Pagine

venerdì 24 settembre 2021

Il cardinale Robert Sarah sulla credibilità della Chiesa Cattolica sulla liturgia #traditioniscustodes

“Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere all’improvviso del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. Spetta a tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il posto che le spetta”
Benedetto XVI

"In materia liturgica, né la violenza pastorale né l’ideologia partigiana hanno mai prodotto frutti di unità. La sofferenza dei fedeli e le attese del mondo sono troppo grandi per intraprendere queste strade senza uscita. Tutti hanno un posto nella Chiesa di Dio!"
Luigi

12 Settembre 2021 Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, con molto ritardo – con cui ci scusiamo – vi offriamo questo articolo che l’amico Vincenzo Fedele, che ringraziamo di cuore, ha tradotto dal National Catholic Register. Buona lettura.


Sulla credibilità della Chiesa cattolica


COMMENTO: Da due millenni la Chiesa ha sempre svolto il ruolo di custode e traghettatrice della civiltà. Ma oggi ne ha ancora i mezzi e la volontà?

Nota dell’editore: il saggio è apparso per la prima volta il 14 agosto sul quotidiano in lingua francese Le Figaro. La traduzione inglese è qui ristampata con il permesso del cardinale Robert Sarah. È stato modificato lo stile.

Il dubbio si è impadronito del pensiero occidentale. Intellettuali e politici descrivono allo stesso modo la medesima impressione di collasso. Di fronte al crollo della solidarietà e alla disgregazione delle identità, alcuni guardano di nuovo alla Chiesa cattolica. Le chiedono di manifestare una ragione per vivere insieme tra individui che hanno dimenticato ciò che li unisce come un solo popolo. La pregano di equipaggiare un po’ più di anima per rendere sopportabile la fredda durezza della società dei consumi. Quando un prete viene assassinato, tutti sono toccati e molti si sentono colpiti nel profondo.
Ma la Chiesa è capace di rispondere a queste chiamate? Certamente ha già svolto questo ruolo di custodire e tramandare la civiltà. Al tramonto dell’Impero Romano, seppe trasmettere la fiamma che i barbari minacciavano di spegnere. Ma ha ancora i mezzi e la volontà per farlo oggi?

Alla base di una civiltà non può esserci che una realtà che la superi: una sacra invariabilità. Malraux lo ha notato con realismo: “La natura di una civiltà è ciò che si raccoglie attorno a una religione. La nostra civiltà è incapace di costruire un tempio o una tomba. O riuscirà a ritrovare a trovare il suo valore fondante, o decadrà».

Senza un fondamento sacro le protezioni dei confini invalicabili vengono distrutte. Un mondo interamente profano diventa una vasta distesa di sabbie mobili. Tutto è tristemente aperto ai venti dell’arbitrario. In assenza della stabilità di un fondamento che sfugge all’uomo, la pace e la gioia — segni di una civiltà duratura — sono costantemente inghiottite da un senso di precarietà. L’angoscia del pericolo imminente è il sigillo dei tempi barbarici. Senza un fondamento sacro, ogni legame diventa fragile e volubile.

Alcuni chiedono alla Chiesa cattolica di svolgere questo ruolo di solido fondamento. Vorrebbero vederla assumere una funzione sociale, cioè essere un sistema coerente di valori, una matrice culturale ed estetica. Ma la Chiesa non ha altra sacra realtà da offrire che la sua fede in Gesù, Dio fatto uomo. Il suo unico scopo è rendere possibile l’incontro degli uomini con la persona di Gesù. L’insegnamento morale e dogmatico, così come il patrimonio mistico e liturgico, sono l’ambiente e il mezzo di questo incontro sacro e fondamentale. Da questo incontro nasce la civiltà cristiana.

La bellezza e la cultura sono i suoi frutti.

Per rispondere alle attese del mondo, la Chiesa deve dunque ritrovare se stessa e riprendere le parole di san Paolo: «Nel tempo che ero con voi, infatti, ho deciso di non conoscere altro che Gesù Cristo e Gesù crocifisso». Deve smettere di pensare a se stessa come a un sostituto dell’umanesimo o dell’ecologia. Queste realtà, per quanto buone e giuste, sono per lei solo conseguenze del suo unico tesoro: la fede in Gesù Cristo.

Ciò che è sacro per la Chiesa, allora, è la catena ininterrotta che la lega con certezza a Gesù. Una catena di fede senza rottura o contraddizione, una catena di preghiera e liturgia senza rottura o disconoscimento. Senza questa radicale continuità, quale credibilità potrebbe ancora rivendicare la Chiesa? In lei non c’è un ritorno indietro, ma uno sviluppo organico e continuo che chiamiamo tradizione viva.

Il sacro non può essere decretato, è ricevuto da Dio e trasmesso.

Questo è senza dubbio il motivo per cui Benedetto XVI ha potuto affermare autorevolmente:

“Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere all’improvviso del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. Spetta a tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il posto che le spetta”.

In un momento in cui alcuni teologi cercano di riaprire le guerre di liturgia contrapponendo il messale rivisto dal Concilio di Trento a quello in uso dal 1970, è urgente ricordarlo. Se la Chiesa non è in grado di conservare la pacifica continuità del suo legame con Cristo, non potrà offrire al mondo «il sacro che unisce le anime», secondo le parole di Goethe.

Al di là della lite sui riti, è in gioco la credibilità della Chiesa. Se essa afferma la continuità tra quella che comunemente viene chiamata la Messa di san Pio V e la Messa di Paolo VI, allora la Chiesa deve poter organizzare la loro pacifica convivenza e il loro reciproco arricchimento. Se si escludesse radicalmente l’una a favore dell’altra, se li dichiarasse inconciliabili, si riconoscerebbe implicitamente una rottura e un cambio di orientamento. Ma allora la Chiesa non potrebbe più offrire al mondo quella sacra continuità, che sola può darle la pace. Mantenendo viva in sé una guerra liturgica, la Chiesa perde la sua credibilità e diventa sorda alla chiamata degli uomini. La pace liturgica è il segno della pace che la Chiesa può portare nel mondo.

La posta in gioco è dunque molto più consistente di una semplice questione di disciplina. Se dovesse rivendicare un capovolgimento della sua fede o della sua liturgia, in nome di cosa la Chiesa oserebbe rivolgersi al mondo? La sua unica legittimità è la sua coerenza nella sua continuità.

Inoltre, se i Vescovi, preposti alla convivenza e all’arricchimento reciproco delle due forme liturgiche, non esercitano in tal senso la loro autorità, corrono il rischio di non apparire più come pastori, custodi della fede ricevuta e delle pecore loro affidate, ma essere visti come capi politici: commissari dell’ideologia del momento piuttosto che custodi della tradizione perenne. Rischiano di perdere la fiducia degli uomini di buona volontà.

Un padre non può introdurre diffidenza e divisione tra i suoi figli fedeli. Non può umiliare alcuni mettendoli contro gli altri. Non può ostracizzare alcuni dei suoi sacerdoti. La pace e l’unità che la Chiesa pretende di offrire al mondo devono essere vissute anzitutto all’interno della Chiesa stessa.

In materia liturgica, né la violenza pastorale né l’ideologia partigiana hanno mai prodotto frutti di unità. La sofferenza dei fedeli e le attese del mondo sono troppo grandi per intraprendere queste strade senza uscita. Tutti hanno un posto nella Chiesa di Dio!

Nessun commento:

Posta un commento