Un'altra bella puntata di gastronomia cattolica della Bussola.
Luigi
18-04-2021
Le api sono presenti nella vita di Sant'Ambrogio fin dall'infanzia, quando un giorno uno sciame entra ed esce a lungo dalla sua bocca aperta mentre dorme nella culla in giardino, senza infastidirlo. L'episodio è raffigurato in un altare della Basilica a lui dedicata a Milano. E Sant'Ambrogio, che amerà sempre le api e anche le alleverà, è il protettore degli apicultori.
È un caldo mattino di giugno dell'anno 384, siamo a Milano, nella basilica della città. Un giovane di bella presenza entra cercando di non fare rumore. Si siede in fondo, sistemandosi la veste candida. È lì per fare piacere a sua madre, che lo ossessiona da giorni, chiedendogli di venire a sentire il predicatore; lei vi si reca ogni giorno e ne trae grande giovamento. Ma per lui è pura noia. Non è credente e considera tutto questo una perdita di tempo. È a Milano perché, grazie all’aiuto del prefetto di Roma Quinto Aurelio Simmaco, su raccomandazione dei manichei, è riuscito ad ottenere la cattedra di retorica di questa ricca città.
Il giovane è Agostino da Ippona, la madre è Monica, il predicatore è Ambrogio. Oggi, sono tutti e tre santi della Chiesa.
Ma ritorniamo a quel giorno lontano. Agostino sente solo la fine della predica e contro ogni attesa, il suo cuore è già soggiogato dalle parole di Ambrogio.
Seguiranno altre giornate, altre prediche, altre porte che si apriranno lentamente, una dopo l'altra, nell'anima di Agostino. Fino alla conversione, al battesimo tre anni più tardi nel 387 (celebrato da Ambrogio stesso) e alla straordinaria vocazione che Agostino abbraccerà con fervore e amore infinito, che si concluderà con la morte violenta, per mano delle orde barbariche, anni più tardi.
Ma Agostino, quella mattina di giugno, in quella città fiore all'occhiello dell'impero di Valentino (Milano, con i suoi quasi 130.000 abitanti, è una città di riferimento fiorente di attività produttive, centro di commerci e di ricchezze), non sapeva ancora che un destino fuori del comune lo aspettava. Tutto grazie a quell'uomo, ad Ambrogio, sacerdote, vescovo, predicatore e filosofo della verità: un argomento quest'ultimo che aveva accelerato la conversione di Agostino.
Ma oltre a questo, Ambrogio era anche un grande appassionato di api e di miele. Non a caso è il santo protettore degli apicultori.
La sua storia d'amore con le api inizia molto tempo prima, durante la sua infanzia. Si narra che Ambrogio bambino viene portato dalla balia nel giardino. La donna installa la culla poi va in casa a prendere qualcosa. In quel breve lasso di tempo, uno sciame di api circonda la culla e gli insetti, vedendo che il bimbo dorme con la bocca aperta, esplorarono quella piccola cavità, entrandone e uscendone indisturbate. Ambrogio continua a dormire ignaro, le api non infastidiscono il bimbo, che di nulla si accorse e non si svegliò. Il padre, sopraggiunto nel frattempo, ebbe un primo momento di panico e sbigottimento, ma poi ritenne quell’evento un fatto prodigioso e proibì alla balia di scacciare le api. Furono le api, spontaneamente, a salire in cielo, tanto in alto da non riuscire più a scorgerle. E il padre di Ambrogio, prefetto della Gallia, ringraziò il Signore, offrendo suo figlio a Dio nella preghiera.
L'episodio è raffigurato in maniera stupenda in un particolare nell’Altare di Vuolvinio della Basilica di Sant’Ambrogio, che raffigura Sant’Ambrogio nella culla nutrito dalle api (un’occasione per visitare la Basilica alla scoperta di tante opere d’arte e alla ricerca del particolare). E Ambrogio per tutta la vita amerà le api, lui stesso le allevava e offriva il miele ai poveri.
Quando crebbe, divenne governatore, vescovo, scrittore e protettore dei poveri. È venerato come santo da tutte le chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d'Occidente, insieme a San Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa. La sua storia è tanto ricca e complessa che merita un approfondimento che le pagine del giornale non ci permettono, per ragioni di spazio. Noi ci soffermiamo sulla relazione di Ambrogio con le api e gli apicultori.
L'apicoltura è la forma di allevamento più universale che esista. Gli uomini l'hanno praticata in tutti i tempi, a tutte le latitudini e in tutti i tipi di clima. Laddove esiste vita umana, esistono anche le api.
L'uomo utilizza il miele dalla notte dei tempi. Una pittura rupestre di epoca neolitica della «cueva de la Araña» (la grotta del ragno) che si trova presso Valencia, in Spagna, risalente a circa il 5000 a.C., mostra una persona appesa a delle liane che, circondata da api in volo, infila una mano in un tronco d'albero alla ricerca del favo pieno di miele, mentre con l'altra mano regge il paniere in cui deporrà il raccolto (nella foto a destra).
Un'altra interessante testimonianza che, pur essendo cronologicamente molto più recente, risale anch'essa a una cultura preistorica è data da un graffito di Matobo Hills, nello Zimbabwe. Vi è mostrato un uomo che affumica un nido di api per prelevarne il miele. La pittura rupestre, che risale forse all'inizio della nostra era, potrebbe essere la più antica documentazione dell'uso del fumo nel trattare le api.
In realtà non sappiamo con certezza a quando risale la vera e propria apicoltura, ossia l'allevamento delle api, ma certamente era un'attività normale in Egitto durante l'Antico Regno. Scene di raccolta e conservazione del miele sono raffigurate infatti in un bassorilievo del tempio solare del sovrano della V dinastia Niuserra ad Abu Gurab, risalente a circa il 2400 a.C., nel quale appare anche la prima rappresentazione nota di un alveare.
Anche nell'antichità classica, che non conosceva dolcificanti alternativi al miele e usava la cera a molti scopi, l'apicoltura era un'attività di grande rilevanza economica.
L'importanza rivestita dall'apicoltura nella cultura greca già in epoca arcaica è testimoniata dal culto di Aristeo, che si riteneva avesse insegnato agli uomini l'apicoltura insieme alla pastorizia e alla produzione del formaggio.
Nell'Europa medievale l'apicoltura continuò ad essere praticata senza soluzione di continuità; particolare cura fu dedicata a quest'attività da parte di vari ordini monastici, anche per la necessità di procurarsi la cera indispensabile per le candele e i ceri usati anche nelle chiese.
Nel basso medioevo riappaiono anche trattazioni teoriche sull'argomento, come quella inclusa nell'opera di agronomia di Pietro de' Crescenzi (nella foto a sin. il Tacuinum Sanitatis, XIV secolo)
Nel XIX secolo, in tutto il mondo, il settore apicolo registra un grande sviluppo. L'arnia in paglia con favi mobili di tipo greco aveva ispirato nel corso dei secoli alcune invenzioni verso l'arnia razionale, ma si erano tutti arenati. Nel 1851 Lorenzo Langstroth (1810-1895) pastore luterano americano e apicultore, fa proprie alcune esperienze precedenti e inventa il favo mobile, che apre la strada a numerose invenzioni, molte delle quali abortiscono o non vengono raccolte. Da alcune di queste, tuttavia, si determina in pochi anni un'autentica rivoluzione, che porta all'arnia moderna.
A differenza dell'arnia di antica concezione, la nuova struttura è costituita da un modulo base contenente favi mobili e un sistema modulare di melari, contenenti favetti, sempre mobili, per il periodo di raccolto. Seguono nel 1857 i fogli cerei, e nel 1865 lo smielatore centrifugo, che suggellano la nascita della moderna apicoltura.
Oggi, in molte parti del mondo, le api sono in grave pericolo. L'utilizzo intenso di insetticidi nell'agricoltura è il fattore primario dello sterminio delle api. Dobbiamo tutti impegnarci a salvarle, rendendo omaggio al grande santo che era Ambrogio e non solo il 7 dicembre, quando festeggiamo la sua ricorrenza. Ma sempre. Perché salvando le api, salviamo noi stessi.
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