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domenica 8 dicembre 2024

8 dicembre. Perché l’Immacolata è il paradigma della vera Bellezza? - #immacolata #8dicembre

Preghiamo l'Immacolata, soprattutto oggi, alla sua Festa (I Classe, Bianco).
Luigi C.


Il Cammino dei Tre Sentieri, 14 Novembre 2024

Qual é il vero modello della bellezza, cioè qual è la bellezza per eccellenza? La risposta è meno difficile del previsto: il paradigma della vera bellezza è l’Immacolata. Abbiamo già avuto modo di definire il Crocifisso come archetipo della bellezza (clicca qui), allora, verrebbe da chiedersi, che senso ha dire che la Vergine Maria è il paradigma della vera bellezza?

C’è una differenza tra “archetipo” e “paradigma”. “Archetipo” attiene all’origine; è “archetipo” ciò che sta a fondamento, a modello di riferimento; per cui dire che il Crocifisso è archetipo della bellezza vuol significare che ci si sta riferendo alla bellezza-in-quanto-bellezza, che non può essere che Dio: in questo caso il Dio che si dona all’uomo sacrificandosi fino alla morte per l’uomo. “Paradigma”, invece, attiene a un altro significato. In grammatica quando si parla di “paradigma” s’intende la coniugazione di un verbo o la declinazione di un nome; dunque la parola “paradigma” sottende uno sviluppo, una sorta di manifestazione che è esito di un’origine. Parlare di “paradigma della bellezza” significa parlare non tanto della bellezza in sé, del suo fondamento, della sua origine, quanto della sua visibile manifestazione. Ecco perché ci piace parlare dell’Immacolata come paradigma della vera bellezza, perché Ella, pur non essendo il fondamento della bellezza (fondamento che è Dio), è senz’altro la manifestazione più autentica, più vera di questa bellezza. Ed ecco perché è la luna uno dei simboli più utilizzati per riferirsi alla Vergine: la luna non brilla di luce propria, bensì di luce riflessa dal sole ed è piena di questa luce. Il sole è Dio e la luna l’Immacolata, che, più di ogni altra creatura, è piena della luce di Dio. “Chi è colei che appare come l’alba, bella come la luna, pura come il sole, tremenda come un esercito a bandiere spiegate?” (Cantico dei cantici, 6)

Ma adesso vediamo più precisamente perché l’Immacolata è il paradigma della vera bellezza. I motivi sono questi: 1)Perché l’Immacolata è la piena di Grazia. 2)Perché l’Immacolata è senza peccato. 3)Perché l’Immacolata ha generato la Bellezza di tutte le bellezze. 4.Perché nessuno più dell’Immacolata ha amato e ama la Bellezza. 5.Perché l’Immacolata è davvero il finito che contiene l’Infinito. 6)Perché per capire la Bellezza dobbiamo andare alla “scuola” dell’Immacolata. 7)Perché l’Immacolata è il segno della Bellezza che salva il mondo.

Primo: Perché l’Immacolata è la piena di Grazia – La Bellezza è prima di tutto di Dio, e per Grazia di Lei, dell’Immacolata. Immacolata che appunto viene definita la Tota pulchra, la “Tutta Bella”. Maria è paradigma della vera bellezza perché è piena di Dio e dunque di Grazia, essendo questa (la Grazia) la vita stessa di Dio. Più si è vicini a Dio, più si è pieni di Dio, più si è vicini a Dio e più si è pieni della bellezza. Parimenti quando si è immersi nel peccato, non solo non si coglie la bellezza, ma addirittura si arriva ad amare ciò che è brutto e caotico, come scrive William Burroughs (1914-1917), uno degli esponenti più importanti della beat-generation, scrittore famoso perché utilizzava la penna e contemporaneamente s’iniettava eroina: “Vivevo in una stanza di Tangeri nel quartiere indigeno. Era un anno che non facevo un bagno e che non mi toglievo i vestiti se non per infilare l’ago ogni ora nella fibrosa grigia legnosa carne del tossico terminale. Non pulivo né spolveravo mai la stanza. Scatole di fiale e rifiuti formavano pile fino al soffitto (…). Non facevo assolutamente niente. Ero capace di guardarmi la punta delle scarpe per otto ore. Ero spinto ad agire solo quando si svuotava la clessidra del ‘junk’.”

Secondo: Perché l’Immacolata è senza peccato – Maria è l’Immacolata, dunque non è stata mai toccata dal peccato che è l’oscuramento della bellezza. Francesco Petrarca (1304-1374) scrive nel suo Canzoniere: “Vergine bella, che di sol vestita, / coronata di stelle, al sommo Sole / piacesti sí, che ‘n te Sua luce ascose”. Il filosofo cattolico Joseph Pieper (1904-1997) scrive: “Solo una sensibilità casta è capace di portare a compimento questa potenzialità specificamente umana: percepire la bellezza sensibile, per esempio quella del corpo umano, come bellezza e goderne unicamente per essa (…) in un diletto immune e libero da quella bramosia edonistica che tutto offusca e ammorba. (…) E’ stato detto con ragione: solo in un cuore puro può fiorire il sorriso, il sorriso libero e liberatore. Con eguale ragione possiamo dire che solo a chi lo contempla con occhio puro il mondo offre la sua bellezza.” C’è un dipinto di Paul Troger che colpisce. S’intitola Dolorosa, è del 1729 ed è conservato al Museo Diocesano di Bressanone. La Vergine è affranta dal dolore; lo si legge facilmente su un volto impallidito, piangente, stressato; ella ha visto ciò che sapeva sarebbe accaduto, ma che nel cuore di una madre si spera sempre di non voler mai vedere. Gli occhi sono gonfi per il pianto, tutti i suoi tratti richiamano visibilmente la tragedia di aver visto il proprio Figlio trattato in quel modo e soprattutto abbandonato da tutti; eppure c’è un gesto che dice chiaramente come in quei momenti di dolore, e in un certo qual modo di agitazione, permane la pace, in questo caso la pace della modestia. La Vergine si aggiusta il mantello, per evitare che la concitazione della sofferenza possa farla scoprire più del dovuto. Nella sofferenza che la tocca, laddove il cuore batte forte, il sangue sembra far scoppiare le vene, l’angoscia prende lo stomaco e quasi blocca il respiro, Ella ha la pace di conservare se stessa, di aggiustarsi il mantello, di rispettare la modestia, costi quel che costi. L’artista poi adorna il tutto con un azzurro dominante su sfondo nero che aiuta l’osservatore a valutare sì il dramma della situazione, ma a conservare una serenità di fondo, esito della convinzione che ciò che sta vivendo la Vergine è già risolto nella verità immutabile della Redenzione.

Terzo: Perché l’Immacolata ha generato la Bellezza di tutte le bellezze – Maria, con il suo fiat, non solo ha ospitato nel suo grembo il Verbo incarnato ma lo ha anche generato; da qui la necessità della bellezza di Maria (Ella non poteva e non può che essere bella), perché solo la bellezza può generare la bellezza. E’ già un’esigenza logica che un contenitore di ciò che è oggettivamente bello sia anch’esso bello (nessuno adornerebbe un quadro bello con una cornice brutta); a maggior ragione ciò che ha generato la Bellezza-di-tutte-le-bellezze (Dio) non può che essere la massima bellezza creaturale: al di sopra non solo della bellezza umana ma anche di quella angelica. Maria è la donna della pienezza della Luce: “La donna vestita di sole” come dice l’Apocalisse al capitolo 12. Nei secoli così la Chiesa canta Maria: “Tota pulchra es, Maria / Et macula originalis non est in Te / Vestimentum tuum candidum quasi nix, / et facies tua sicut sol / Tu gloria Ierusalem / Tu laetitia Israel / Tu honorificentia populi nostri / Tu advocata peccatorum” – “Tutta bella sei, Maria, / e il peccato originale non è in te / La tua veste è bianca come la neve / e il Tuo volto come il sole / Tu gloria di Gerusalemme, / tu letizia d’Israele, / tu onore del nostro popolo, / tu avvocata dei peccatori”.

Quarto: Perché nessuno più dell’Immacolata ha amato e ama la Bellezza – Maria è la Bellezza della Verità. Ella è stata colei che ha avuto il privilegio di accarezzare la Verità incarnata, la sua confidenza silenziosa con la Verità ha fatto sì che “da parte sua, (custodisse) tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.” (Luca 2,19). Le parole dell’Evangelista esprimono bene la perfetta corrispondenza cordiale (di comunione di cuori) tra la Madre Santissima e il Figlio, una corrispondenza che rende possibile il gustare: nessuno più di Maria ha potuto e può cogliere la Bellezza di Dio. Ha scritto Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae al numero 10: “La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. E’ nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da Lei anche un’umana somiglianza che evoca un’intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con altrettanto assiduità di Maria.”

Quinto: Perché l’Immacolata è davvero il finito che contiene l’Infinito – Maria è il paradigma della bellezza per un motivo evidente. Se la bellezza creata dall’uomo non è altro che l’Infinito calato nel finito, Maria è colei che ha davvero portato dentro di sé l’Infinito; non solo, ma è anche colei che è stata e sarà per l’eternità madre dell’Infinito: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, /termine fisso d’eterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura” (Paradiso XXXIII, 1-6).

Sesto: Perché per capire la bellezza dobbiamo andare alla scuola dell’Immacolata – Come Maria è Colei che più assapora la Bellezza di Dio, così, per assaporare questa infinita Bellezza, dobbiamo andare alla scuola di Maria. Maria è Colei che ha portato veramente nel suo Grembo la Verità, Colei che l’ha cullata e l’ha abbracciata. Il poeta romantico tedesco Novalis (1772-1801) dice: “Chi, Madre, t’ha veduta una volta, non subirà mai più l’incanto del male”. In questo caso potremmo dire: “Chi, Madre, t’ha veduta una volta, non subirà mai più l’incanto … del brutto.”

Settimo: Perché l’Immacolata è il segno della Bellezza che salva il mondo – L’8 dicembre del 2008, in occasione della Festa dell’Immacolata Concezione, Benedetto XVI disse ai fedeli convenuti in piazza San Pietro per la recita dell’Angelus: “Cari fratelli e sorelle! Il mistero dell’Immacolata Concezione di Maria, che oggi solennemente celebriamo, ci ricorda due verità fondamentali della nostra fede: il peccato originale innanzitutto, e poi la vittoria su di esso della grazia di Cristo, vittoria che risplende in modo sublime in Maria Santissima. L’esistenza di quello che la Chiesa chiama “peccato originale” è purtroppo di un’evidenza schiacciante, se solo guardiamo intorno a noi e prima di tutto dentro di noi. L’esperienza del male è infatti così consistente, da imporsi da sé e da suscitare in noi la domanda: da dove proviene? Specialmente per un credente, l’interrogativo è ancora più profondo: se Dio, che è Bontà assoluta, ha creato tutto, da dove viene il male? Le prime pagine della Bibbia (Genesi 1-3) rispondono proprio a questa domanda fondamentale, che interpella ogni generazione umana, con il racconto della creazione e della caduta dei progenitori: Dio ha creato tutto per l’esistenza, in particolare ha creato l’essere umano a propria immagine; non ha creato la morte, ma questa è entrata nel mondo per invidia del diavolo (cfr Sapienza 1,13-14; 2,23-24) il quale, ribellatosi a Dio, ha attirato nell’inganno anche gli uomini, inducendoli alla ribellione. E’ il dramma della libertà, che Dio accetta fino in fondo per amore, promettendo però che ci sarà un figlio di donna che schiaccerà la testa all’antico serpente (Genesi 3,15). Fin dal principio, dunque, “l’eterno consiglio” – come direbbe Dante – ha un “termine fisso” (Paradiso, XXXIII, 3): la Donna predestinata a diventare madre del Redentore, madre di Colui che si è umiliato fino all’estremo per ricondurre noi alla nostra originaria dignità. Questa Donna, agli occhi di Dio, ha da sempre un volto e un nome: “piena di grazia” (Luca 1,28), come la chiamò l’Angelo visitandola a Nazareth. E’ la nuova Eva, sposa del nuovo Adamo, destinata ad essere madre di tutti i redenti. Così scriveva sant’Andrea di Creta: “La Theotókos Maria, il comune rifugio di tutti i cristiani, è stata la prima ad essere liberata dalla primitiva caduta dei nostri progenitori” (Omelia IV sulla Natività, PG 97, 880 A). E la liturgia odierna afferma che Dio ha “preparato una degna dimora per il suo Figlio e, in previsione della morte di Lui, l’ha preservata da ogni macchia di peccato” (Orazione Colletta). Carissimi, in Maria Immacolata, noi contempliamo il riflesso della Bellezza che salva il mondo: la bellezza di Dio che risplende sul volto di Cristo. In Maria questa bellezza è totalmente pura, umile, libera da ogni superbia e presunzione. Così la Vergine si è mostrata a santa Bernadette, 150 anni or sono, a Lourdes, e così è venerata in tanti santuari.” Sono parole che mettono in rilievo il rapporto che c’è tra salvezza e bellezza. L’Immacolata è paradigma della bellezza non solo perché ha generato la bellezza-di-tutte-le-bellezze (perché nessuno più di Lei l’ha amata e la ama), ma anche perché ha permesso la nostra salvezza. Certo, non è che l’uomo si salvi del tutto automaticamente dopo il fiat della Vergine all’Angelo, ma è pur vero che se quel fiat non ci fosse stato non ci sarebbe stata la redenzione e quindi la salvezza; grazie a quel fiat l’uomo può salvarsi, a patto che si renda docile alla Grazia. Dunque il fiat di Maria è il dissolvimento delle tenebre e della bruttezza del peccato, tutto il mondo attendeva quel fiat; era in ansia perché attendeva la Speranza dopo la tragedia del peccato, attendeva la luce dopo il buio della ribellione. L’Annunciazione non avviene nel clamore, un dialogo sereno, dolce, realizza l’avvenimento che darà senso alla storia. Che differenza tra il silenzio della casa di Nazareth e il chiasso delle grandi città del tempo! La salvezza non si realizza nel disordine rumoroso di Gerusalemme, di Alessandria d’Egitto o di Roma, ma nella tranquillità di quel semplice dialogo fra l’Angelo e Maria. Non il Tempio di Gerusalemme con la confusione di mercanti, pellegrini e sacerdoti, non il Foro romano con le impietose discussioni politiche e amministrative dove si decidevano le sorti di un Impero, ma la quiete sconcertante dei respiri profondi di Maria, dei suoi pensieri, delle sue ansie, del suo timore … e finalmente del suo fedele assenso: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1,38)… hanno deciso la storia. Dio ha voluto che da quei respiri, da quei pensieri, da quelle ansie, da quel timore e finalmente da quel fedele assenso della Vergine, venisse tutto. Se la Madonna avesse rifiutato, tutta la Storia della Salvezza sarebbe stata vanificata. Se Maria si fosse rifiutata di divenire la madre del Salvatore, per l’umanità intera non ci sarebbe stata la salvezza, non solo per l’umanità successiva all’Annunciazione, ma anche per tutti quei giusti vissuti prima e che attendevano la redenzione del mondo; ma non solo l’umanità di tutti i tempi, l’universo intero avrebbe dovuto rinunciare alla salvezza, perché l’universo intero era stato ferito dal Peccato e anch’esso attendeva la redenzione. Nei momenti in cui la Vergine sta per rispondere all’Angelo, tutto il reale è in attesa ansiosa, tutto pende dalle labbra e dal cuore di quell’umile fanciulla di Galilea.

Giovanni Battista Trotti nel 1603 dipinse Maria, architetto della creazione, opera che è nella Chiesa di San Francesco a Piacenza. La scena è particolare: si vede la Vergine che è adagiata sull’universo intero, che ha una forma sferica, e una delle sue mani indica in maniera chiara come sia stata proprio l’Immacolata a volere che l’universo fosse in quel modo. L’Onnipotente sovrasta la scena, guarda, dà il suo assenso, quasi a far capire di aver voluto Lui stesso che le cosse andassero così, cioè che il progetto della creazione fosse nelle mani della Vergine. Certamente il Trotti forza i concetti; è evidente che a volere, a pensare e a progettare la creazione sia stato Dio e solo Dio; piuttosto l’artista vuole dirci un’altra cosa, altrettanto vera: essendo la creazione uscita “bella” dalle “mani di Dio” ed essendo l’Immacolata il paradigma della vera bellezza, la bellezza stessa dell’universo è sullo stampo della bellezza di Maria. L’artista esprime questa verità rappresentando la Vergine che modella l’universo; in realtà è la bellezza di Maria che “modella” la bellezza dell’universo; più precisamente: è la bellezza di Maria che è paradigma di ogni bellezza, della bellezza di ogni cosa e quindi dell’universo intero. Con questo bel dipinto voglio terminare il libro. Ovviamente non si tratta di un’opera di altissimo livello. Stiamo parlando di un minore e di un’opera certamente non famosissima, ma l’immagine rappresentata dice ciò di cui ho voluto parlare: La bellezza trova il suo fondamento in Dio e se non c’è Dio non può esserci bellezza; e infatti nell’immagine si vede Dio che sovrasta tutto. La bellezza è ordine; e infatti l’universo viene rappresentato secondo i canoni del finalismo classico, una sfera perfetta dove nulla è lasciato al caso. La bellezza ha il suo massimo paradigma in Colei che ha maggiormente vissuto e che maggiormente vive di Dio, l’Immacolata; a dimostrazione del fatto che come non può esserci bellezza se non in Dio, così non può esserci massima bellezza se non vivendo pienamente di Dio. Perciò il beato Angelico amava dire: “Per dipingere di Cristo, bisogna vivere di Cristo.”

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