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martedì 29 luglio 2025

Il silenzio nella liturgia? Parliamone!

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1238 pubblicata da Paix Liturgique il 18 luglio, in cui replica all’affermazione di don Pascal Desthieux secondo la quale il silenzio nella liturgia cattolica sarebbe stato introdotto dal Concilio Vaticano II (QUI).

L.V.


Riflessioni sulle parole di don Pascal Desthieux pronunciate durante il congresso dell’associazione Societas Liturgica

Il quotidiano La Croix è forse come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump: quando la si apre, non sai mai quello che ti capita? Nelle pagine Religion & Spiritualité [Religione & Spiritualità: N.d.T.] dell’edizione di venerdì scorso, è stata una gioia leggere un articolo dal titolo sobrio Le silence dans la liturgie [Il silenzio nella liturgia: N.d.T.], ma è stata una sorpresa scoprire che il Concilio Vaticano II aveva introdotto una novità nella liturgia romana della Messa, e non una qualsiasi, figuriamoci: il silenzio! [QUI; QUI l’articolo: N.d.T.] Sì, signore e signori, che la data dell’11 luglio 2025 sia per sempre scolpita nella pietra: non lo sapevate, ma sappiatelo: secondo il quotidiano La Croix, il ruolo del silenzio è stato rivalutato dalla riforma liturgica.

Santo cielo, dopo oltre sessant’anni di riforma liturgica, avevamo quindi visto male e, soprattutto, sentito male. Fortunatamente don Pascal Desthieux, Parroco della Basilique Notre-Dame di Ginevra e autore di Habiter le silence dans la liturgie [Abitare il silenzio nella liturgia: N.d.T.], ci insegna nel corso dell’articolo che esistono tre categorie di silenzio durante la Messa (nuova):
  1. il silenzio di raccoglimento, «che inizia all’ingresso in chiesa e funziona come una camera di decompressione»;
  2. il silenzio di meditazione, «che interviene prima e dopo ogni lettura della parola di Dio e dopo l’omelia». Infine,
  3. il silenzio di lode e di preghiera, «durante la preghiera universale, aperta alla comunità e al mondo».

Non sappiamo se l’autore dell’articolo e, a maggior ragione, il sacerdote intervistato vivano nello stesso mondo ecclesiale e nella stessa realtà liturgica che si può osservare oggi in Francia. Ma di fronte a tanta sicurezza nell’illustrare le virtù del silenzio proprio delle celebrazioni della nuova liturgia, si è divisi tra il riso e la pietà. Risate, perché è sempre divertente vedere chi non vede eppure crede di vedere. È il caso della persona ingenua e candida, affibbiata con un pesce d’aprile che ride del suo vicino senza rendersi conto di essere stata presa in giro anche lei. Pietà, perché negare a tal punto la realtà fattuale della riforma liturgica lascia sbalorditi. Il semplice cittadino, a cominciare dal cantautore Georges Brassens nella sua iconica satira Tempête dans un bénitier [Tempesta in un’acquasantiera: N.d.T.], può testimoniare quanto la differenza tra le due Messe – la Santa Messa tradizionale e la Messa derivante dall’ultima riforma liturgica – risieda proprio nel registro del silenzio, del mistero, della profondità e del raccoglimento.

L’Ordinamento generale del Messale Romano, ammette don Pascal Desthieux, non precisa quanto debbano durare questi silenzi, «possono variare da pochi secondi a qualche minuto», e il sacerdote ammette che «questi silenzi sono talvolta ridotti o eliminati»… Nel 2023, in occasione del 60º anniversario della costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, il card. Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, si è espresso in modo molto più chiaro e preciso sull’argomento. Durante il primo congresso dei liturgisti africani a Dakar, dove era intervenuto, il prelato ha criticato aspramente lo smarrimento delle celebrazioni contemporanee diventate «troppo loquaci e meno cristiane». Il Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti avrebbe visto male? Dicendo ad alta voce ciò che molti pensano in cuor loro, Cattolici e non, egli afferma: «La riforma liturgica, salutata da molti, si rivela essere una valanga di improvvisazioni e una desolazione liturgica di proporzioni spaventose».

Il poeta bretone Xavier Grall, ex giornalista del settimanale La Vie e poco sospettabile di tradizionalismo, in un piccolo opuscolo indirizzato alle figlie, scriveva già il suo stupore di fronte al dramma della riforma liturgica [L’inconnu me dévore, 1984: N.d.T.]:

La liturgia è espressione. Il rito vale quanto vale la fede. Mi sembra che dalle chiese siano stati cacciati il mistero e la poesia. Il clero ha voluto essere moderno. E comprensibile. Come se un tempo i templi fossero frequentati solo dal fior fiore degli stolti e degli imbecilli! Ora è tutto chiaro. L’officiante si mette in mostra con una sfrontatezza di cui non è nemmeno consapevole. […] La solitudine, il segreto della conversazione, ora sono difetti. Sempre il gruppo, il gregge, la squadra! E il testo! Che povertà. Come ha potuto la più bella delle religioni imporre un testo così piatto? […] Non so se la bellezza passi di moda, ma se il gregoriano dovesse essere sostituito, potrebbe esserlo da parole e ritmi provenienti dal vero genio del mondo moderno. Perché non si è fatto appello ai grandi musicisti e poeti di tutto il mondo? Vescovi e sacerdoti hanno preferito cucinare tutto questo tra di loro, tra amici, tra fratelli. Il risultato è deplorevole. E io, dispiaciuto, diserto il giorno dei santuari.

Il silenzio nella liturgia non è una questione estetica. Non è una materia o un prodotto con cui si abbelliscono le cerimonie per renderle accettabili. Il silenzio è qualcosa di molto più fondamentale, una questione di qualità dell’anima e di sopravvivenza spirituale. È ontologicamente legato al nostro rapporto con Dio. L’antica liturgia, con i suoi velamenti e il Canone recitato a bassa voce dal celebrante, con l’orientamento del ministro che volta le spalle alla folla e si rivolge al Crocifisso che sovrasta il tabernacolo dell’altare, testimonia il legame intrinseco che esiste tra una liturgia secolare, dallo sviluppo organico, e il silenzio. Eliminare o restituire tutti questi segni e simboli nel nuovo Messale non poteva che far entrare il rumore e il frastuono del mondo nel santuario. Mentre è così evidente che la Santa Messa tradizionale è una delle più formidabili petizioni antimoderne, la Messa di San Paolo VI fatica a offrire questo sacro agli orfani di Dio di oggi. D’altra parte, dire che la riforma liturgica ha rivalutato il silenzio nella liturgia è come affermare che il comunismo sovietico ha rivalutato la libera circolazione del mercato. Un po’ di serietà, per favore!

6 commenti:

  1. La Croix è ormai al delirio, ogni giorno pubblica articoli sempre più schierati sulle tracce del Cammino Sinodale tedesco.

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  2. Togliete anche la memoria della pratica liturgica antica, ed otterrete queste confusioni. Ormai si è smarrito tutto. Solo la conoscenza e la pratica del rito antico possono aiutare per una riforma liturgica seria. Che dopo l’omelia ci si sieda tutti annichiliti, ad osservare un silenzio tombale, non Esiste nel rito antico. Cose veramente risibili, che danno all’omelia del prete un’enfasi, quasi pericolosa per la vanagloria e il narcisismo di alcuni predicatori.

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    1. Piano con le cose risibili, perché non è che nella messa antica fosse tutto una meraviglia. Ad iniziare dal prete infilato in qualche nicchia a borbottarsi tutta la messa da solo.
      Un mostro irrispettoso verso i fedeli che sono lì.

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  3. È pur vero che lo «spirito del Concilio» ha introdotto vari silenzi «artificiali», ad esempio quello dopo l’omelia o il silenzio anti-liturgico ed anti-musicale dell’organo durante il Canone (un silenzio che tanto piace ai finti-tradi biritualisti)

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    1. Il silenzio che durava tutta la messa era “naturale”? Sfido io che poi i fedeli si leggevano i libretti devozionali o dicevano il rosario. Un rito che estraniava completamente chi vi assisteva. Una vera mostruosità che si cercava di coprire con vesti sfolgoranti, incensi e canti in latino (dove erano capaci).

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    2. Che problema danno quei silenzi? E perché sarebbero artificiali? Cos’è per lei un “silenzio naturale”?

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