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mercoledì 18 dicembre 2019

Ancora sulla Messa Tridentina a Cremona: foto, video e articoli pro e contro

Pubblichiamo  un brevissimo video e una  foto  della Messa Tridentina del 7 dicembre scorso a Cremona (QUI e QUI MiL), anche per far capire il "muro" umano che c'era nella piccola cappella (QUI le nuove iniziative della comunità di fedeli).

Pubblichiamo inoltre tre articoli che scaturiscono dalle diatribe sulla Messa a Cremona:  
  1. Una relazione sul significato della liturgia tridentina, apparsa sul giornale parrocchiale ("Famiglia di Dio in Bozzolo". Natale 2019) di una cittadina della Diocesi di Cremona, Bozzolo.
  2. La risposta a questo articolo del liturgista progressista cremonese don Gianni Cavagnoli, apparsa sul medesimo giornale.
  3. Un contributo al tema  e replica  a don Gianni Cavagnoli, del sacerdote cremonese padre Giorgio Viganò.
Siamo contenti che questa celebrazione stia dando spunto a molte riflessioni, anche pubbliche.
Roberto

1) Il Paradiso in terra: la Messa Romana Antica e lo splendore della liturgia

La bellezza salverà il mondo” (Dostoevskij)

La crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia” (Joseph Ratzinger)

Il 7 luglio 2007 Benedetto XVI, con il Motu Proprio Summorum Pontificum, ha liberalizzato per tutti – parroci, sacerdoti e religiosi –l’uso della Messa Tridentina (o Rito Romano Antico, cioè la Messa che si celebrava – con qualche variante - dal VI secolo fino al 1970), per cui ogni sacerdote può celebrarla senza alcun permesso del vescovo. 

L’applicazione di questa libertà nella Chiesa è stata ed è ancora osteggiata in molti ambienti della Chiesa stessa e addirittura anche da alcuni vescovi (vedere anche le polemiche negli ultimi mesi in Diocesi). Perché? Come frequentatore regolare della Messa Tridentina cercherò di dare qualche chiarimento a noi parrocchiani.

Due premesse

Prima premessa, il pellegrinaggio annuale tradizionalista alla Sede di Pietro: l’ultimo fine settimana di ottobre, ormai da otto anni, qualche migliaio di pellegrini si ritrova a Roma per un pellegrinaggio denominato Populus Summorum Pontificum che si conclude con una celebrazione solenne all’Altare della Cattedra in Basilica di San Pietro, accompagnato da un messaggio del S. Padre (da alcuni anni ovviamente Francesco). Ogni anno – io ci vado con tutta la famiglia - i pellegrini, età media 25\35 anni, dal giovedì alla domenica, si accalcano a celebrazioni solenni in latino, tutte nel rito comunemente detto “tridentino”. Perché così tanti?

Seconda premessa, la conversione della Russia nell’anno 988 ci fu tramite la bellezza della liturgia: “Arrivammo quindi dai greci, ed essi ci condussero là dove servono il loro Dio [alla basilica di S. Sofia a Costantinopoli]. E noi non sapemmo più se eravamo in cielo o in terra. Lì Dio è con gli uomini. E la loro liturgia supera tutte le altre tanto che noi non possiamo dimenticare quella bellezza. […] Vladimiro rispose: “Andiamo dunque a ricercare il battesimo””. La Russia si convertì per la bellezza della liturgia cristiano ortodossa (che non è mai stata cambiata ne riformata da allora).

Caratteristiche della Messa Tridentina (o Messa in Rito Romano Antico) 

Altare, come nel vecchio altare delle nostre chiese, coram Deo (verso Dio) e il celebrante non da le spalle al popolo, ma si rivolge a Dio e gli conduce i fedeli tutti insieme verso Dio. In piedi davanti all’altare guida il popolo nel culto di sacrificio con Cristo nostro Signore verso il Padre che è nei cieli. “[…] la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi [...]” (Joseph Ratzinger, 2008). 

Si usa il latino come lingua principale (le letture però possono essere lette in italiano). Tutte le grandi religioni mondiali (cristianesimo orientale, islam, induismo, buddismo, etc.) non usano il linguaggio parlato nelle loro liturgia ma una lingua solenne e “fissa” (paleo arabo, paleo slavo, greco antico, etc.). Ricordo che pochi sanno che quasi nessun musulmano conosce il paleo arabo usato nelle loro preghiere e nel Corano. Concilio Vaticano II (SC36): “L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. […] non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni”. 

L’uso della Bibbia è solo apparentemente minore perché, sostanzialmente, tutte le preghiere dell’intera Messa sono tratte dalla S. Scrittura. 

Il centro della Messa è il Canone Romano (nella Messa nuova “Preghiera Eucaristica I”), la consacrazione. Esso ha più di 1500 anni (citato per primo da S. Ambrogio) e viene recitato - quasi in silenzio - sull’altare, ara sacrificale dell’Agnello. L’altare – come potete vedere da noi in S. Pietro - è il Calvario, il Golgota. La Messa non è mai concelebrata: il sacerdote è “uno” perché in quel momento è Gesù Cristo, unico Salvatore dell’uomo. 

Si sta in ginocchio in molte parti della Messa: di fronte al Signore l’atteggiamento migliore è in ginocchio (come fecero i Re Magi e ”perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10). 

La S. Comunione - per favorire la devozione e far capire che si mangia il Corpo di Gesù – viene distribuita in bocca e in ginocchio. 

Anche il “silenzio” diventa “partecipazione attiva” dei fedeli, in colloquio con Dio. Il silenzio, dunque, ci permette di trascendere la nostra esistenza e diventare presenti ai piedi della croce stessa. Partecipazione di cuore, mente e corpo. 

La Messa festiva è ordinariamente solenne, cantata (Concilio Vaticano II, SC116 e 120 : “La Chiesa riconosce che il canto gregoriano è particolarmente adatto alla liturgia romana. Pertanto, a parità di condizione, ad esso deve riconoscersi il primo posto nei servizi liturgici”, “Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti”. E con paramenti che danno gloria a Dio (S. Francesco d’Assisi: “I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, debbano averli di materia preziosa. E se in qualche luogo il santissimo corpo del Signore fosse collocato in modo troppo miserevole, secondo il comando della Chiesa venga da loro posto e custodito in un luogo prezioso […]”. E’ una Messa dove si ascolta, si guarda, si respira il profumo dell’incenso, insomma tutti i sensi (vista, udito, gusto, tatto e olfatto) sono partecipi al rito: è una partecipazione complessiva fatta non solo di parole. 

La Messa Tridentina infine, come scrisse Benedetto XVI, influenza anche un migliore modo di celebrare la nuova Messa, più sacrale e amante della Bellezza; è utile a tutti e non solo per i tradizionalisti. 


Diamo un po’ di dati sui frutti della liturgia antica.

Si stima che siano circa 4.500-5.000 i sacerdoti che, nel mondo intero, attualmente celebrano la Santa Messa in rito antico. 750 appartengono a ordini religiosi tradizionalisti, da 3 a 4.000 sono preti diocesani e religiosi. In Italia vengono celebrate circa 130 Messe settimanali (o quotidiane), con un aumento in 10 anni di circa il 300%, idem per la celebrazione di Prime Comunioni, cresime, matrimoni e funerali. Quasi il 25% dei seminaristi francesi frequenta e celebrerà la Messa Tridentina. Negli USA e in Francia in controtendenza con un declino di vocazioni e frequenze domenicali, i seminari e le parrocchie degli ordini che celebrano in rito antico sono strapieni: un esempio fra tutti, solo la Fraternità San Pietro (approvata da Giovanni Paolo II) – uno degli ordini religiosi nati per la liturgia antica – ha 320 preti (età media 38 anni!), 260 centri Messa in 142 diocesi e 44 Parrocchie che celebrano solo in rito tridentino; solo quest’anno sono entrati 39 seminaristi e i suoi due seminari hanno 162 futuri sacerdoti. Numeri simili per altri ordini tradizionalisti in comunione con il S. Padre. Insomma un piccolo gregge (Lc 12,32), ma in grande crescita.


Conclusione: l'intervento di Gamaliele negli Atti degli Apostoli

Romano Amerio scriveva che la “tastiera” di pianoforte della chiesa è utile che sia molto lunga e che le differenze di carisma sono un’opportunità e non un problema: la Chiesa non è una dittatura. 

La migliore risposta agli oppositori della liturgia tridentina ce la da’ Gamaliele negli Atti degli Apostoli (ma anche Benedetto XVI che disse che ciò che è stato buono per la Chiesa per 1500 anni non può ora essere diventato cattivo o dannoso o inutile): “Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, […] disse: «Uomini di Israele, badate bene a ciò che state per fare contro questi uomini. […] Per quanto riguarda il caso presente, ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio” (At 5,34 ss).

Luigi Casalini

Piccola bibliografia 





Joseph Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, 2014; 

Uwe Lang, Rivolti al Signore. L'orientamento nella preghiera liturgica (con una prefazione di J. Ratzinger), Cantagalli, 2008; 




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2) LA COMPRENSIONE DELLA LITURGIA NEL VATICANO II

Un antico testo liturgico del VI secolo, tratto dal cosiddetto Sacramentario di Verona, contenuto nell’attuale Messale riformato dal Vaticano II, recita:

«Tu non hai bisogno, Dio, della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono, per mezzo di Cristo, la grazia che ci salva» (Prefazio Comune IV).

Da questo testo si evince che la liturgia non è una serie di riti esteriori, messi in atto in forma pomposa per propiziarsi Dio o lodarlo, quasi avesse bisogno di noi, ma un aprirci al dono della sua salvezza, cioè al nostro coinvolgimento nella storia, che la Parola e l’Eucaristia, in particolare, attuano ogni volta.

Sicché, mediante la nostra fattiva risposta, siamo sempre più trasformati in Cristo, con il quale siamo divenuti un solo corpo nel Battesimo, e con lui portiamo nel mondo quella testimonianza, che scaturisce dall’evento sacramentale che celebriamo.

Per questo il Vaticano II raccomanda che «i riti splendano per nobile semplicità, siano chiari per brevità ed evitino inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli e non abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (Costituzione liturgica, n. 34): proprio perché i fedeli si sentano coinvolti nell’evento che si celebra, illuminato dalla Parola, e lo facciano diventare, con l’aiuto dello Spirito, vita vissuta. 

- Sempre l’insegnamento conciliare, la massima espressione del magistero ecclesiale (nessun insegnamento papale lo equipara), precisando la natura dei sacramenti, che “costituiscono” la liturgia, afferma: «I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo, e infine a rendere culto a Dio» (Costituzione liturgica, n. 59). 

Il vero “splendore” dei riti non sta, quindi, nella loro sontuosità di apparato, ma nel fatto che gli uomini siano “santificati”, cioè trasformati dall’azione dello Spirito, infusa in loro mediante la celebrazione, perché vengano sempre più configurati a Cristo. In tal modo si attua, ogni volta, la celebre affermazione di Ireneo di Lione (II secolo): «La gloria di Dio è l’uomo vivente».

Non solo. Ma mediante le azioni liturgiche, allorché si riunisce il popolo di Dio per essere “educato” dalla celebrazione, si edifica la Chiesa in corpo di Cristo, secondo il vitreo insegnamento dell’apostolo: «Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono in lui» (1 Cor 12,24-26). È questo il vero culto da rendere a Dio, quello che abbraccia la corporeità ecclesiale, sia nella complessità delle membra, sia in ciascuna di esse.

Per questo ancora la Costituzione liturgica, parlando della natura della liturgia e dei sacramenti, afferma che «in quanto segni, hanno anche la funzione di istruire. Non solo suppongono la fede, ma con la parola e gli elementi rituali, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati sacramenti della fede. La loro celebrazione dispone anche molto bene i fedeli a ricevere la stessa grazia con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità». 

Si tratta allora di tradurre nella vita quanto si è celebrato nella fede: questa è la “partecipazione alla liturgia” che il Vaticano II ha fortemente inculcato.

- Circa la lingua della liturgia, ci si rifà al dettato di Atti, allorché, nella realtà della Pentecoste, viene sottolineato come autentico “miracolo” non che tutti parlano la stessa lingua, o una che è più privilegiata dell’altra, perché “riservata” al culto (neanche Gesù Cristo è arrivato a tanto: parlava aramaico, un dialetto, la lingua del popolo!), ma «li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (At 2,11). La realtà del culto (“Parlare delle grandi opere di Dio”) è attuata nelle differenti lingue, che tutti capiscono.

Tant’è che l’apostolo Paolo arriva ad affermare: «Se tu dai lode a Dio soltanto con lo Spirito, chi ti sta ad ascoltare senza capire, non potrà dire “Amen” al termine della tua preghiera, proprio perché non ha capito quel che dici. La tua preghiera sarà bellissima, ma gli altri non ne ricevono beneficio. Io ringrazio Dio perché parlo in lingue sconosciute più di tutti voi; ma quando la comunità è riunita, preferisco dire cinque parole che si capiscono, piuttosto che diecimila incomprensibili. Così posso istruire anche gli altri» (1 Cor 14,16-19).

- Due sono stati, in particolare, i capitoli notevolmente arricchiti dalla riforma liturgica del Vaticano II: 
le preghiere eucaristiche, e i relativi “prefazi” (cioè la parte che le inizia, variabile), attinti dall’antica tradizione della Chiesa romana, o composti nuovi, al fine di mettere in luce i differenti aspetti del mistero della salvezza e di offrire più ricchi motivi di azione di grazie. Questo per l’Eucaristia. Ma anche per la celebrazione degli altri sacramenti tutto il patrimonio orante è stato completamente risistemato e arricchito. 
La “creazione” della “liturgia della Parola”, condensata nei volumi del Lezionario, totalmente messa in oblio nel corso della storia. È sotto gli occhi di tutti quello che simile arricchimento ha prodotto nella Chiesa in questi anni, tanto nella vita spirituale, quanto nella testimonianza concreta della missione nel mondo. Infatti, si legge nelle Premesse al Lezionario, «la Parola di Dio, se fedelmente accolta, suscita in cuore propositi di conversione e stimola a una vita tutta luminosa di fede, sia nei singoli che nella comunità, perché è nutrimento della vita cristiana e fonte della preghiera di tutta la Chiesa» (n. 47). 
In conclusione, citando una affermazione di Pio XII nel 1956, la Costituzione liturgica afferma che «l’interesse per l’incremento e il rinnovamento della liturgia è giustamente considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa; esso imprime una nota caratteristica alla sua vita, anzi a tutto il modo di sentire e di agire religioso del nostro tempo» (n. 43). 
Gianni Cavagnoli

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3) KATA METRON: secondo misura!

Le celebrazioni liturgiche sono un insieme di riti esteriori (parole e gesti) che hanno la forza di dare il corpo…o meglio ancora di essere il corpo attraverso il quale Dio ci offre la sua Salvezza stabilendo con coi la Nuova ed Eterna Alleanza: essi sono quindi celebrazione memoriale del dono di Dio e al contempo della gioiosa e festosa riconoscenza del suo popolo che, per Cristo, con Cristo e in Cristo vive gli eventi salvifici. 

A pensarci bene, risulterà facile prendere atto che anche nella vita di tutti i giorni quello che noi facciamo e siamo lo esprimiamo grazie ad un corpo che ci identifica al punto tale da dover essere coinvolto nel destino eterno preparato per noi e per la nostra Salvezza (risurrezione dei corpi). 

Il mistero della Incarnazione ci ricorda che l’Incontro non accade se non c’è un corpo che esprime fisicamente quanto è nel Mistero. Il rito a questo punto non è mera apparenza – come amano pensare i platonici detrattori della fisicità pensata come tomba e carcere dell’anima – ma apparizione, epifanica ermeneutica dell’anima. 

Certo il gesto e la parola del corpo possono “tradere” ma anche tradire e quindi esprimere la verità o la falsità di chi li pone ma non è colpa loro, poverini. Nel nostro caso ci sono liturgie antiche ricercate per amore di pizzi, tendine e argenteria varia e ci sono liturgie di oggi che si sono trasformate nel palcoscenico del più esibizionista dei sacerdoti che avrebbe avuto un migliore futuro sui palcoscenici del Varietà. Ma ci sono liturgie antiche e nuove, se così possiamo esprimerci, che, correttamente vissute, anticipano la bellezza e l’ordine del paradiso e trasformano la vita di chi vuole lasciarsi plasmare dal Maestro interiore.

A qualcuno non sembrerà vero ma già dal concilio di Trento - cfr. Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, 43esima edizione, numeri 1600/1630 - e penso proprio anche prima di esso, i sacramenti con il loro relativo corpus celebrativo erano intesi come istituiti da Gesù Cristo, necessari per la salvezza frutto della Grazia cioè dono e iniziativa gratuita di Dio cui l’uomo è chiamato.

Per quanto riguarda invece, nello specifico, la possibilità di celebrare secondo il rito tridentino concessa da Benedetto XVI, voglio sperare che un illuminato Pontefice come lui, sostenitore della più che logica ermeneutica della continuità, non abbia voluto con questa scelta, contrapporsi ai dettami del Vaticano Secondo cui egli stesso partecipò in modo così fattivo ed entusiasta. Né, mi auguro, nessuno voglia inventare contrapposizioni che non esistono tra il prima e il dopo Vaticano II trasformando il summenzionato pontefice in un bestemmiatore contro lo Spirito Santo.

Ricordo inoltre che il venerando Pontefice ha sempre auspicato una sinergia tra i due messali nell’ottica di una rinnovata riforma liturgica, manifestando in questo modo di non essere esponente di alcun cieco assolutismo a favore o contro parti che non esistono o non dovrebbero esistere (e sotto questo punto di vista si risolvono tutti i problemi legati all’utilizzo della lingua nella liturgia, la nobile semplicità, ecc.)

Qualcuno parla di “creazione della liturgia della Parola” a partire dal Vaticano II. Ho aperto un messale di san Pio V e con grande sorpresa ho notato che nella Chiesa cattolica c’era una liturgia della Parola anche prima del summenzionato Concilio…veniva chiamata parte didattica e constava di due letture con dei canti interlezionari. Possiamo discutere sulla quantità di questa “offerta formativa” anche se quantità e qualità non coincidono sempre. Ancora sfogliando l’antico messale, quello che ha scritto il diavolo ( mi vien da concludere così per come alcuni lo detestano) ho notato che ogni testo e anche ogni gesto è desunto dalla Parola di Dio…penso al salmo da recitarsi ai piedi dell’altare, alle antifone con relativi salmi da recitarsi o cantarsi all’ingresso, offertorio, comunione ecc (oggi difficilmente un canto liturgico è la messa in musica di testi scritturistici). Penso alla grande prostrazione all’inizio del canto del Sanctus che ricorda i famosi vegliardi della grande liturgia narrata da Apocalisse…qualcuno avrebbe dovuto dirlo all’autore dell’Apocalisse che tanta sontuosità di apparato non è molto conveniente.

A conclusione citerei un Urbano VIII…certo non è uno di quelli del Vaticano II ma ha scritto una cosa carina pure lui poveretto, oltretutto introducendo il messale di Pio V: “se qualcosa c’è nelle cose umane di pienamente divino che ci invidiano persino gli abitanti del cielo (qualora in essi possa esserci invidia)…questo è certamente il sacrosanto sacrificio della Messa, per mezzo del quale accada che gli uomini possiedano in terra una certa anticipazione del cielo, mentre hanno davanti agli occhi e toccano con le mani lo stesso Creatore del cielo e della terra

P. Giorgio Viganò

8 commenti:

  1. Dò atto al Cavagnoli che il suo articolo non la solita tiritera di sciocchezze malevole contro la tradizione liturgica, apprezzo che finalizzi giustamente la "partecipazione liturgica" alla trasformazione della vita e non alla marionettistica recita di atti e parole a comando; non è vero che l'insegnamento papale (ove sia vero insegnamento) sia inferiore all'insegnamento conciliare; è discutibile che la moltiplicazione delle preghiere eucaristiche ("canoni") sia stata in tutto un arricchimento; la frenesia di tagliare "inutili ripetizioni" (è inutile ripetere Dio, a Gesù, a Maria, TI AMO ?) è stato invece chiaramente un impoverimento.

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  2. Tutte le belle parole e le citazioni del vaticano II del Cavagnoli sono smentite dai fatti che rivelano il vero spirito conciliare e post-conciliare, dottrinalmente e liturgicamente anarchico.

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  3. Secondo me il dialogo con chi non vuole il vetus ordo è perdita di tempo. Allo status quo è evidente la malafede, quindi o si alzano le mani o si tace. Lasciate che si autodistruggano da soli.

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  4. L'intervento di don Cavagnoli, apprezzabile anche per il tono equilibrato e pacato, dà per assodato che il Messale del 1969 costituisca l'attuazione piena e per così dire perfetta dei principi enunciati dalla costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II. Il che non è per nulla pacifico. Tanto è vero che la SC venne approvata quasi per acclamazione (la firmò pure Lefebvre), mentre il messale dette luogo a varie critiche (non sempre giuste) e insoddisfazioni. Del resto Benedetto XVI ha sempre elogiato la SC, ma ha auspicato una riforma della riforma, ossia del messale.

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  5. in merito agli argomenti di Cavagnoli ci sarebbe da chiedergli: quanti sacerdoti e suore in più ha portato questo nuovo modo di celebrare l'eucarestia? E' stato veramente un cambiamento fruttuoso, ben compreso e gestito dalla gerarchia? o ha portato banalizzazione, perdita della sacralità e crollo delle vocazioni? se non si ha il coraggio di porsi le domande, non si troveranno mai nemmeno le risposte

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  6. Attenzione!!! Attenzione!!! Cavagnoli è un vaticanosecondista e novusordista tanto più pericoloso quanto più "apprezzabile, equilibrato e pacato". Tipo il Ravasi, per intenderci. Questi due, insieme a molti, troppi altri,sono usciti dal cavallo di Troia del modernismo, e stanno facendo fare alle Chiesa la stessa fine di quella città. Attenzione!!! Attenzione!!!

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  7. I neomodernisti, i progressisti - chiamateli come vi pare - volevano e vogliono la distruzione del Santo Sacrificio della Messa e la sua sostituzione con la cena protestante. E vi sono riusciti, ma non del tutto. Altro che comprensione, partecipazione e altre balle del genere! Monsignor Domenico Celada, nel 1969, scrisse una famosa lettera indirizzata "agli illustri assassini della nostra santa Liturgia". Leggetela! Per via di codesta lettera e di altri interventi gli fu tolto ogni incarico, fu quindi ridotto alla miseria, dopo un anno circa morì. I misericordiosi progressisti! - Je n'ai rien appris, ni rien oublié.

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  8. Ogni nuova celebrazione della Messa VO esita in un 'casus belli', generato dal bilioso ostruzionismo di vescovi che , nella loro scarsa preparazione dottrinale e storica, guardano a chi lo rifiuta come a degli eretici, nemici della Chiesa, da destinare al rogo. La stantia, da mezzo secolo reiterata difesa d'ufficio del NO non convince più nessuno alla luce, oltre che della dottrina, soprattutto per i frutti del tutto guasti, sul piano della fede e pastorale, che ha maturato, ma che i faziosi non vogliono assaggiare. Quei propositi, riportati nell'articolo,sopra riportato, trionfalmente proclamati dai novatori, dei quali non si spenta l'eco che ogni tanto rimbomba, che il NO avrebbe confortato la fede e la partecipazione del popolo, son del tutto falliti, a dimostrazione della loro falsità.

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