare ad accogliere il centro giovanile (un centinaio di ragazzi come oggi), le Messe e varie altre attività».
Ciò che fa dubitare i parrocchiani e persino i sacerdoti dell’Arcidiocesi di Parigi. «Come spesso accade nel campo del patrimonio, si esagera dando cifre astronomiche per giustificare la cessione. Con tre milioni di euro si potrebbe ricostruire interamente l’edificio e, se ci fosse un pericolo imminente, verrebbe emesso un decreto di chiusura», osserva un sacerdote dell’Arcidiocesi di Parigi che desidera rimanere anonimo. «È probabile che l’Arcidiocesi di Parigi o i religiosi abbiano già trovato un acquirente, perché si tratta di una posizione molto bella nella capitale, a meno di un chilometro dal quartiere di Montparnasse, ben servita dalla metropolitana: di fronte al potere del denaro, il concetto di visibilità della Chiesa e persino lo zelo apostolico devono forse passare in secondo piano?».
Non sarebbe la prima volta che una Diocesi fatica a resistere alla tentazione di vendere un luogo di culto in una posizione privilegiata: nel 2016, questo è stato il motivo del tentativo dell’Arcidiocesi di Rennes di chiudere la Chapelle Saint-François e di sopprimere la Santa Messa tradizionale che vi si celebrava, poiché si trovava proprio di fronte alla futura stazione della metropolitana Mabilais della linea B. Ma alla fine i fedeli hanno resistito e ora vanno a Messa in metropolitana.
Quando l’Arcidiocesi di Parigi voleva seppellire 1,6 milioni di euro sotto la stazione di Parigi Montparnasse
Tuttavia, in materia di visibilità della Chiesa e di lavori di notevole entità, l’Arcidiocesi di Parigi non è sempre stata così restia ad aprire il portafoglio, senza chiedersi quanto sia costato il patetico paramento dello stilista Jean-Charles de Castelbajac utilizzato per la riapertura della Cathédrale Notre-Dame di Parigi [QUI, QUI e QUI; QUI, QUI e QUI su MiL: N.d.T.] [ironicamente anche QUI e QUI su MiL: N.d.T.]. All’inizio del 2024 ha annunciato ai fedeli stupiti la sua volontà di ristrutturare la Chapelle Saint-Bernard di Montparnasse, creata nel 1969 sotto la stazione, chiusa nel 2018 e di cui tutti potevano benissimo fare a meno. Il progetto da 2,1 milioni di euro doveva essere pagato per 500.000 euro dall’associazione Œuvre des Chantiers du Cardinal e il resto – 1,6 milioni di euro, quindi – dall’Arcidiocesi di Parigi.
E alla fine, patatrac! Addio vacche, buoi, maiali e nuovi lavori: nell’ottobre 2024 l’Arcidiocesi di Parigi ha annunciato la chiusura definitiva della Chapelle Saint-Bernard di Montparnasse.
Un patrimonio immobiliare consistente pagato dai fedeli, ma gestito come?
Se l’Arcidiocesi di Parigi, come altre, ha difficoltà a far entrare denaro – il mancato rinnovo dei donatori, gli scandali di abusi ripetuti e la crisi non aiutano, in teoria può contare su un comodo cuscinetto di quasi 700 milioni di euro di patrimonio immobiliare, gestito da una miriade di società immobiliari civili – la cellula investigativa di Radio France ha scoperto il risultato di decenni di accumulo grazie alla generosità dei fedeli [QUI la giornalista Laetitia Cherel: N.d.T.].
Ciò dovrebbe normalmente consentire di guardare al futuro e generare entrate sufficienti per sostenere le Parrocchie e le opere religiose. Perché lo scopo sociale delle associazioni diocesane non è quello di gestire un patrimonio immobiliare o di investire in fondi non quotati, né di essere commercianti di beni, ma di «sovvenzionare le spese e il mantenimento del culto cattolico, sotto l’autorità dell’Arcivescovo, in comunione con la Santa Sede e in conformità con la costituzione della Chiesa cattolica».
Tuttavia, permangono interrogativi persistenti sulla gestione di questo consistente patrimonio, così come di quello delle Parrocchie. Ad esempio, una di esse, nella zona est di Parigi, aveva scoperto un po’ per caso che uno dei suoi edifici era stato affittato a un prezzo preferenziale a religiosi spagnoli, che ne occupavano solo una piccola parte e subaffittavano il resto a prezzi di mercato. La differenza non era ovviamente sfuggita a tutti, e ci sono voluti anni perché la Parrocchia in questione recuperasse il suo bene, la cui gestione era stata affidata all’Arcidiocesi.
La sottrazione avviene anche ad altri livelli. Il Parroco di una Parrocchia nel nord-est di Parigi si accordava con la sua segretaria per servirsi delle offerte, il che gli fruttava dei soldi extra. Alla fine la cosa è venuta a galla e gli è costata le sue ambizioni episcopali. Ma è stato rimesso a capo di una Parrocchia, e non delle meno importanti, dove continua a dare lezioni di morale e rettitudine ai suoi confratelli, non tutti a conoscenza del suo passato.
Secondo i suoi conti, nel 2024 l’Arcidiocesi di Parigi registrava un deficit di esercizio di 11.699.312 euro e di 3.643.061 nel 2023: i deficit stanno quindi aumentando. Ma vanno messi in relazione con un patrimonio netto di 85 milioni di euro e riserve per 192 milioni di euro, senza contare il cuscinetto dei beni immobili gestiti dalle società immobiliari civili di cui parla Radio France, necessariamente fuori bilancio. Come specificato a pagina 11, nel dicembre 2024 l’Arcidiocesi di Parigi accetterà un lascito il cui «patrimonio netto successorio è pari a 23.709.513 euro». Un bel regalo di Natale. Ci sono anche 17 milioni di euro di investimenti (conti a termine e società di investimento a capitale variabile).
L’Arcidiocesi di Parigi chiude con un deficit di 4,9 milioni nel 2024 contro un surplus di 8,4 milioni di euro nel 2023, il che giustifica effettivamente il fatto che ci si interroghi sulla gestione, o addirittura che l’Arcidiocesi ponga fine alle cattive pratiche del passato. O di interrogarsi sul suo reclutamento: conta 95 dirigenti per 197 dipendenti, ovvero quasi un dirigente per ogni dipendente non dirigente (!).
Ma non di far pagare ai fedeli della Chapelle Notre-Dame du Lys le conseguenze dei suoi errori passati e della sua cattiva gestione.
