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lunedì 28 marzo 2022

Echi tridentini in gastronomia: il "gulash" di S. Giovanni da Capestrano, simbolo della battaglia di Belgrado contro i musulmani

Continuiamo con la gastronomia cattolica, e ricordiamo che per altri echi "tridentini" (in gastronomia, e non solo) i lettori possono trovare molti altri nostri post sulla nostra pagina "Echi tridentini: film, libri e cucina
Oggi proponiamo una ricetta legata a S. Giovanni da Capestrano nel giorno della sua memoria liturgica nel calendario tradizionale (28.3.2022). 
Luigi


29-08-2021, La Nuova Bussola Quotidiana, Liana Marabini

Con le sue predicazioni san Giovanni da Capestrano, su invito di papa Calisto III, reclutò 35mila cristiani ungheresi, cittadini comuni, per combattere i turchi che assediavano Belgrado. E unitisi ai soldati guidati da Ioan Hunyadi, il 22 luglio 1456, batterono un esercito molto più numeroso. E la sera prima Giovanni aveva benedetto un pasto....

Belgrado, 21 luglio 1456.
Il campo di battaglia è stranamente silenzioso, malgrado la marea di uomini che copre la riva del fiume. In lontananza si vedono le torri e i muri della città, in parte distrutta dai cannoni turchi, che bruciano. Qua e là degli enormi paioli posti sopra fuochi da campo riempiono l'aria dell'aroma del cibo che cuoce: carne e legumi, paprika, spezie. Gli uomini sono seduti per terra, ognuno ha di fianco le proprie armi e una coperta grezza arrotolata, che useranno per coprirsi durante la notte. Non ci sono tende, né alcun altro "confort": per fortuna in quel momento dell'anno fa caldo.

Aspettano che il prete finisca di passare da un gruppo all'altro per benedire il pasto, per potere mangiare. Finalmente lo vedono che si dirige verso un paiolo e riempie la propria ciotola di coccio con il gulasch fumante. Prende, da uno dei grandi cesti alti un metro e pieni di pane piuttosto secco, anche un tozzo che lascia cadere nella ciotola, per farlo inzuppare nel sugo di quella pietanza gustosa e piuttosto liquida. Il prete si siede, appoggia la ciotola sulle ginocchia e comincia a mangiare in silenzio, con gesti misurati.
Gli uomini si alzano a gruppi e si mettono intorno al paiolo, riempiendo le proprie ciotole e andando a sedersi per mangiare e per lasciare il posto agli altri.

Non sono soldati di mestiere, sono stati reclutati proprio dal prete, per combattere i Turchi. Vengono da varie parti dell'Ungheria, sono animati tutti dal desiderio di impedire ai miscredenti ottomani di prendere Belgrado, che è parte del regno d'Ungheria.
Più in disparte ci sono i veri soldati, dei mercenari, assunti da Ioan Hunyadi. Tutti insieme combatteranno, finalmente, domani. Sono in viaggio da dieci giorni, con lo scopo di dare battaglia agli Ottomani che dal 4 luglio tengono Belgrado sotto assedio. Hunyadi stesso ha concepito il piano di battaglia e ha messo a punto la strategia.
Il prete li ha motivati tutti, perfino i mercenari, con le sue parole infuocate e le prediche che parlano del dovere di fare trionfare la parola di Dio.

Domani sarà il grande giorno, quello della battaglia decisiva. Infatti, il giorno dopo, il 22 luglio 1456, l'assedio di Belgrado sarebbe terminato con la vittoria dei Cristiani contro i Turchi. Costoro assediavano da giorni la città, condotti dal sultano Mehmed II che aveva raccolto le forze per conquistare il Regno d'Ungheria. Il suo obiettivo immediato era quello di impadronirsi della fortezza della città di Belgrado.

Ioan Hunyadi (1407 - 1456) era un nobile ungherese, signore (voievod) della Transilvania, che con coraggio e fede, aveva messo a punto una strategia militare temeraria, che aveva portato i Cristiani alla vittoria, malgrado il loro numero, nettamente inferiore a quello degli Ottomani.


Il prete è Giovanni da Capestrano, che ha avuto un ruolo decisivo in questa battaglia, non solo per il fatto che ha motivato con le sue parole i combattenti, ma anche perché è riuscito a mettere insieme una parte dell'esercito cristiano.
Era nato il 24 giugno 1386 nel Regno di Napoli, più precisamente a Capestrano, città della provincia dell'Aquila, in Abruzzo. Suo padre, un barone tedesco, era arrivato in Italia come membro della corte del re Ludovico I di Napoli. Aveva sposato una donna abruzzese.
Il loro figlio Giovanni studiò con profitto all'Università di Perugia e si sposò qualche tempo dopo senza consumare il suo matrimonio.
Diventò avvocato nel 1412 all'età di 26 anni, grazie al suo maestro Baldus de Ubaldis. Insegnò nella stessa Università di Perugia, di cui fu governatore, obbedendo a Ladislao I di Napoli. La città fu però oggetto di una lotta di potere tra i riminesi e l'esercito di Sigismondo Malatesta. Fatto prigioniero e riflettendo sulla vita, giunse alla conclusione che il denaro non era importante e decise di dedicare la sua vita alla ricerca della santità entrando nell'ordine francescano nel 1416, dopo la sua vedovanza. L'anno successivo fu ordinato sacerdote, e divenne vicario generale; suo maestro fu san Bernardino da Siena, che ebbe una grande influenza sulla sua formazione.

Iniziò poi a predicare i Vangeli in Europa, prima in Germania (dove predicò crociate contro gli hussiti e convertì più di quattromila persone), poi in Austria, Ungheria e Polonia. Insegnante nei luoghi pubblici, dove molte persone venivano ad ascoltarlo, ebbe ben presto il soprannome di "santo predicatore". Combatteva contro la stregoneria e tutte le forme di eresia. I suoi sermoni duravano dalle due alle tre ore. Aveva uno stile di vita frugale, dormiva e mangiava poco ed aveva un atteggiamento caritatevole verso il prossimo.
Oltre al suo ministero di predicazione, servì come consigliere personale e inviato (ambasciatore) presso i papi Martino V, Eugenio IV, Nicola V e Callisto III, essendo noto per la sua prudenza nelle decisioni diplomatiche. Fu così inviato nelle città di Milano e Bologna e continuò la sua opera in Germania e Polonia.

Infine, arriviamo così alla battaglia di Belgrado. Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453 da parte dei Turchi, Mehmed II (1432 - 1481) preparò l'invasione dell'Ungheria, e arrivò con un esercito di centomila uomini ad invadere la Serbia nel 1455. Su invito di papa Calisto III, Giovanni da Capestrano si era impegnato a reclutare cristiani dall'Ungheria. Riunisce quasi trentacinquemila uomini, la maggioranza dei quali sono contadini, artigiani e studenti, che si sono aggiunti ai quasi quindicimila mercenari di Ioan Hunyadi. Quarantacinquemila Cristiani contro centomila Ottomani.

Gli eserciti ottomano e cristiano si affrontarono a Belgrado il 22 luglio 1456. Giovanni da Capestrano esortò i soldati con una bandiera ornata da una croce e al grido "Gesù, Gesù, Gesù". Con il fervore delle sue esortazioni e delle sue preghiere incoraggiò il popolo dei fedeli e si impegnò nella difesa della libertà dei cristiani, contribuendo notevolmente alla vittoria contro i Turchi. I rappresentanti dell'esercito cristiano hanno detto di lui che "questo padre ha più autorità sui soldati che i loro capi militari".


Dopo la vittoria sui Turchi, Belgrado e altre città dovettero affrontare la peste, e Giovanni da Capestrano morì pochi mesi dopo, il 23 ottobre 1456, di questa terribile malattia, a Ilok, in Slavonia (oggi Croazia orientale). Aveva 70 anni.
Il suo culto come beato fu confermato il 19 dicembre 1650, poi fu canonizzato il 16 ottobre 1690 da papa Alessandro VIII.
È il protettore dei cappellani militari e dei giuristi. Nelle immagini sacre è spesso raffigurato con il saio, abito tipico dei frati. Il corpo di San Giovanni da Capestrano è conservato nella chiesa francescana di San Giovanni da Capestrano ad Ilok, nella Croazia.

1 commento:

  1. Scusate l'appunto pedantesco, ma la grafia "gulash" non ha senso. Il digramma "sh" per rendere la sibilante palatale sorda è usato solo nella scrittura dell'inglese e in quella dell'albanese. Ma il nome della pietanza non è né inglese né albanese, è una parola ungherese arrivataci tramite la mediazione del tedesco, pertanto se non si vuole scriverlo all'ungherese "gulyás" (trattandosi di lingua poco conosciuta), si scriva almeno con la grafia tedesca "Gulasch" (come peraltro si è sempre scritto). Scrivere "gulash" significa solo appiattirsi sulla (sotto)cultura anglosassone che oggi governa il mondo. Quindi un atteggiamento da respingersi ipso facto.

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