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venerdì 11 novembre 2022

"La tempesta nell'acquasantiera". Cantautore francese negli anni '70 profetizzò la disfatta della Chiesa che tolse il latino e riformò la liturgia

In questo periodo di commemorazioni per il 60° anniversario del Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, abbiamo già indicato una canzone di Gaber che già nel 1968 celebrava ed esaltava i cambiamenti suscitati dal famigerato "spirito del Concilio". 
Oggi ricordiamo quest'altra canzone (del cantautore francese Georges Brassens) che ci fa rivivere amaramente echi tridentini. 
Negli anni floridi di attività artistica egli non fu certo un baciapile: agnostico sornione, anarcoide, umorale, ma dotato d’intelligenza, sensibilità e rispetto compose una canzone (nei primi anni '70) con cui volle dire la sua sulla recentissima riforma liturgica di papa Montini.  Le parole usate (che naturalmente un credente non può non trovare eccessive e irriverenti), sono sincere e spregiudicate ma . La canzone ha per titolo “Tempête dans un bénitier”. 
Al di là della 
semplificazione dissacratoria che Brassens fa della Messa (e del turpiloquio di cui a volte fa uso) egli compì però una duplice opera di verità: da un lato sintetizzò uno dei sentimenti comuni più diffusi tra i cattolici dell'epoca (lo sconcerto per la rivoluzione liturgica), dall'altro profetizzò inconsapevolemnte la crisi che la Chiesa avrebbe vissuto e sta vivendo oggigiorno (e noi, posteri, possiamo tristemente constatarla...). 

Se si legge il testo (qui) e non si sapesse che è stato composto 40 anni fa, sembrerebbe l'amaro ennesimo lamento di uno dei tanti cattolici contemporanei che si lamenta delle decisione dei padri conciliari che avendo tolto il latino e semplicato troppo la liturgia (private delle "pompe magne") banalizzarono la Messa privandola di quel
misterium fidei che le è proprio finendo per renderla poco edificante, poco ieratica e quindi, per ovvie ragioni legate alla natura umana, sentita meno interessante e attraente. 
Brassens poi - profetizzando "a sua insaputa" - disse che non era certo l'unico a essere scontento della riforma e che, togliendo il latino, i sacerdoti non sapevano a cosa stavano rinunciando, cosa stavano perdendo, che la Chiesa avrebbe finito per essere "assente" e che le chiese sarebbero state più vuote e i fedeli sarebbero andati a Messa solo col maltempo (avendo, col bel tempo, altro di meglio da fare). 
Parole di attualità incredibile, purtroppo... 

Un verso per tutti: 

"Questi corvi che hanno visto, tagliato, affettato
Il sano e buon vecchio ramo
Dalla croce dove sono appollaiati."

per chi fosse interessato a leggere il testo completo, la traduzione in italiano e ascoltarne alcune versioni, trova il nostro post qui

Roberto

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