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lunedì 1 gennaio 2024

Dopo l’annus horribilis della Chiesa: un bilancio, con lo sguardo al futuro #fiduciasupplicans

Carissimi, come regalo di Capodanno siamo lieti di proporvi questo bel pezzo di Alessandro Rico, comparso su La Verità di ieri. Ci pare un’analisi azzeccatissima dell’attualità ecclesiale, e ci piace sottoporla alla vostra riflessione proprio nel primo giorno del 2024. Anno che preghiamo ci riservi innumerevoli benedizioni, e la grande consolazione di iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel.

Auxilium Christianorum, ora pro nobis!

Ricordiamo che, ad oggi, molti vescovi hanno già dichiarato che non applicheranno Fiducia supplicans, lo vietano ai loro sacerdoti e rifiutano di impartire le benedizioni in essa indicate: QUI l'elenco e QUI gli altri post di MiL sulla Dichiarazione.
Ratzinger frenava la deriva a sinistra. Ora Bergoglio irrita pure la «claque»
di Alessandro Rico

La morte del teologo tedesco ha spinto i progressisti ad accelerare le riforme. Ma con le benedizioni alle coppie gay si son spinti troppo in là: Francesco riceve critiche dal clero delle «periferie» e persino dalla stampa amica

Per la Chiesa, questo è stato un annus horribilis. La morte di Benedetto XVI, il 31 dicembre 2022, ha scoperchiato un vaso di pandora, spingendo i progressisti a imprimere un’accelerazione all’agenda caldeggiata dal Papa regnante, ormai liberato da un «doppio» ingombrante. Ma il 2023 non si sta concludendo con il trionfo dei riformisti, il soggiogamento dei bigotti e il plauso entusiasta dei fedeli.

Anzi: persino la stampa chic, abituata a incensare Jorge Mario Bergoglio, dopo l’azzardo della Fiducia Supplicans, paradossalmente inizia a voltargli le spalle.

Forse Benedetto XVI era davvero quel «potere frenante» che rallenta il dilagare del caos. Non solo mentre era sul soglio e distillava antidoti al relativismo e al nichilismo, alcuni dei quali raccolti nella pagina accanto, pescati tra le omelie per i Te Deum pronunciate durante il Pontificato. Anche mentre appariva fragile, esile, emarginato, o addirittura un sorvegliato speciale, l’emerito aveva conservato la lucidità del pensiero e la capacità di bilanciare silenzi e parole. In questo modo, ogni intervento in difesa del magistero risuonava per peso e autorevolezza.

Alla sua dipartita, in parecchi hanno pensato a un tappo che saltava. Da quel momento, le fratture nello scafo della «barca di Pietro» si sono allargate. Vi ha contribuito, invero, l’amarezza di chi aveva amato Joseph Ratzinger, come il suo segretario personale, padre Georg Gänswein: a pochi giorni dalla scomparsa del teologo tedesco, egli diede alle stampe un memoriale che aveva il sapore di una resa dei conti con Jorge Mario Bergoglio. Intanto, i progressisti si preparavano a una lunga serie di sbandate a sinistra: la sbrigativa risposta ai dubia sulla comunione ai divorziati risposati; l’uscita della Laudate Deum, l’esortazione apostolica ecologista; l’investimento retorico di Francesco nella fallimentare Cop28; il semaforo verde per i transgender padrini e madrine di battesimo; la decisione di togliere al cardinale Raymond Leo Burke casa e stipendio, alla faccia degli inviti ai prelati a esprimersi in libertà. L’ultimo atto del conflitto vaticano - la Dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio che autorizza la benedizione delle coppie irregolari e omosessuali - ha però irritato i altresì rappresentanti del clero vicini, o per lo meno non ostili, al Pontefice. E allora, il temuto se non stuzzicato scisma dei conservatori sta diventando meno probabile: l’episcopato delle «periferie», elette da Bergoglio a luogo evangelico privilegiato, si è compattato sulle istanze della tradizione. I pastori attenti al loro gregge e intellettualmente onesti non possono digerire la bizzarra logica del prefetto della Fede, il quale stravolge la forma garantendo che la sostanza rimarrà intatta.

Il Papa fa pieno affidamento sul cardinale Víctor Manuel Fernández, che ha messo al vertice del Dicastero. Tant’è che ha firmato il testo da lui vergato senza nemmeno leggerlo. Ma stavolta, Tucho si è spinto troppo in là. Sia per il modus operandi, visto che ha esautorato la Feria Quarta dalla stesura di Fiducia Supplicans; sia per la rivoluzione che il porporato ha tentato di innescare, contraddicendo senza cautele il Responsum di due anni fa, licenziato dal suo predecessore, tramite un espediente zoppicante. Giurare, cioè, che l’alterazione della prassi non pregiudica l’insegnamento plurisecolare della Chiesa.

È un cortocircuito che ieri ha colto, in un severo editoriale sulla Stampa, Marcello Sorgi, abbandonano l’abituale penna felpata. Il giornalista ha virgolettato le perplessità di un anonimo porporato sulla questione delle benedizioni: «Se si tratta semplicemente dei gay, questo era già consentito e non si vede la novità. Ma se parliamo delle coppie gay, occorrerebbe spiegare come si fa a benedire persone che per la dottrina si rendono responsabili di un peccato mortale come la sodomia. E poi, qual è la liturgia? E se non c’è liturgia, che benedizione è?». Sorgi ha sollevato inoltre un tema politico: «Non c’è bisogno della chiarezza dottrinaria di Benedetto […] per capire che la benedizione agli omosessuali introdotta nella stagione delle purghe e dei processi per i responsabili di abusi all’interno della Chiesa può favorire qualche contraddizione». Insomma, è diventato difficile credere a misericordia e sinodalità, giacché il potere viene accentrato ed esercitato in modo arbitrario, talora vendicativo. Per il Pontefice, convinto che a criticarlo sia solo «la stampa di estrema destra», le due pagine del quotidiano torinese dedicate a Ratzinger e niente affatto benevole nei confronti dell’argentino, dovrebbero rappresentare un segnale allarmante. I giornali progressisti, che lo celebravano da un decennio per le coraggiose «aperture» (ai migranti, alle donne, agli omosessuali, ai trans...), stanno mugugnando. E non per la timidezza delle riforme, per l’inconcludenza dei discorsi di rottura che stentano a tradursi in atti di governo. Alla sbarra c’è un’audacia disordinata che rischia di rivelarsi controproducente. Non sarà sfuggito un dettaglio agli osservatori acuti: La Stampa, che ha ospitato l’intemerata di Sorgi, è il quotidiano da cui proviene Andrea Tornielli, adesso direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione. Per la serie: dagli amici mi guardi Dio, ché dai nemici mi guardo io.