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sabato 15 giugno 2019

Proibizione della Messa Tridentina all'Ordine di Malta: un'analisi giuridica del testo


Per i nostri lettori un'interessante analisi giuridica del testo che fa divieto all'interno dell'Ordine di Malta (QUI e QUI) di celebrare la Messa di Sempre.
Luigi

Marco Tosatti, 12 Giugno 2019 

L’Ordine di Malta ha deciso di bandire da tutte le cerimonie ufficiali il Vetus Ordo Missae, cioè la messa tridentina. Lo ha fatto ieri con una lettera Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, Gran Maestro. La lettera- che ci dicono fonti autorevoli che doveva essere una specie di ordine di servizio interno, e di conseguenza non è stata pubblicata sul sito dell’Ordine – è stata scritta in diverse lingue, ma è apparsa sui social in inglese. E fino a questa mattina, quando abbiamo potuto avere la conferma diretta da fonti ufficiali dell’Ordine, c’è stata anche l’ipotesi che si trattasse di una lettera non autentica. Le fonti ufficiali che abbiamo sentito ci hanno detto che si tratterebbe di un atto normale di conferma di linee guida già esistenti da parte del Gran Maestro, un certo tempo dopo la sua elezione. Le stesse fonti affermano che non ci sono problemi o contrasti relativi alla liturgia all’interno dell’Ordine. Ecco la nostra traduzione dei due paragrafi centrali del messaggio:

“Come sapete, il Motu Proprio di Benedetto XVI Summorum Pontificum, sia pure lasciando ad ogni prete la libertà di celebrare privatamente nella forma straordinaria, tuttavia afferma che all’interno di un istituto religioso il tema debba essere deciso dal Superiore Maggiore secondo la norma della legge e i loro Statuti particolari.

Ho perciò deciso come supremo garante della coesione e comunione dell’Ordine di san Giovanni di Gerusalemme di cui la Provvidenza mi ha reso GRna Maestro, che d’ora in avanti tutte le cerimonie liturgiche nell’Ordine sia celebrate secondo il rito ordinario della Chiesa (rito di San Paolo VI) e non con il rito straordinario (rito Tridentino). Questa decisione si applica a tutte le celebrazioni liturgiche ufficiali come investiture, messe durante i nostri pellegrinaggi, messe in memoria come anche nelle feste e solennità dell’Ordine”.

Firmato: Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto
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E qui sotto pubblichiamo un commento alla lettera, in cui se ne mette in discussione la legittimità, da parte di un esperto che vive la vita dell’Ordine.

CAPTIVITAS MELITENSIS

Si legge sconcertati la lettera “circolare” datata 10 giugno 2019 con la quale il Principe e Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, obbliga de factol’intero Ordine a non celebrare le Messa secondo il Rito Romano Antico.

Andando “con ordine” nel “disordine”: la lettera – che è diventata virale sul web– è scritta in lingua inglese, quando l’art. 7 della Carta Costituzionale attualmente ancora vigente recita che la lingua dell’Ordine è l’italiano.

Nel testo, il nome del M.P. di Benedetto XVI è storpiato da “Pontificum” a “Pontificium”. Evidentemente il redattore materiale della lettera (che immaginiamo non sia il Gran Maestro), oltre a disconoscere la Carta Costituzionale, ignora anche il latino. Ma non è solo la lingua dei padri a essere obliata, ma anche – e soprattutto – il diritto e il buonsenso.

Il diritto.

A suffragio di quanto si dispone si cita l’art. 3 della predetta Lettera Apostolica Motu Proprio data“Summorum Pontificum”, del 7 luglio 2007.

Premessa: l’ordinamento canonico ha per il diritto melitense ruolo di fonte sussidiaria (cfr. art. 5, 1 Carta Costituzionale). Il M.P. Summorum Pontificum – senza dilungarci troppo su sofisticherie canonistiche – è riconosciuto come una legge universale e speciale della Chiesa Cattolica, e la sua osservanza riguarda segnatamente tutta la Chiesa latina e tutti i battezzati: in esso si riconosce come esigibile l’immutabile diritto di tutti, chierici e laici, di usufruire e fruire ad libitumdel Rito Antico, poiché esso costituisce un tesoro del patrimonio teologico e liturgico della Chiesa universale, riconoscendo insieme una parità, sostanziale e formale, tra le due forme dell’unico Rito latino (cfr. SP, art. 1).

Tale parità giuridica è stata ancor più sottolineata, ad oggi, dal recente riassorbimento, voluto da Papa Francesco, della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, non costituendo più una questione “speciale” l’adesione alla forma tradizionale di celebrazione della liturgia.

Date queste premesse sintetiche, veniamo al dunque.

Può il Gran Maestro dell’Ordine di Malta disporre che le celebrazioni dell’Ordine avvengano solo (esclusivamente) seguendo il c.d. Messale di Paolo VI (indicato così nella lettera) e quindi proibire (de facto) la celebrazione nella forma più antica del Rito Latino (impropriamente qualificato “rito Tridentino”)?

La risposta è NO.

Giuridicamente, dal punto di vista canonico, non può perché:

1) Il M.P. Summorum Pontificumè una legge universale, e così come la celebrazione nella forma più antica non dev’essere autorizzata da nessun’altra autorità – poiché essa è riconosciuta come “diritto” dei fedeli dal Supremo Legislatore – la sua osservanza non può essere in alcun modo limitata in modo arbitrario, escludendone addirittura tassativamente ogni forma di celebrazione pubblica o privata che sia (cfr. combinato disposto degli artt. 2 e 4 SP);

2) Il citato art. 3 SPsi riferisce alle «comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano» cosa che l’Ordine di Malta strictu sensu non è, poiché è sì un “Ordine religioso” ma con una personalità canonica “sui generis” ed una collocazione “unica” all’interno dell’Ordinamento sotto la qualifica di “persona mixta”; ma non è di certo un Istituto di vita consacrata né una società di vita apostolica, nemmeno in senso lato, poiché è solo il nucleo di “professi” a costituirlo come “Ordo”, e non già la sua intera struttura che è composta, invece, da membri organizzati in tre ceti non certo tutti (salvo i primi) riconosciuti né riconoscibili come “religiosi” in senso proprio né in senso lato;

Al di là di ciò va comunque segnalato che il citato art. 3 del SP non riguarda la “proibizione” della celebrazione nella forma straordinaria o la sua autorizzazione/licenza da parte del Superiore, bensì la normazione del “modum celebrandi” laddove una comunità scelga di celebrare secondo la forma straordinaria («saepe vel habitualiter vel permanenter perficere vult» dice il testo originale). Solo nel caso in cui quella data comunità scelga il Rito come prevalente dovrà intervenire il Superiore, ma non in altri casi, men che meno per impedirne la celebrazione. Del resto il testo latino, che inizia con la condizione «Si singula communitas aut totum Institutum vel Societas tales celebrationes….» e continua dicendo «res a Superioribus maioribus ad normam iuris et secundum leges et statuta particularia decernatur».

“Decernere” vuol dire “stabilire” e non “autorizzare” o “permettere”. Inoltre, nel paragrafo iniziale dello stesso articolo si afferma: «Si communitates …quae in celebratione conventuali seu “communitatis” in oratoriis propriis celebrationem sanctae Missae iuxta editionem Missalis Romani anno 1962 promulgatam habere cupiunt, id eis licet.»). Il testo e il contesto sono essenziali per l’ermeneutica normativa.

3) Il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, pur essendo equiparabile in via analogica ai superiori religiosi cui si riferisce il citato art. 3 SP, non può operare nel senso di quella disposizione innanzitutto perché, appunto, si tratta di un superiore religioso “sui generis” che esercita una giurisdizione di natura “personale” sull’Ordine (cfr. art. 137 Codice Melitense) e la forma di celebrazione della Messa non rientra nelle questioni prettamente disciplinari, e poi perché il detto articolo si riferisce alle “messe conventuali” o “comunitarie” che l’Ordine, invece, propriamente non ha perché – essendo una peculiarissima figura all’interno dell’Ordinamento – non ha vita comune;

4) più ancora è da sottolineare che sebbene spetti al Gran Maestro la vigilanza sulle case e le chiese dell’Ordine (cfr. art. 138 Codice), la giurisdizione in re canonica che esuli dalla disciplina religiosa da osservarsi dai singoli professi (per la quale è comunque in solido col Gran Commendatore, cfr. art. 150, 3, Codice) è invece pertinenza del Prelato dell’Ordine (cfr. art. 19, 2-3 Cost.) tutto ciò che concerne le attività dei sacerdoti membri dell’Ordine (anche non professi), prima fra queste, ovviamente, la celebrazione della Messa.

Dalla lettera in questione risulta invece che è lo stesso Gran Maestro ad aver deciso in tal senso, chiedendo al Prelato “di informare” (“to personally inform”) i Cappellani Capi di questa sua decisione, chiedendone osservanza, andando dunque evidentemente ultra vires, e ciò perché: 1) il Superiore non può contraddire una norma universale e limitare un diritto di tutti i fedeli, riconosciuto come tale dal Supremo Legislatore Canonico; 2) Non può obbligare i membri chierici dell’Ordine all’osservanza di una norma che non esiste, cioè quella per la quale “si debba” celebrare la Messa solo in una forma, e non in un’altra, poiché tale scelta rientra nella discrezione soggettiva del singolo a seconda delle circostanze.

Oltretutto, anche volendo supporre che possa esservi una disposizione simile, essa non potrebbe che riguardare solo ed esclusivamente le chiese e gli oratori dell’Ordine

Nella lettera si fa riferimento a celebrazioni liturgiche “ufficiali” come le investiture, le messe (tutte, anche quelle private??) durante i pellegrinaggi, messe memoriali riferendosi esplicitamente alle feste e alle memorie liturgiche rubricate nel Calendario dell’Ordine, quasi fosse disdicevole che qualcuna di queste occasioni possa essere celebrata secondo la forma antica.

Vieppiù se ne chiede l’osservanza immediata (“immidiately put into practice”) quasi fosse una questione di vita o di morte.

Ma tutto ciò è profondamente illegale, perché contraddice la norma e il suo spirito.

Il fulcro della disposizione di Benedetto XVI legislatore è la libertà di fruire anche dei tesori della liturgia antica per attingervi grazie spirituali. E così come quel Papa, riconoscendo quel diritto, non ha contestualmente depotenziato il rito riformato da Paolo VI né lo ha interdetto, allo stesso modo, specularmente, non si può più applicare la preminenza dell’una forma sull’altra.

Il concetto di “extraordinarietà” del Rito è infatti pacifico che vada inteso come “diverso dall’ordinario” e non già come “speciale”.

Disponendo, al contrario, che si debba usare soloil Messale riformato nel 1969 si dice che è proibito usare quello precedentemente vigente, e pertanto si compie un atto contrario alla Legge universale della Chiesa, che invece riconosce libertà di scelta al singolo, sia esso chierico o laico.

Siamo davanti ad un atto proibizionistico irrazionale e contra legem, che crea nocumento ai diritti dei fedeli già di per sé tutelati dall’Ordinamento canonico vigente (cfr. cann. 838 e 214), e che pertanto non è da considerare come obbligante, né formalmente né moralmente.

Il buonsenso.

Chi governa non può prescindere dalla virtù della prudenza, che è virtù etica e non dianoetica. E questo Fra’ Giacomo Dalla Torre dovrebbe saperlo, anche solo per i suoi studi di gioventù.

La sua disposizione appare stonante rispetto al low profile del suo gran magistero. Perché imporre una norma simile in una fase di “riforma” in cui l’Ordine si trova, avendo ad oggi tutte le professioni perpetue “interdette” sine die fino alla promulgazione della nuova Carta Costituzionale?

Paradossale (ma forse in linea con un certo stile consolidatosi Oltretevere) che, come movente ispiratore, si invochi l’unità e la comunione fraterna mentre, nei fatti, si realizza una divisione e si alimentano le disgregazioni. Perché proibire qualcosa che, nei fatti, non costituisce una reale prassi comune e diffusa? L’Ordine, di fatto, non ha mai avuto un “rito proprio”, perché imporlo? Chiunque abbia partecipato ad una messa dell’Ordine al massimo avrà sentito un po’ di latino… ma sempre secondo il Messale di Paolo VI.

Ma soprattutto, lo ribadiamo, perché proibire qualcosa che, in realtà, non è impedibile a norma di diritto?

Ben si guarda, in realtà, il Gran Maestro dall’emettere un Decreto… si limita a firmare una sorta di lettera circolare, che però non priva di gravità il contenuto la cui esigibilità, come si è visto, è imposta immediatamente.

Tutto ciò risulta surreale, e causa certa di disgregazione all’interno dell’Ordine, già di per sé dilaniato e confuso dopo i noti fatti di due anni fa che portarono alla rinuncia del Gran Maestro e alla defenestrazione de factodel Cardinalis PatronusBurke, che comunque formalmente tale rimane (almeno come risulta dall’Annuario Pontificio 2019) sebbene sia anche lui solo “contemplativo”.

Ancora: cosa infastidisce così tanto della Messa antica? Perché è così osteggiata? Perché la sua eventuale celebrazione desta tanto scalpore e paura? Cos’ha animato il Gran Maestro in una scelta simile? È lui ad essere così ideologizzato o, più verosimilmente, è eterodiretto?

Son tutte domande che restano, ad oggi, senza risposta, o quasi.

I fatti, però, sono più eloquenti, e nella lettera è evidente una pressoché assoluta mancanza di autonomia dei vertici dell’Ordine di Malta, che sembra aver del tutto dimenticato i suoi più di 900 anni di storia, di tradizioni, di civiltà, di resistenza in guerra e pace.

Non è nemmeno da escludere che l’atto possa avere l’intenzione di tentare di compiacere “qualcuno”, cercando di traghettare l’Ordine verso lidi lontani anni luce dal suo collocamento tradizionale e dalla sua identità avvicinandolo più a istanze di un certo mondo globalista, cercando di spogliarlo di quell’aura di garbata inarrivabilità che ha sempre costituito la sua visattrattiva.

Eppure, se così fosse, sarebbe un tentativo assai maldestro e probabilmente infruttuoso, perché quel “qualcuno” – che non cela di certo la sua atavica insofferenza verso “certi mondi” – non si farà certo commuovere da una messa in italiano, magari animata con le chitarre o i tamburi, né dagli sbandieramenti ideologici a favore delle migrazioni.

Ciò che emerge chiaramente dalla situazione attuale è che l’Ordine di Malta è sempre più frantumato, soprattutto al suo interno, e quest’ultima decisione del 10 giugno altro non fa che alimentare le divisioni, le incertezze, le insofferenze.

L’ammissione di nuovi membri – professi – è interdetta da due anni, e la quasi totalità di loro è oggi molto anziana. In Italia i tre Gran Priorati esistenti sono commissariati e non sono più retti da professi. La sempre più ampia volontà di snaturare l’Ordine, secolarizzandolo nelle sue strutture di governo e trasformarlo in una succursale di una ONG è innanzi agli occhi di tutti. Ma d’altra parte, l’Ordine di Malta rappresenta un archetipo. Se si trasformerà in qualcos’altro, esso smetterà di esser tale: molti membri lo abbandoneranno e imploderà nelle sue oggi già assai gracili strutture giuridiche, per finire poi risucchiato dalla “chiesa in uscita”, che tanto si agita a seguire solo Marta, dimentica che Maria che «optimam partem elegit, quae non auferetur ab ea» (Lc 10, 42).

L’Ordine ha incarnato perfettamente questo binomio nel suo motto «Tuitio fidei et obsequium pauperum». 900 anni fa, quando la Chiesa era della Misericordia ma non aveva bisogno di dirlo.

«Nel corso di nove secoli di storia – scriveva due anni fa, all’inizio di queste tristi vicende, Roberto De Mattei – il Sovrano Militare Ordine di Malta non ha mai perso la propria fisionomia aristocratica, cavalleresca e sovrana. Questa fisionomia, rappresenta l’antitesi del miserabilismo e dell’ugualitarismo professati da chi oggi governa la Chiesa».

Ieri, come oggi, aveva ragione. Si vive un tempo di oscurità e di divisione. Ma si sa che mentre l’unità è di Dio, la divisione è del maligno. Viviamo un tempo di prigionia ideologica, di vera e propria cattività. Ma chi crede, spera, combatte e prega, e sa che «Veritas vos liberabit» (Gv 8, 32).
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Appare certamente a chi vive nell’Ordine una decisione singolare, in un momento in cui la confusione, dopo il “golpe” compiuto dalla Santa Sede negli anni passati è tutt’altro che risolto o dimenticato, la confusione – a quanto pare – è ancora grande, le nuove Costituzioni non sono pronte e di conseguenza aggiungere nuove tensioni può essere controproducente. C’è chi ipotizza che sia un gesto contro il precedente Gran Maestro, Matthew Festing, e il Priorato inglese; e chi contro il cardinale Patrono dell’Ordine, Raymond Leo Burke, accusato di essere “tradizionalista”. C’è anche chi ipotizza che si tratti di un tentativo di captato benevolente da parte dei vertici dell’Ordine verso il regime anti-tradizione al potere attualmente in Vaticano. Dall’esterno difficile formulare un giudizio che non sia esprimibile con un punto interrogativo.