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sabato 1 maggio 2021

L’Abate Faria, il d.d.l. Zan e l’incredibile, ineffabile, ambiguità della CEI

Proseguiamo le analisi d’autore in merito alla nota della Conferenza Episcopale Italiana sul d.d.l. Zan, la quale ha suscitato molte critiche tra i commentatori (QUI e QUI i post precedenti), proponendovi il commento molto incisivo pubblicato sul sito Stilum Curiae.

L.V.


Caro Tosatti,

ho saputo non senza apprensione mista a tristezza della notizia che il famigerato d.d.l. Zan è stato incardinato in commissione giustizia del Senato per essere discusso e, a questo punto a meno di un miracolo, definitivamente approvato.

A parziale consolazione, il fatto che il relatore sarà lo stesso presidente della Commissione, che essendo della Lega si spera che almeno venderà cara la pelle.

Ma tant’è. Vorrei invece soffermarmi un attimo sulla nota diffusa dalla CEI a valle della notizia. Oltre alla consueta tempestività d’azione cui da tempo ci hanno abituato i nostri pastori sempre più odoranti di pecora e sempre meno di Cristo, e trascurando il non banale dettaglio che, anziché bocciare l’iniziativa senza se e senza ma, sembra quasi che, se migliorato, alla CEI il d.d.l. Zan non dispiaccia poi tanto, ciò che mi ha lasciato alquanto perplesso della peraltro timidissima nota è laddove, giusto all’inizio, la Presidenza ha voluto ribadire “il sostegno a ogni sforzo teso al riconoscimento dell’originalità di ogni essere umano e del primato della sua coscienza”.

L’affermazione è in effetti piuttosto ambigua, prestandosi a letture anche tra di loro antitetiche (ciò che, sia detto per inciso, non stupisce più di tanto essendo ambiguità e confusione i tratti dominanti dell’attuale corso ecclesiale, a partire dalle più alte sfere).

Se infatti la sottolineatura della “originalità” e del “primato della coscienza” è riferita al fatto che nessuno può essere costretto a pensare secondo i canoni di un pensiero dominante che vuole imporre una e una soltanto visione della realtà; se cioè l’obiettivo è rimarcare l’unicità di ogni essere umano e la non disponibilità ad essere annullato in un tutto indistinto dove non c’è più differenza tra maschile e femminile, ecc., allora il ragionamento ha un suo perché.

Ma se all’opposto in quella affermazione – soprattutto il riferimento al “primato della coscienza” – vi fosse una seppur larvata apertura alle istanze care alla galassia LGBT e ai fautori dell’ideologia gender di cui è impregnato il d.d.l. Zan, beh allora in questo caso le cose cambierebbero. E neanche poco. Perché “primato della coscienza” vorrebbe dire che lo decido io ciò che sono o non sono, o meglio ciò che – in coscienza – mi sento o non mi sento di essere a prescindere dal dato biologico. Che è esattamente dove vogliono andare a parare Zan&Co.

E per come prosegue la nota – “Tuttavia, una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna” – con quel chiaro riferimento alla discriminazione che si vuole combattere, è lecito pensare che sia buona la seconda lettura.

Proprio per questo sarebbe oltremodo auspicabile un chiarimento da parte della CEI, risparmiandoci magari improbabili e inopportuni esercizi di funambolismo all’insegna di un dialogo che, su questa come su altre questioni, semplicemente non può e non deve esserci.

Ma, ahimè, sono altresì persuaso che nessun chiarimento arriverà mai. E anche qui, caro Tosatti, tutto torna.

Abate Faria