Dieci anni prima di quel fatidico 2017 in cui ricorrerà il cinquecentesimo anniversario della madre di tutte le rivoluzioni, un papa tedesco, con il Motu Proprio Summorum pontificum sulla Liturgia romana, ha ridato piena cittadinanza nella Chiesa all’arma più potente contro tutte le eresie, minando così alla base quell’imponente edificio mistificatorio costruito sulla surrettizia imposizione di un falso superdogma spacciato per concilio pastorale e che doveva essere, nelle intenzioni dei costruttori, indistruttibile. Certo, questo non sarebbe stato possibile se quella formidabile arma non fosse stata conservata da un drappello di valorosi che hanno continuato ad usarla indefessamente, noncuranti dei severi provvedimenti erogati, paradossalmente, contro chi voleva semplicemente conservare la fede e la liturgia genuine della Chiesa Cattolica, proprio mentre la follia pura impazzava indisturbata facendo scempio delle cose più sacre e riducendo all’ateismo pratico masse innumerevoli di genti un tempo fedeli. Alla Provvidenza non sono mai mancati gli strumenti; ma non dimentichiamo che è pur sempre un merito corrispondere coraggiosamente alla Sua elezione e alle Sue ispirazioni.
Ora dunque, con somma gratitudine verso chi ha strenuamente resistito allo sfacelo generale, nonché verso colui che, infine, ne ha implicitamente riconosciuto le buone ragioni, aggrappiamoci a questa venerabile arma che ripristina in noi la retta dottrina e ci riapre la via della santità, che ci era stata preclusa dalle chiacchiere inconcludenti con cui gli imbonitori dell’aggiornamento hanno sostituito le sane norme di vita cristiana che avevano forgiato stuoli di santi, insegnando loro a corrispondere alla grazia. Scevra da quelle emozioni allettanti e da quelle capricciose variabili che caratterizzano il nuovo culto, perfettamente idoneo anche a chi non crede più in nulla, e non servono ad altro che a titillare l’amor proprio, trasformando spesso l’atto più sacro in una ricerca di godimento che in fin dei conti, sul piano spirituale, è come un peccato impuro, la maestosa severità del rito tradizionale è una parete inabbordabile per chi pretende di dirsi cristiano senza esserlo realmente, o senza almeno sforzarsi di diventarlo collaborando con la grazia divina.
Chi, per un inestimabile favore del Cielo, ha potuto riscoprirlo nonostante la deformazione mentale che aveva subìto e la cappa intellettuale che gli era stata imposta, lo celebra ora con intimo stupore dell’anima, completamente assorbito in ciò che compie senza distrazioni di sorta e irresistibilmente attirato, come da una mistica calamita, verso la consacrazione e la Comunione. Come mai gli è capitato prima nella vita, appena sveglio, quasi un innamorato, vola verso il luogo sacro per questo primo atto della giornata che ne è pure il vertice, nonché la sorgente di ogni successiva attività. Nel mondo ancora avvolto dalle tenebre, arde sull’altare la pura fiamma del Sacrificio che lo illumina e riscalda, preservandolo così da completa rovina. Tutto il resto è indifferente al sacerdote – compresi i problemi di alloggio e di sussistenza… Dio provvede largamente a tutto servendosi di anime fedeli, come a dirgli: «Fa’ questo e mi basta».
Il nuovo rito – sono fatti storici inoppugnabili – è stato costruito a tavolino, in modo estremamente frettoloso e superficiale, da una commissione manovrata da un burattino dei franchi muratori che faceva la spola tra quella e il Papa, in uno sporco doppio gioco con cui ingannò sistematicamente l’uno e l’altra. L’impresa devastatrice doveva produrre un risultato che fosse accettabile anche ad anglicani e protestanti, tanto che ben cinque capi eretici erano membri (non si sa a quale titolo) di detta commissione. Effettivamente lo scopo fu ottenuto, ma non consta che i fratelli separati siano per questo ritornati all’ovile; semmai sono i cattolici (sacerdoti e fedeli) che si sono protestantizzati. Di fatto alla santa Cena (come la chiamano testualmente le “preghiere eucaristiche” ulteriormente aggiunte alle nuove nella seconda edizione del Messale italiano) è necessario dare ogni volta il proprio personale assenso di fede per convincersi che quella sia la Messa, intesa per lo più come rievocazione nostalgica dell’ultimo pasto di Gesù con i Suoi nella vita terrena. Che qualcosa stia realmente accadendo durante l’azione sacra e che quanto vi accade sia il Sacrificio del Calvario reso presente in modo incruento, nella maggior parte dei casi è del tutto ignorato da chi vi assiste, il quale ritiene di solito che sia il modo esterno della sua partecipazione a renderla efficace; il rito antico è di conseguenza condannato e respinto – pur senza saperne nulla – semplicemente perché impedisce quel tipo di partecipazione soggettiva che, a torto, sembra così essenziale.
Nel trascendente silenzio del Canone recitato sottovoce dal sacerdote, invece, chi ha fede si rende inevitabilmente conto che, al suono del campanello, avviene qualcosa di così grande e sublime che non possiamo aggiungergli assolutamente nulla, se non quell’adesione sincera e totale che ci permette di parteciparvi in modo fruttuoso. Non è un racconto dell’istituzione (come è ormai designato dai liturgisti) che bisogna per forza ascoltare come una bella favola rassicurante che funge da mito fondatore del gruppo, ma un evento soprannaturale che si realizza indipendentemente dalle disposizioni dei presenti e che attua la salvezza del mondo per virtù propria, non perché ci sia qualcuno a ratificarlo. La presunzione e la superbia di chi pensa di renderlo interessante con i suoi discorsi ritriti o con canzonette sguaiate si sbriciolano contro il muro di quella muta adorazione che, nella Messa tradizionale, è richiesta ai fedeli inginocchiati; l’ottusa arroganza di chi, nel ricevere la santa Comunione, attribuisce più importanza alla propria sensibilità egocentrica circa il modo di porgerla che non allo stato della sua anima e alle condizioni per accedervi lo tiene ben lontano da un rito che esprime ed esige ad un tempo, dall’inizio alla fine, profonda umiltà e compunzione.
Tanti si preparano già, nella Chiesa Cattolica, a celebrare solennemente l’anniversario di una delle peggiori sciagure della storia cristiana, che comportò pure innumerevoli profanazioni eucaristiche, sconsacrazioni o demolizioni di chiese e monasteri, barbare uccisioni di sacerdoti, religiosi e fedeli, guerre cruentissime che si protrassero per quasi un secolo e mezzo… Ecco l’inevitabile risultato della protestantizzazione della Messa: l’anno prossimo si farà festa per ciò per cui, fino a qualche decennio fa, si è pianto e fatta penitenza, operando attivamente, al contempo, per riportare le pecore perdute nell’unico ovile e sotto l’unico Pastore (cf. Gv 10, 16). Come rispondere a tanta demenza? Ignorandola completamente e inabissandosi nel mistero dell’unico santo Sacrificio, sordi e ciechi a qualunque altra cosa. Unum est necessarium (Lc 10, 42): abbiamo scelto la parte migliore che non ci sarà tolta, perché quella parte non è l’uomo con le sue invenzioni, ma Dio stesso (cf. Sal 15, 5).
Ora dunque, con somma gratitudine verso chi ha strenuamente resistito allo sfacelo generale, nonché verso colui che, infine, ne ha implicitamente riconosciuto le buone ragioni, aggrappiamoci a questa venerabile arma che ripristina in noi la retta dottrina e ci riapre la via della santità, che ci era stata preclusa dalle chiacchiere inconcludenti con cui gli imbonitori dell’aggiornamento hanno sostituito le sane norme di vita cristiana che avevano forgiato stuoli di santi, insegnando loro a corrispondere alla grazia. Scevra da quelle emozioni allettanti e da quelle capricciose variabili che caratterizzano il nuovo culto, perfettamente idoneo anche a chi non crede più in nulla, e non servono ad altro che a titillare l’amor proprio, trasformando spesso l’atto più sacro in una ricerca di godimento che in fin dei conti, sul piano spirituale, è come un peccato impuro, la maestosa severità del rito tradizionale è una parete inabbordabile per chi pretende di dirsi cristiano senza esserlo realmente, o senza almeno sforzarsi di diventarlo collaborando con la grazia divina.
Chi, per un inestimabile favore del Cielo, ha potuto riscoprirlo nonostante la deformazione mentale che aveva subìto e la cappa intellettuale che gli era stata imposta, lo celebra ora con intimo stupore dell’anima, completamente assorbito in ciò che compie senza distrazioni di sorta e irresistibilmente attirato, come da una mistica calamita, verso la consacrazione e la Comunione. Come mai gli è capitato prima nella vita, appena sveglio, quasi un innamorato, vola verso il luogo sacro per questo primo atto della giornata che ne è pure il vertice, nonché la sorgente di ogni successiva attività. Nel mondo ancora avvolto dalle tenebre, arde sull’altare la pura fiamma del Sacrificio che lo illumina e riscalda, preservandolo così da completa rovina. Tutto il resto è indifferente al sacerdote – compresi i problemi di alloggio e di sussistenza… Dio provvede largamente a tutto servendosi di anime fedeli, come a dirgli: «Fa’ questo e mi basta».
Il nuovo rito – sono fatti storici inoppugnabili – è stato costruito a tavolino, in modo estremamente frettoloso e superficiale, da una commissione manovrata da un burattino dei franchi muratori che faceva la spola tra quella e il Papa, in uno sporco doppio gioco con cui ingannò sistematicamente l’uno e l’altra. L’impresa devastatrice doveva produrre un risultato che fosse accettabile anche ad anglicani e protestanti, tanto che ben cinque capi eretici erano membri (non si sa a quale titolo) di detta commissione. Effettivamente lo scopo fu ottenuto, ma non consta che i fratelli separati siano per questo ritornati all’ovile; semmai sono i cattolici (sacerdoti e fedeli) che si sono protestantizzati. Di fatto alla santa Cena (come la chiamano testualmente le “preghiere eucaristiche” ulteriormente aggiunte alle nuove nella seconda edizione del Messale italiano) è necessario dare ogni volta il proprio personale assenso di fede per convincersi che quella sia la Messa, intesa per lo più come rievocazione nostalgica dell’ultimo pasto di Gesù con i Suoi nella vita terrena. Che qualcosa stia realmente accadendo durante l’azione sacra e che quanto vi accade sia il Sacrificio del Calvario reso presente in modo incruento, nella maggior parte dei casi è del tutto ignorato da chi vi assiste, il quale ritiene di solito che sia il modo esterno della sua partecipazione a renderla efficace; il rito antico è di conseguenza condannato e respinto – pur senza saperne nulla – semplicemente perché impedisce quel tipo di partecipazione soggettiva che, a torto, sembra così essenziale.
Nel trascendente silenzio del Canone recitato sottovoce dal sacerdote, invece, chi ha fede si rende inevitabilmente conto che, al suono del campanello, avviene qualcosa di così grande e sublime che non possiamo aggiungergli assolutamente nulla, se non quell’adesione sincera e totale che ci permette di parteciparvi in modo fruttuoso. Non è un racconto dell’istituzione (come è ormai designato dai liturgisti) che bisogna per forza ascoltare come una bella favola rassicurante che funge da mito fondatore del gruppo, ma un evento soprannaturale che si realizza indipendentemente dalle disposizioni dei presenti e che attua la salvezza del mondo per virtù propria, non perché ci sia qualcuno a ratificarlo. La presunzione e la superbia di chi pensa di renderlo interessante con i suoi discorsi ritriti o con canzonette sguaiate si sbriciolano contro il muro di quella muta adorazione che, nella Messa tradizionale, è richiesta ai fedeli inginocchiati; l’ottusa arroganza di chi, nel ricevere la santa Comunione, attribuisce più importanza alla propria sensibilità egocentrica circa il modo di porgerla che non allo stato della sua anima e alle condizioni per accedervi lo tiene ben lontano da un rito che esprime ed esige ad un tempo, dall’inizio alla fine, profonda umiltà e compunzione.
Tanti si preparano già, nella Chiesa Cattolica, a celebrare solennemente l’anniversario di una delle peggiori sciagure della storia cristiana, che comportò pure innumerevoli profanazioni eucaristiche, sconsacrazioni o demolizioni di chiese e monasteri, barbare uccisioni di sacerdoti, religiosi e fedeli, guerre cruentissime che si protrassero per quasi un secolo e mezzo… Ecco l’inevitabile risultato della protestantizzazione della Messa: l’anno prossimo si farà festa per ciò per cui, fino a qualche decennio fa, si è pianto e fatta penitenza, operando attivamente, al contempo, per riportare le pecore perdute nell’unico ovile e sotto l’unico Pastore (cf. Gv 10, 16). Come rispondere a tanta demenza? Ignorandola completamente e inabissandosi nel mistero dell’unico santo Sacrificio, sordi e ciechi a qualunque altra cosa. Unum est necessarium (Lc 10, 42): abbiamo scelto la parte migliore che non ci sarà tolta, perché quella parte non è l’uomo con le sue invenzioni, ma Dio stesso (cf. Sal 15, 5).
Sottoscrivibile a pieno. Ma purtroppo troppe teste devono ancora arrivare a capirlo, se mai potranno arrivarci.
RispondiEliminaIeri leggevamo il Vangelo delle Nozze di Cana. Mi sono ricordato di la iscrizione nella Chiesa di Cana di Galilea in Terra Santa : MARIA MATER AC MEDIATRIX NOSTRA POTENTISSIMA. Nell buio che copre in questi momenti tutta la Chiesa militante abbiamo fiducia. La Fede ci da Forza. La Bellezza di Maria Immacolata ci salvera'.
RispondiEliminaBel pensiero! Speriamo che Cantalamessa ci dia il permesso
EliminaSempre e solo contro la Messa N.O.; ma lo avete letto il SP, dichiara chiaramente che la forma ordinaria del rito romano è il Messale di Paolo VI e che tale celebrazione è valida e cattolica e chi non riconosce tale verità è fuori della Chiesa e voi lo siete. Le sensibilità sono molte probabilmente voi ponete l'accento solo sul sacrificio ma da sempre e in tutta la cristianità indivisa d'oriente e d'occidente, il divino sacrificio è chiamato anche divino banchetto, divina liturgia e non si esaurisce certamente in un rito di sacrificio propiziatorio quasi magico. La messa è l'incontro tra Padre Figlio e Spirito. Il Figlio si offre al Padre come offerta perchè scenda sulla sua Chiesa lo Spirito. Direi che l'icona ortodossa (di quegli eretici antipapisti brutti e cattivi) di Rublev ne esprime in pieno il senso. Cercate di uscire un attimo dai preconcetti nella Chiesa non c'è solo Trento. Il concilio di Trento ha affrontato un emergenza che era ed è l'eresia protestante che negava la presenza reale di Cristo nell'eucaristia ma a lungo andare si è dimenticato tutto il modo di celebrare in oriente e occidente prima del 1500. Con il Concilio Vaticano II si è tornati a comprendere in modo più corretto anche il Divino Sacrificio senza negare nulla di Trento.
RispondiEliminaMa tu sei cattolico????
EliminaIntanto nessuno (o meglio, solo alcuni, con i quali non sono affatto d'accordo) dice che il NO non sia valido. Però negare che il NO abbia portato a un'infinità di abusi e a un abbassamento spaventoso del livello liturgico è negare l'evidenza al modo degli struzzi.
EliminaD'accordo con questo tuo commento articolato. Tra l'altro sul sito http://spazioinwind.libero.it/sanmassimo_decaita/testi/confronti/99%20differenze.html
Eliminadegli ortodossi spiegano le differenza, ed usano gli stessi argomenti: loro hanno conservato la vera ed antica liturgia, mentre il VO e il NO hanno dei vulnera. Che l'eucarestia si limiti alla reiterazione incruenta del sacrificio sulla croce è tutto da dimostrare. Intanto l'uso del pane e del vino rinvia alla pratica del sacrificio vegetale, unico sacrificio in cui la comunione era totale, cioè comunicavano i preti, i sacrificanti e il Signore attraverso il fuoco. Gesù, indicando il pane come suo vero corpo e presente nelle specie, indicava il suo sacrificio come un sacrificio di comunione totale. Ecco l'importanza del mangiare e del bere. Gli ortodossi poi fanno notare che bisognerebbe usare un solo pane e lievitato, per unire questo sacrificio alla Pasqua di ressurrezione. La cena del Signore, rinvia quindi alla Pasqua di liberazione, alla Passione e ai sacrifici di comunione e di espiazione del Tempio. Attraverso l'idea di banchetto poi e di rendimento di grazie (eucharestia) si rinvia alla beatitudine escatologica, al pasto del Regno. Quindi non è tanto la transustanziazione delle specie eucaristiche il culmine, ma l'insieme del rito che ci fa partecipare alla cena del Signore, alla sua passione e morte e alla sua resurrezione e a un banchetto di comunione e di rendimento di grazie, anticipazione del banchetto escatologico, al quale partecepiamo mangiando lo stesso pane e bevendo allo stesso calice.
Matteo ti ringrazio per il tuo commento e per la spiegazione molto più esaustiva della mia e molto più precisa.
EliminaVorrei aggiungere che lo spostamento dell'altare versum popolum, è un problema in quanto in tutte le Chiese dell'oriente Cristiano l'altare è sempre Versum Deum e questo ci allontana da questi fratelli orientali (avvicinandosi sempre di più ai protestanti) che in termini liturgici come tu facevi notare sono molto più fedeli all'insegnamento dei Padri.
Buona cosa sarebbe mettere la croce al centro dello stesso anche se rivolto verso il popolo per sottolineare che entrambi ci volgiamo a Cristo nostro Sole che sorge.
Ritengo che il VO possa migliorare in termini positivi anche il NO, il Messale di Paolo VI non è immutabile ci potranno essere delle migliorie anche e sopratutto nei seminari dove si dovrebbe dare maggiore attenzione alla formazione liturgica dei candidati senza ovviamente limitare i carismi di nessuno.
Credo che il NO abbia grandi pregi, purtroppo è stata la sua applicazione senza regole a fine anni '60 il vero problema.
Davide83
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RispondiEliminaBellissimo articolo che sottoscrivo in pieno. Nulla da aggiungere.
RispondiEliminaTe igitur clementissime Pater... è preghiera eucaristica inclusa nel Messale di Paolo VI e pur partecipando a celebrazioni nel NO (chi ha inventato queste sigle antiliturgiche?) mi inginocchio davanti a ciò che incruentemente si rinnova. Studio fontes liturgici da una vita e ripenso a come si è formato il Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum e ne traggo la conclusione che le considerazioni dell'autore del post siano fuori luogo e abbiano valenza solo emotiva, che comprendo, avendo anch'io partecipato a celebrazioni eucaristiche prima del Concilio Vaticano II. Sostengo alunni della Fraternità Sacerdotale di S. Pietro ma non permetterei mai una tale reazione: abbiamo dei santi anche con il Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum. Ognuno percorra la sua strada verso la santità nella carità vicendevole.
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