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lunedì 2 agosto 2021

Kwasniewski: fondato su menzogne, quale legittimazione per TC? #traditioniscustodes #summorumpontificum

Un articolo interessante sulla scia delle affermazioni del Card. Walter Brandmüller.
Luigi

29 Luglio 2021, Stilum Curiae

Carissimi Stilumcuriali, un caro amico del nostro sito, Vincenzo Fedele, ci offre la sua traduzione di un articolo molto interessante pubblicato su LifeSiteNews dal dott. Peter Kwasniewski, in merito alla validità giuridica del recente, discutibile e discusso Motu Proprio del Pontefice regnante. Grazie a Fedele, e buona lettura.
§§§

Dato che è fondata sulle menzogne, la Traditionis Custodes manca di legittimazione giuridica?

La posta in gioco è una pretesa teologica sullo status oggettivo delle fondamenta della tradizione liturgica, cosa che non dipende da una decisione papale, a meno che, adesso, l’autorità papale si ritenga estesa alla riscrittura del passato, cosa che, come sostengono i teologi, nemmeno Dio può fare.

20 luglio 2021 ( LifeSiteNews ) – L’articolo 1 del motu proprio Traditionis Custodes recita: “I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi di rito romano”.

Il papa qui afferma che il Novus Ordo è l’unica legge di preghiera per il rito romano. [N.d.T. Come per l’art. 1 sopra citato, e come anche nel seguito, usiamo la versione originale italiana del Motu Proprio che, curiosamente, non è stata finora edita in lingua latina. Nella versione pubblicata in inglese, invece di “unica”, cioè “unique”, è riportato “only”, cioè “la sola”. Stranezze della Sala Vaticana].

È impossibile non vedere come ciò sia incompatibile con la storia della Chiesa e con la sua riverenza per i venerabili riti dell’antichità e del Medioevo, compendiati nel Missale Romanum del 1570 e nelle sue successive edizioni integrali. Anche loro sono la lex orandi e non può essere altrimenti. Invece, il motu proprio utilizza in modo maldestro la “lex orandi” come fosse un termine giuridico, canonico, applicabile ad libitum, come se fosse un’etichetta estrinseca. In realtà, la lex orandi è l’intero complesso di testi storici di preghiere, cerimonie e musiche che compongono il Rito Romano.

L’unico modo per sostenere l’invenzione dell’articolo 1 è affermare che c’è una continuità così grande, tra il vecchio e il nuovo messale, che il nuovo è semplicemente una versione aggiornata del vecchio – che il Novus Ordo è sostanzialmente lo stesso, come il tradizionale rito romano che lo ha preceduto. La lettera di Francesco ai vescovi fa proprio questa manovra:

Si deve perciò ritenere che il Rito Romano, adattato lungo i secoli alle esigenze dei tempi, non solo sia stato conservato ma rinnovato “in fedele ossequio alla Tradizione”. Chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non tstenterà a trovare nel Messale Romano, riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II, tutti gli elementi del Rito Romano, in particolare il Canone Romano, che costituisce uno degli elementi più caratterizzanti.

Si può solo guardare con stupore alla flagrante falsità di questa coppia di frasi.

Come ha dimostrato Michael Fiedrowicz (e con lui molti altri) nel suo recente libro “La messa tradizionale: storia, forma e teologia del rito romano classic” , che è rimasto senza risposta, il rito romano ha visto molti cambiamenti nel corso dei secoli, ma il suo sviluppo è stato lento, costante e continuo, un corpo veramente organico di testi, cerimonie e musiche. Non è mai stato “adattato” per un secolo particolare da un super-comitato che trattasse tutto il materiale della liturgia come materia prima a loro disposizione da riorganizzare, riscrivere ed innovare “ad libitum”, con un fiat papale per infondergli un’anima. San Pio V non creò una nuova serie di libri liturgici ma codificò il più accuratamente possibile la prassi storica della Chiesa di Roma, una lex orandi pienamente espressiva della fede cattolica allora attaccata dai protestanti. Egli stabilì solennemente questo rito della Messa come “regula fidei” con la sua Bolla Apostolica Quo Primum del 14 luglio 1570. Questa Bolla fu ripubblicata nelle successive edizioni del messale dai pontefici suoi successori, in segno di continuità nella lex orandi, proprio perchè la lex credendi potesse essere integralmente conservata e tramandata.

In netto contrasto con questo, i libri liturgici promulgati da Paolo VI furono modellati utilizzando frammenti di libri occidentali più antichi e di altre fonti non occidentali, mescolati a nuove composizioni e slegati da un patrimonio linguistico, rubricale e musicale condiviso, pur con variazioni locali, da tutti i cattolici occidentali prima della Riforma. Il suo messale fu il primo, dal 1570, a non essere preceduto da Quo Primum, assenza eloquente che testimonia la sua discontinuità rispetto alla tradizione precedente. Chiamatela come volete, questa interruzione della trasmissione è ciò che ha reso possibile in primo luogo la situazione confusa a cui il Summorum Pontificum ha cercato di dare una risposta pastorale.

Pertanto, quando Francesco afferma che “tutti gli elementi del rito romano” si ritroveranno nel moderno Messale Romano di Paolo VI e Giovanni Paolo II, egli afferma una falsità, e su questo dobbiamo richiamarlo chiararamente e con il più coraggioso impegno possibile. Quanto siano vasti i contrasti e quanto ampiamente divergano i due messali, tradizionale e moderno, è stato oggetto di voluminosi studi accademici. Ho contribuito a questo corpus di lavoro con diverse conferenze che sarebbero una lettura utile mentre ci sforziamo di rispondere al motu proprio malamente argomentato e, di fatto, errato:

Poiché la pretesa di una continuità sostanziale e di revisioni meramente superficiali non può essere sostenuta quando le prove del suo contrario sono evidenti, Papa Benedetto, con uno spirito che si potrebbe chiamare pragmatismo caritatevole, ha deciso di lasciare entrambe queste “tradizioni” – quella secolare e quella recente – realizzati negli anni Sessanta, che coesistono in una situazione senza precedenti. Non poteva pensare ad altro modo per uscire dall’impasse che la decisione di Paolo VI aveva creato, e desiderava essere il più generoso possibile con coloro che continuavano ad aderire alla liturgia tradizionale, cosa che non poteva essere addebitata loro come colpa morale o in alcun modo considerarla contraria alla Fede senza, contestualmente, rimettere in discussione la coerenza interna della Chiesa. Lui stesso aveva avuto molti ripensamenti sulla riforma liturgica e aveva ritenuto necessario lasciare che la forma più antica – davvero, un rito diverso, secondo tutti gli standard, – continuasse a rimanere in vigore.

In armonia con il giudizio di una commissione cardinalizia nominata anni prima da papa Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI ha affermato che il rito tridentino, da lui soprannominato “la forma straordinaria”, non è stato “mai abrogato” (Summorum Pontificum, art. 1; cfr. . con Grande Fiducia “questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”). La ragione più profonda per cui non è stato abrogato, tuttavia, non è che Paolo VI si sia semplicemente dimenticato di farlo, o abbia sbagliato i passi corretti. Piuttosto: “Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere all’improvviso del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. E’ doveroso per tutti noi conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”(Con Grande Fiducia, enfasi aggiunta).

Sono affermazioni di fatto ecclesiologico: ci dicono come stanno realmente le cose. Quando parla così, papa Benedetto non affronta una questione disciplinare, ma esprime verità sulla natura della liturgia cattolica nella storia e sulla sua intrinseca autorità come monumento della tradizione.

Con questa elegante intransigenza Francesco svuota completamente il motu proprio di Benedetto del suo senso teologico tanto che sembra che il nuovo motu proprio “abbia legiferato sulla base di un argomento incompleto e di informazioni false”, come osserva Christophe Geffroy. La contraddizione di Francesco con il suo predecessore su questo punto è evidente, perché il messaggio fondamentale della Traditionis Custodes è: «Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro “non” rimane sacro e grande anche per noi, e “può” essere improvvisamente del tutto vietato e considerato dannoso . “Non è” doveroso per tutti noi conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, o dare a tutte queste ricchezze il posto che spetta loro.”

Cosa dobbiamo farne di questa contraddizione? Un papa o l’altro ha ragione, e ancora, solo uno può avere ragione, perché queste sono affermazioni di verità universali, non determinazioni prudenziali. Ripetiamolo: non si tratta qui di questa o quella preferenza liturgica, di dare o ritirare particolari permessi. La posta in gioco è una pretesa teologica sullo statuto oggettivo dei monumenti della tradizione liturgica, cosa che non dipende da una decisione papale, a meno che l’autorità papale non si ritenga ora estesa alla riscrittura del passato, cosa che i teologi sostengono non possa fare nemmeno Dio.

Come minimo vi sono almeno tre falsità che giocano un ruolo fondamentale nella Traditionis Custodes:
Come abbiamo appena discusso, la Nuova Messa non è ciò che dice di essere. Valida, certo; ma con nessuna ingegnosità di ragionamento, con nessuna metrica, si può dire che sia solo un altro “adattamento” dello stessoMissale Romanum.
Le motivazioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono palesemente travisate nella coppia di documenti di Francesco e le loro premesse teologiche sono direttamente contraddette.
Il mondo tradizionale non è quello che egli dice che sia e i risultati del sondaggio propagandato non sono stati presentati pubblicamente ed in modo onesto. Sappiamo di vescovi, soprattutto degli Stati Uniti, che hanno presentato relazioni positive, cosa che non si potrebbe mai cogliere dal tono severo della lettera papale. Una fonte interna che lavora presso la Congregazione per la Dottrina della Fede ha riassunto per me l’intera indagine definendola: “cautamente positiva”. Non assomiglia per nulla al quadro dipinto da Francesco e dalle conferenze episcopali notoriamente ostili di Francia e Italia. Di chi dobbiamo fidarci? Lo scandalo McCarrick è stato indagato solo a causa di pressioni esterne; l’esame è andato a passo di lumaca; e il rapporto finale è stato inadeguato. La trasparenza o la propensione al dire la verità del Vaticano non ispira fiducia.

Permettetemi di fare un confronto: immaginate che un’autorità civile abbia ordinato la chiusura di un amato zoo cittadino a causa di “frequenti e gravi rapporti” di incidenti con animali che fanno male ai visitatori e perché le uniche persone che vanno agli zoo odiano comunque gli animali. Ma se tali incidenti in realtà non si verificassero con alcuna regolarità, e se l’altra affermazione fosse completamente falsa e calunniosa, in che senso i subordinati sarebbero obbligati a chiudere lo zoo?

Queste pretese fallaci sono le colonne su cui poggiano le direttive disciplinari di Francesco. Ma il buon senso e la logica portano a chiedersi: un documento fondato su falsità può avere valore giuridico? Come può essere preso sul serio come strumento giuridico? Un atto è viziato se è promulgato su base falsa, derivante da mancanza di dovuta conoscenza e predominante prudenza da parte del legislatore. Ragioniamo per logica: “Dato X, si dovrebbe fare Y. Ma X è palesemente falso; quindi ci asteniamo dal fare Y.”

È rilevante un altro principio consacrato dal diritto canonico: una legge dubbia non vincola. Molti vescovi hanno già segnalato la necessità di un attento studio prima di attuare il motu proprio, nonostante il documento sia entrato in vigore da subito. Nel deliberare sul da farsi, tengano presente questo: così com’è, tra errori, contraddizioni e ambiguità, la Traditionis Custodes è così piena di dubbi che è difficile vedere come si possa agire responsabilmente in base ad essa. Date le sue debolezze sistemiche, coloro che non ci riflettono sopra rischiano di commettere peccati di imprudenza e di ingiustizia, peccati contro la carità e la comunione ecclesiale. Non si può non notare con dolore come le nuove disposizioni si inseriscano coerentemente nell’intero schema del pontificato di Francesco, con i suoi frutti di ambiguità e anarchia.

Traduzione : Vincenzo Fedele