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mercoledì 12 luglio 2023

Mons. Fernández, il Ratzinger latinoamericano? No. Deve studiare molto ancora e cambiare il suo linguaggio divisivo #Fernández

Continuiamo sulle analisi del nuovo Prefetto del DDF mons. Fernández.
"Ma sono loro, il Papa e i suoi collaboratori, l’entourage mediatico, che per primo rifiutano ogni disaccordo o critica usando le categorie politiche, quelle che dividono la Chiesa fra progressisti e conservatori.
Mons. Fernández è l'ultimo esempio. Chi lo critica è anti-bergogliano, conservatore, reazionario e complottista. Chi invece lo applaude è bergogliano, progressista, riformista e rivoluzionario.
C'è poco o nulla da fare per ora. Resta in piedi una domanda importante:
Nel 2023 un cattolico può essere educatamente e amorevolmente in disaccordo con quanto accade o si dice nella Chiesa nella quale crede senza essere etichettato con astio e a volte con odio?"
Qui altri post sulla nomina di mons. Fernández Prefetto del DDF.
Luigi


La nomina di un nuovo Prefetto nel Dicastero per Dottrina della Fede, una sorta di "vendetta delle periferie, di rivalsa dei poveri o di rivincita dei 'progres' [progressisti]"? Ma che linguaggio è questo?

(L.B., R. C. - a cura Redazione "Il sismografo") Il neo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, mons. Víctor Manuel Fernández, è giovane e dunque ha, grazie a Dio, molto tempo davanti a sè per studiare se, come desiderano i suoi amici e alcuni giornalisti, il suo sia un profilo teologico di tale calibro che si potrebbe parlare di un Ratzinger latinoamericano.
Questo sforzo rielaborato si è visto molto - in questa settimana - nelle interviste rilasciate dal prelato e nelle presentazioni scritte da diversi giornalisti che si copiano e incollano tra loro.
Per ora nel suo percorso accademico l'arcivescovo teologo ha privilegiato la quantità: ha scritto oltre 300 pubblicazioni in 61 anni di vita. Veramente molto. Ora, con la maturità e le conoscenze acquisite, nonché l'esperienza universitaria, potrebbe privilegiare anche la qualità curando personalmente, per esempio, l'aggiornamento e le traduzioni dei suoi testi migliori. Non risulta essere un teologo molto tradotto e questo per lui è uno svantaggio considerevole al quale rimediare presto.
C’è però un passaggio nel sue interviste piuttosto infantile e autolesionista che andrebbe eliminato poiché è dannoso per il presule: quello di far capire - seppure rifiutando formalmente il concetto - di essere (lui e la sua nomina al vertice del Dicastero) una sorta "di vendetta delle periferie, di rivalsa dei poveri, di rivincita dei 'progres' [progressisti]".
Il neo Prefetto dice di rifiutare queste categorie o queste pseudo-analisi ma non si capisce il perché ne parla in diverse interviste.
Non risulta che qualcuno abbia mai definito la sua nomina pontificia con questi concetti. Mai. Allora viene da chiedersi perché il neo Prefetto insiste ossessivamente su questa questione. Forse perché è proprio quello che vuole dire ma negando subito che lo pensi?
La cosa è semplice: il neo Prefetto è un prelato che piace a molti così come non piace a tanti altri. Punto e basta. Ciascuno ha i suoi motivi. Nella Chiesa è un diritto. La sua nomina non è dunque una catastrofe. Non è il giudizio universale. Non il diluvio o la fine del mondo. Lo stesso succede con Papa Francesco o con altri Prefetti, cardinali, vescovi e parroci. Piacciono e non piacciono.
Succede da secoli e succederà nei secoli futuri, con tutti i pontificati.
Questa storiella di leggere tutto con le categorie della politica non è più convincente. La Chiesa, il Papa, e i suoi collaboratori denunciano, giustamente, l'uso improprio di categorie politiche per leggere la Chiesa e la sua vita, a maggior ragione quando si tratta del Vangelo di Cristo.
Ma sono loro, il Papa e i suoi collaboratori, l’entourage mediatico, che per primo rifiutano ogni disaccordo o critica usando le categorie politiche, quelle che dividono la Chiesa fra progressisti e conservatori.
Mons. Fernández è l'ultimo esempio. Chi lo critica è anti-bergogliano, conservatore, reazionario e complottista. Chi invece lo applaude è bergogliano, progressista, riformista e rivoluzionario.
C'è poco o nulla da fare per ora. Resta in piedi una domanda importante:
Nel 2023 un cattolico può essere educatamente e amorevolmente in disaccordo con quanto accade o si dice nella Chiesa nella quale crede senza essere etichettato con astio e a volte con odio?