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venerdì 24 settembre 2010

Il card. Newman e il primato della coscienza

Abbiamo già pubblicato un post concernente la scandalosa operazione di appropriazione e travisamento da parte progressista della figura di John Henry Newman, l'ex anglicano convertito recentemente beatificato dal Papa. Ora Massimo Introvigne, in un denso e ricco articolo, da leggere per intero a questo link, ha tra l'altro approfondito il senso della  famosa affermazione del beato sul primato della coscienza. Che non è affatto, come pretendono molti, un manifesto del relativismo e del dissenso.


[..] Il beato Newman è ricordato per le sue profonde riflessioni sulla nozione di coscienza. Il suo insegnamento, pienamente conforme alla dottrina della Chiesa, è stato però talora presentato in modo equivoco. Alcuni interpretano la stessa nozione di coscienza in modo relativista, come se si trattasse di seguire la propria «preferenza personale» (Newman 2009) a prescindere da ogni autorità esterna. Mentre la coscienza cui fa riferimento Newman è la «coscienza retta» (Benedetto XVI 2010c).
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Commentando le famose – e per qualche aspetto controverse – parole del beato nella Lettera al Duca di Norfolk secondo cui «se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al Papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al Papa» (Newman 1999, 237), il cardinale Ratzinger commenta che la frase va inquadrata nel complessivo pensiero di Newman e nella sua fedeltà alla «tradizione medioevale [che] giustamente aveva individuato due livelli del concetto di coscienza, che si devono distinguere accuratamente, ma anche mettere sempre in rapporto l’uno con l’altro. Molte tesi inaccettabili sul problema della coscienza mi sembrano dipendere dal fatto che si è trascurata o la distinzione o la correlazione tra i due elementi» (Ratzinger 1991, 89).

Se invece si ritiene che l’appello alla coscienza sia solo una giustificazione per seguire il proprio arbitrio – «Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge» (Crowley 1938, cap. I, v. 40), secondo la celebre formula dell’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947), il quale non solo dava a questa proposizione un fondamento specificamente magico, ma in essa catturava l’essenza stessa della magia come primato del potere – il passaggio successivo non può che essere l’abolizione della coscienza. Per fare quel che si vuole non c’è bisogno della legge, né della coscienza. Il relativismo liberale evolve così naturalmente verso il relativismo aggressivo delle ideologie del secolo XX fino all’affermazione del gerarca nazional-socialista Hermann Göring (1893-1946), citata dal cardinale Ratzinger: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza è Adolf Hitler [1889-1945]» (Ratzinger 1990, 432). La nozione relativista della coscienza porta ultimamente all’eliminazione della coscienza.

Il cattolico, nota il cardinale Ratzinger, non adotta certamente la formula di Göring mettendo il Papa al posto di Hitler. Questa sarebbe una versione caricaturale del cattolicesimo: «una simile concezione moderna e volontaristica dell’autorità può soltanto deformare l’autentico significato teologico del papato» (Ratzinger 1991, 89). Il cattolico dirà al contrario di avere una coscienza, e di trovare in essa una memoria del bene originario e l’apertura alla «possibilità» (ibid.) di una rivelazione di Dio, che di quel bene è fondamento. Nel momento in cui accetta per fede che Dio si è rivelato in Gesù Cristo, è pronto ad accogliere la tesi che il Papa è «garante della memoria» (ibid.) della rivelazione cristiana. Il Magistero del Papa entra così nella coscienza, per così dire, dall’interno: «tutto il potere che egli [il Papa] ha è potere della coscienza» (ibid.).

Il cardinale Ratzinger cita come prova del carattere tutt’altro che soggettivo e arbitrario dell’idea di coscienza nel beato Newman precisamente la sua conversione dalla Comunione Anglicana alla Chiesa Cattolica del 1845. «Proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà – anzi che si trattava proprio del contrario. Da Newman abbiamo imparato a comprendere il primato del Papa: la libertà di coscienza – così ci insegnava Newman – non si identifica affatto col diritto di “dispensarsi dalla coscienza, di ignorare il Legislatore e il Giudice, e di essere indipendenti da doveri invisibili”. In tal modo la coscienza, nel suo significato autentico, è il vero fondamento dell’autorità del Papa. Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e “la sua [del Papa] raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza” (J. H. Newman, Lettera al Duca di Norfolk, Coscienza è libertà, a cura di V. Gambi, Paoline, Milano 1999, p. 226)» (Ratzinger 1990, 433-434).

«Questa dottrina sulla coscienza – continuava nel 1990 il cardinale Ratzinger – è diventata per me sempre più importante nello sviluppo successivo della Chiesa e del mondo. Mi accorgo sempre di più che essa si dischiude in modo completo solo in riferimento alla biografia del Cardinale, la quale suppone tutto il dramma spirituale del suo secolo. Newman, in quanto uomo della coscienza, era divenuto un convertito; fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt’altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell’obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d’una concezione del Cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma […]. E solo così, attraverso il legame alla verità, a Dio, la coscienza riceve valore, dignità e forza» (ibid., 434).

 Quando a proposito della conversione al cattolicesimo ricordiamo che il beato Newman fu «mosso dal seguire la propria coscienza, anche con un pesante costo personale» (Benedetto XVI 2010g), o che san Tommaso Moro (1478-1535), giustiziato per ordine del re Enrico VIII (1491-1547), di cui era stato Lord Cancelliere ma che non aveva voluto seguire nella sua rivolta contro il Papa, «fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al proprio sovrano, di cui era “buon servitore”» (Benedetto XVI 2010h), non ci riferiamo a opzioni o semplici preferenze soggettive ma a un rapporto con la verità oggettiva – «quella verità [che ultimamente] è nient’altro che Gesù Cristo» (Benedetto XVI 2010g) – così forte da rendere disposti a sacrificare affetti, amicizie e perfino la proprio stessa vita. E la questione della coscienza ha un diretto collegamento con il rapporto fra fede e ragione. Il beato Newman, insegna Benedetto XVI, fu insieme «intellettuale e credente, il cui messaggio spirituale si può sintetizzare nella testimonianza che la via della coscienza non è chiusura nel proprio “io”, ma è apertura, conversione e obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita» (Benedetto XVI 2010v). [..]

4 commenti:

  1. Un perfetto Cattolico Liberale! indica la libera scelta del Bene come unica via per la salvezza! E tra l'altro ( pur non avendolo mai conosciuto di persona) è un tema questo anche rosminiano!
    Matteo Dellanoce

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  2. Introvigne è come sempre il migliore!

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  3. Quindi, se non ho capito male, dettato della coscienza e obbedienza al papa dovrebbero  sempre colincidere. Siete sicuri che sia così, anzi che sia sempre stato così? Anche per la questione romana? La coscienza del Manzoni che non si adeguava alle direttive di Pio IX era per questo una coscienza erronea? (per non andare lontano con il Savonarola). Io sapevo che la coscienza porta in sé principi oggettivi di valutazione del bene e del male (la sinderesi), ma non che tra questi principi ci fosse l'obbedienza al papa perinde ac cadaver per materie  su cui i papi stessi hanno cambiato idea, diventando essi stessi (almeno in questo) esempio di arbitrarietà

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  4. È veramente illuminante questo passaggio: "Infatti la sua forza viene dalla Rivelazione, che completa la coscienza naturale illuminata in modo solo incompleto, e “la sua [del Papa] raison d’être è quella di essere il campione della legge morale e della coscienza.

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