
"Mentre la vecchia guardia si aggrappa agli ultimi scampoli di "primavera" conciliare, la nuova leva del clero – pochi ma tostissimi – manda in crisi seminari e rettori: pregano troppo, credono davvero e non si lasciano rieducare. I dati incontrovertibili".
Ci contiamo....
Luigi C.
Eusebio Episcopo, Lo Spiffero, 16-11-25
Che quei pochi giovani che hanno maturato la vocazione sacerdotale, che sono stati educati nei seminari e che oggi sono preti, siano mediamente più conservatori dei loro predecessori più anziani è cosa arcinota e non dovrebbe nemmeno stupire data la forte secolarizzazione della società e lo sconquasso verificatosi nel dopo concilio nella Chiesa che qualcuno si ostina beotamente a chiamare «primavera».
Secondo l’Osservatorio francese del cattolicesimo, un centro di ricerca indipendente dai vescovi, creato per monitorare le tendenze del mondo ecclesiale, la maggior parte di questi sacerdoti ha tra i 35 e i 64 anni e tra i 6 e i 26 anni di ordinazione. Molte le domande del sondaggio. Mentre il 45% dei sacerdoti vuole che la morale familiare si «evolva» e si adegui alla morale mondana, la percentuale tra quelli tra i 35 e i 49 anni scende al 10% e tra quelli sotto i 35, riguarda solo il 7%. Circa la fine del celibato e l’ordinazione delle donne, tra gli over 65, quasi il 30% è favorevole, ma solo il 4% tra gli under 50. Riguardo al modo di intendere il ministero sacerdotale, il 75% desidera soltanto «fare il proprio lavoro» secondo il munus sacerdotale di celebrare, insegnare, governare e amministrare i sacramenti e in tal senso il 65% dei preti considera prioritaria la presenza dei sacerdoti nell’educazione cattolica e il 55% considera necessaria una campagna di «risveglio vocazionale».
Emerge dunque la figura di un prete giovane che aspira ad un cattolicesimo più radicalmente evangelico e assai disilluso dei miraggi progressisti del post-Concilio. Che persistono però nel clero anziano. L’Associated Press, fonte certo non sospettabile di conservatorismo, ha scritto di recente che «i preti progressisti che hanno dominato la Chiesa negli anni successivi al Concilio Vaticano II ora hanno tra i 70 anni e gli 80 anni. Molti sono in pensione». Parliamo insomma della vecchia guardia, infatti, la percentuale di sacerdoti identificati come «progressisti» o «molto progressisti» risulta scesa dal quasi 70% tra quelli ordinati nel 1965-1969, a meno del 5% tra quelli ordinati nel 2020 o successivamente: «In parole povere, la porzione di nuovi sacerdoti che si considerano politicamente “liberali” o teologicamente “progressisti” è in costante calo a partire dal Concilio Vaticano II e ora è quasi scomparsa».
Pare quindi essere questa la Chiesa del futuro e, nonostante sia una Chiesa giovane, si sta facendo sempre più largo – negli Stati Uniti come in Francia –, mentre la Chiesa tutt’altro che giovane, ma più che altro “giovanile”, sta per essere relegata nel passato. A fronte di questi più che eloquenti dati appare evidente che i vescovi e i rettori italiani siano spaventati e cerchino in tutti i modi di scoraggiare le vocazioni (anche di giovani già adulti e muniti di lauree civili e specializzazioni) e ingaggino schiere di psicologi per far emergere gli indizi di una «cattiva disposizione». Che sono poi sempre i soliti: assiduità alla Messa, fervore nella preghiera e nello studio, adorazione eucaristica, recita del Rosario. Sono tutti segnali che fanno arrivare diritti alle dimissioni dal seminario, se mai uno è riuscito ad entrarvi, con mille scuse (immaturità, fragilità ecc.).
Su questi aspetti circolano storielle divertentissime. Alcuni anni fa in un seminario francese una nuova leva di chierici studenti chiese al rettore di poter fare l’adorazione eucaristica. Irritati, i professori (alcuni illustri docenti) per protesta si dimisero in blocco. Non sono episodi rari, ma frequenti. E allora, few but god, tanto arriveranno i laici dei «Percorsi» e il prete – ormai diventato una specie di vicario territoriale sui iuris – potrà infine signoreggiare e, parafrasando il cardinale Giacomo Biffi, lasciate andare le novantanove pecore e, convinta finalmente anche l’ultima che resisteva ad aggiornarsi, andare finalmente all’osteria a parlare di teologia.