Luigi C.
29-9-24
A volte, dopo aver assistito ad una Messa celebrata in una certa parrocchia, ho avvertito un poco di stanchezza e ho la vista offuscata. Parlandone con il mio medico, mi è stato detto che potevano essere i sintomi del diabete. Allora ho fatto le analisi necessarie, che hanno escluso che fossi diabetico.
Ma io, dentro di me, sapevo bene che cosa aveva causato quel malessere. Erano quei canti sentimentalistici che erano stati rovesciati su di me durante la Messa. Una lagna continua che non aveva contribuito a rendere la Messa più gradevole e che aveva sfiancato la mia già precaria resistenza.
Già Antonio Rosmini, nella sua polemica con il filosofo francese Benjamin Constant aveva messo in guardia dai rischi del sentimentalismo (che lui chiamava “sentimento” ma intendeva la corruzione dello stesso sentimento). Lo stesso san Pio X nella sua enciclica Pascendi del 1907 metteva in guardia, parlando dei cedimenti nel pensiero dei modernisti:
“Di qui il principio dell'immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l'oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, deve riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall'uomo se non indeterminate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile”.
Ma non è bastata questa messa in guardia del sommo Pontefice. Oggi, in tempo di crisi, la Chiesa è ammorbata da queste musiche che servono a solleticare i nostri istinti più bassi, è una sorta di pornografia o, come diceva un sacerdote musicista, “pornomelodia”.
E san Tommaso d’Aquino, nella sua Summa Theologiae, aveva ben identificato il problema:
“Quando le potenze inferiori sono fortemente impressionate dai loro oggetti, ne segue che le facoltà superiori vengono impedite e turbate nei loro atti. Ora, l’appetito inferiore, e cioè il concupiscibile, si volge con violenza verso il proprio oggetto, cioè verso i piaceri, specialmente nei peccati di lussuria, per l’intensità del piacere. E quindi ne segue che le potenze superiori, ragione e volontà, vengono turbate in modo gravissimo dalla lussuria”.
Questi canti, di cui dirò presto le caratteristiche, sono canti lussuriosi perché non cercano di elevare l’anima al soprannaturale, ma instigano la confusione tra naturale e soprannaturale, del resto già affrontata in seguito alla pubblicazione del controverso libro Surnaturel del grande teologo gesuita (poi cardinale) Henri de Lubac nel 1946.
È vero che il salmo 103 dice: “Benedici il Signore, anima mia: quanto è in me, benedica il suo santo nome”. “Quanto è in me”, si direbbe, verrebbe da alcuni al solo semtimento, che è una parte anche nobile di quello che siamo. Ma questo concetto in ebraico viene espresso dalla parola qereb, che significa non solo “cuore”, ma anche “mente”. Quindi per noi questo passaggio dovrebbe significare “quanto c’è di meglio in me, benedica il suo santo nome”. Sant’Agostino nel suo commento a questo versetto del salmo 103 dice:
“Diciamo dunque tutti: Benedici, anima mia, il Signore. Dobbiamo tutti parlare alla nostra anima, perché l'anima che è in tutti noi, in base all'unità della fede, è un'anima sola, e tutti quanti noi che crediamo in Cristo, a motivo dell'unità del suo corpo, siamo un sol uomo. Benedica l'anima nostra il Signore per i tanti suoi benefici, per i doni tanto numerosi e grandi della sua grazia. Tali doni noi, li troviamo in questo Salmo se facciamo attenzione e scuotiamo la nebbia dei pensieri carnali, con lo spirito - in quanto possibile - desto, con lo sguardo - in quanto possibile - diretto, con l'occhio puro - in quanto possibile - del nostro cuore, in quanto non ci faccia da ostacolo la vita presente né ci tenga occupati il desiderio delle cose presenti né ci renda ciechi la cupidigia del mondo. Se saremo dunque ben desti, potremo ascoltare i grandi, magnifici e bei doni di Dio, tanto appetibili quanto fecondi di letizia e di gioia: tutte cose che già intravedeva nel suo spirito chi aveva concepito questo Salmo, quando, esaltandosi a tale visione, prorompeva nel grido: Benedici, anima mia, il Signore”.
Come ha espresso bene sant’Agostino questo concetto: dobbiamo scuotere la nebbia dei pensieri carnali che certi canti non fanno che infittire!
Questi canti sono costruiti su schemi armonici ben conosciuti nella musica pop per causare, appunto, la concupiscenza che crea dipendenza. Di solito vengono eseguiti da voci melliflue, a volte anche ambigue e completamente disconoscono la grande varietà che è intrinseca al canto liturgico. Invece no, un canto penitenziale o un canto gioioso suonano allo stesso modo perché mancano della vera forza della fede cattolica, che questa melassa insulsa non può certo rappresentare. Eppure, nell’ignoranza spaventosa sulla musica e sulla liturgia, questi canti fanno breccia perché vanno ad impressionare coloro che sono già affetti dal “diabete spirituale”, in cui il sentimentalismo ha sostituito il sentimento. Non lo dimentichiamo: il sentimentalismo è la corruzione del sentimento, il sentimento è una cosa nobile e bella. Il sentimentalismo è sordido e corruttore.
Eppure questi canti pornografici vengono anche promossi da alcuni, che non riescono a comprendere il danno che essi fanno alla nostra vita liturgica. Forse attrarranno qualcuno, ma lo portano dritto dentro una trappola da cui poi è difficile uscire fuori. Infatti in questo ci aiuta a comprendere il cardinale Carlo Caffarra, che nel suo libro Etica generale della sessualità del 1992 poteva affermare:
“Si comprende allora bene che la concupiscenza non è peccato in senso vero e proprio, ma essa, derivata dal peccato, è un focolaio permanente di peccato. È una causa che può sempre indurre la persona a peccare”.
Ed è per questa ragione che questi canti hanno una presa sulle persone, perché essi fanno in modo che in tutti i noi divampi questo “focolaio permanente di peccato” da cui poi è difficile tirarsi fuori.
Ma qualcuno potrebbe dire: oggi la Chiesa ha tanti problemi, perché si deve occupare dei canti che si sentono a Messa? La risposta è semplice, perché essa deve regolare la liturgia e non è permesso ad altri di farlo (pure se noi, Codice di Diritto Canonico docet, possiamo manifestare con rispetto le nostre legittime critiche).
Il canto sacro migliore è sempre stato quello che, sublimando le nostre passioni, sapeba elevarle al livello delle cose soprannaturali, il canto dei santi, il canto dei martiri, il canto dei grandi maestri nella fede. Oggi, entrando in molte chiese, ci salgono sulle labbra i versetti del salmo 136:
“Come cantare i canti del Signore in terra straniera? Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”.
Ricordatevi: la casa del Signore è di tutti, e se essa viene profanata è nostro dovere farlo presente, anche se questo ci costerà molto. Perdere i favori di qualche sacerdote ma acquistare quelli di Cristo è un’esperienza veramente impagabile!
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