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martedì 26 settembre 2023

A trent’anni dalla 'Veritatis Splendor' il suo insegnamento tra unione tra fede e morale è ancora attuale #fede #morale #giovannipaoloii #veritatissplendor

30 anni, ma sembrano passati 3 secoli...purtroppo.
Luigi

13 Settembre 2023, di Fabio Fuiano, Corrispondenza Romana

Il 6 agosto del 1993 veniva pubblicata l’enciclica Veritatis Splendor di Papa Giovanni Paolo II. Nel 2023, sono ricorsi dunque i 30 anni dalla sua divulgazione ma sfortunatamente nel mondo cattolico questo importante anniversario è stato caratterizzato da un triste silenzio. Tuttavia, oggi più che mai, è fondamentale riscoprire l’insegnamento morale di questa enciclica, soprattutto alla luce del Magistero perenne della Chiesa anche attraverso la voce di quei Dottori che tanto mirabilmente l’hanno approfondita e insegnata: non possiamo non citare, in ambito morale, l’indiscussa autorità di san Tommaso d’Aquino e sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ripresi ampiamente dal Pontefice.

Il Papa apre l’enciclica definendone primariamente il contenuto affermando che è necessario ribadire l’insegnamento morale della Chiesa poiché siamo di fronte ad «una messa in discussione globale e sistematica del patrimonio morale, basata su determinate concezioni antropologiche ed etiche. Alla loro radice sta l’influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità». Continuava il Papa affermando che in tal modo«si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull’universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per «esortare le coscienze» e per «proporre i valori», ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita».

Per di più, sosteneva Giovanni Paolo II, si è diffusa un’opinione che scinde fede e morale, come se l’appartenenza alla Chiesa fosse determinata dalla sola fede e si dovesse tollerare una pluralità di opinioni morali soggettive. 

L’enciclica si addentrava quindi nel discorso partendo da un’analisi del passo evangelico, tratto dal Vangelo di Matteo, del giovane ricco che chiede al Signore cos’altro deve fare, dopo aver rispettato i comandamenti, per avere la vita eterna. Il Papa sottolineava come questo passo mostra esattamente il legame intrinseco tra il rispetto della legge morale naturale e l’amore di Dio e del prossimo. Tant’è che nessun amore è possibile senza l’osservanza della Legge e viceversa.

Non solo, ma senza il rispetto dei Comandamenti non è possibile neanche una autentica libertà. Il Papa, al n. 13 dell’enciclica, ricorda la posizione di sant’Agostino in merito: «La prima libertà consiste nell’essere esenti da crimini… come sarebbero l’omicidio, l’adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l’inizio della libertà, non la libertà perfetta […]».

Al n. 29, Giovanni Paolo II ricorda come la riflessione Morale della Chiesa si è sviluppata grazie alla teologia morale ovvero,«una scienza che accoglie e interroga la rivelazione divina e insieme risponde alle esigenze della ragione umana. La teologia morale è una riflessione che riguarda la «moralità», ossia il bene e il male degli atti umani e della persona che li compie, e in tal senso è aperta a tutti gli uomini; ma è anche «teologia», in quanto riconosce il principio e il fine dell’agire morale in Colui che «solo è buono» e che, donandosi all’uomo in Cristo, gli offre la beatitudine della vita divina».

Il Pontefice in seguito denuncia alcune correnti del pensiero moderno che assolutizzano la libertà, ponendo in essa la sorgente dei valori. Infatti, «si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male. All’affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza». (n. 32).

Tuttavia, prosegue Giovanni Paolo II nel punto seguente, questo determina la perdita dell’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana per cui si è sfociati in «un’etica individualista, per la quale ciascuno si trova confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri. Spinto alle estreme conseguenze, l’individualismo sfocia nella negazione dell’idea stessa di natura umana».

Ciononostante, la Chiesa non cessa di insegnare che esistono dei precetti negativi della legge naturale universalmente validi che obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza, ovvero di «proibizioni che vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni, perché la scelta di un tale comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà della volontà della persona che agisce, con la sua vocazione alla vita con Dio e alla comunione col prossimo» (n. 52).

Oggigiorno, anche tra i cattolici, si mette sempre più in discussione l’esistenza stessa di una legge naturale non solo universale, ma anche immutabile, cioè di norme oggettive «valide per tutti gli uomini del presente e del futuro, come già per quelli del passato […]» (n. 53).

L’uomo, insegna il Pontefice, è tenuto ad agire secondo il giudizio pratico della coscienza il quale non stabilisce la legge, «ma attesta l’autorità della legge naturale e della ragione pratica in riferimento al bene supremo, di cui la persona umana accetta l’attrattiva e accoglie i comandamenti […]». (n. 60).

È proprio il rapporto della libertà dell’uomo con tale bene che determina la moralità degli atti, ma questo bene «è stabilito, come legge eterna, dalla Sapienza di Dio che ordina ogni essere al suo fine: questa legge eterna è conosciuta tanto attraverso la ragione naturale dell’uomo (e così è «legge naturale»), quanto — in modo integrale e perfetto — attraverso la rivelazione soprannaturale di Dio (e così è chiamata «legge divina»)». Per cui, continuava il Papa, un atto è buono quando le sue scelte esprimono «l’ordinazione volontaria della persona verso il suo fine ultimo, cioè Dio stesso: il bene supremo nel quale l’uomo trova la sua piena e perfetta felicità» (n. 72).

Al che, Giovanni Paolo II, ricordava il problema delle «fonti della moralità» degli atti umani (oggetto, intenzioni, circostanze) che determinano la loro qualificazione morale. In particolare, si soffermava su quegli atti che per il loro oggetto, o fine prossimo (cioè quello direttamente voluto quando l’uomo compie un determinato atto), costituiscono un male intrinseco, indipendentemente dalle intenzioni dell’agente e dalle circostanze. Nel fare ciò, condannava espressamente quelle teorie etiche secondo cui «il comportamento concreto sarebbe giusto, o sbagliato, a seconda che possa, o non possa, produrre uno stato di cose migliore per tutte le persone interessate: sarebbe giusto il comportamento in grado di «massimizzare» i beni e di «minimizzare» i mali» (n. 74).

Il Papa si riferiva espressamente al «consequenzialismo» e al «proporzionalismo», spiegando che «il primo pretende di ricavare i criteri della giustezza di un determinato agire solo dal calcolo delle conseguenze che si prevedono derivare dall’esecuzione di una scelta. Il secondo, ponderando tra loro valori e beni perseguiti, si focalizza piuttosto sulla proporzione riconosciuta tra gli effetti buoni e cattivi, in vista del «più grande bene» o del «minor male» effettivamente possibili in una situazione particolare» (n. 75).

Dopo aver spiegato più approfonditamente tali teorie, Giovanni Paolo II espresse una ferma condanna delle medesime, in quanto incompatibili con la dottrina della Chiesa visto che «credono di poter giustificare, come moralmente buone, scelte deliberate di comportamenti contrari ai comandamenti della legge divina e naturale».

Infatti, spiegava il Papa, se è vero che nella morale cattolica «si è sviluppata una casistica attenta a ponderare in alcune situazioni concrete le possibilità maggiori di bene, è altrettanto vero che ciò riguardava solo i casi in cui la legge era incerta e, pertanto, non metteva in discussione la validità assoluta dei precetti morali negativi che obbliga senza eccezione».

La conclusione del Pontefice era che i fedeli «sono tenuti a riconoscere e a rispettare i precetti morali specifici, dichiarati e insegnati dalla Chiesa in nome di Dio, Creatore e Signore» (n. 76). Questo insegnamento è più attuale che mai, e mette in guardia i cattolici da scelte apparentemente buone ma che, in realtà, rispondono a quelle logiche consequenzialiste e proporzionaliste che il Papa denunciava. Talvolta, l’optare per queste teorie risponde ad una dinamica di scoraggiamento del mondo cattolico, di fronte all’incessante progredire del male. Si cerca quindi di intraprendere delle scorciatoie che però, a lungo andare, si rivelano non solo fallimentari ma persino dannose per le anime. Bisogna invece perseverare nel bene, integralmente, sicuri del sostegno di Nostro Signore che continua a dirci «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt. 28, 20).

4 commenti:

  1. Se penso alle ferocissime critiche ed insulti rivolti al santo Papa polacco quando era in vita da parte dei tradizionalisti, vien da sorridere vedendolo portato addirittura a modello!

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    1. Per molti aspetti era un ottimo Papa. Insulti non ne abbiamo mai fatti: non li facciamo per nessun Papa (nemmeno per quello regnante,... pensi un po').
      Poi certo, i punti di vista cambiano nel tempo.

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  2. Ricordo un vostro post di diversi anni fa che parlava di “bolsa retorica di Giovanni Paolo II”.

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  3. Chi ha nominato Berboglio Vescovo e Cardinale?? Purtroppo si sono fatti TRAGICI ERRORI...

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