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lunedì 1 dicembre 2025

Il suicidio delle gemelle Kessler: il rifiuto dell’amore di Dio

Una società "sazia e disperata" (card. Giacomo Biffi, QUI).
Luigi C.

26 Novembre 2025, Corrispondenza Romana,  Fabio Fuiano

Lo scorso 17 novembre il mondo è stato testimone del suicidio assistito delle famose gemelle Kessler, note intrattenitrici e ballerine degli anni ’60-70. Wega Wetzel, portavoce dell’organizzazione Deutsche Gesellschaft für Humanes Sterben (DGHS) ha confermato il ricorso alla procedura asserendo che le gemelle Kessler «stavano considerando questa scelta da diverso tempo. Erano membri dell’organizzazione da oltre sei mesi. Un avvocato e un medico hanno condotto con loro dei colloqui preliminari». La data era stata già fissata e il luogo prescelto era la loro abitazione di Grünwald. Stando al tariffario della DGHS, le gemelle avrebbero speso una somma di 6.000 euro, comprendente assistenza medica, supporto legale e le spese sostenute dall’organizzazione. Nella procedura di suicidio, un medico ha predisposto un’infusione letale di anestetico, un operatore sanitario ha inserito l’ago nel braccio di Alice ed Ellen Kessler, le quali hanno poi azionato l’infusione, dal momento che, come spiegato da Wetzel, «deve essere rigorosamente il paziente ad aprire la valvola. Prima della somministrazione viene chiesto ancora una volta se si è pienamente consapevoli di ciò che si sta per fare. Si effettua anche una prova tecnica con soluzione salina. Solo dopo, le Kessler hanno potuto auto-somministrarsi la dose letale, che provoca un immediato arresto cardiaco».

Le due gemelle hanno incarnato quello spirito di evasione dalla difficile realtà di un mondo che usciva devastato dalla Seconda guerra mondiale. Intere famiglie italiane si sono intrattenute con le loro performance musicali fin dai primordi della televisione, distraendosi temporaneamente dai problemi quotidiani. Questo sentimento di simpatia e riconoscenza, amplificato dai mass media, ha oscurato la portata di un gesto gravissimo: queste due donne, hanno scientemente posto fine alla propria vita. Quella stessa vita che nessuno può darsi e che quindi nessuno ha diritto di togliersi.

Fino all’ultimo momento ad un uomo è dato di pentirsi e riconciliarsi con Dio: le Kessler, forse non consce che l’anima sopravvive al corpo, hanno perseverato in questo male fino ad azionare il meccanismo che, uccidendole in un baleno, avrebbe “cristallizzato” la volontà di un solo istante per tutta l’eternità.

Il loro atto è di gran lunga più grave di quello del suicida che, in un momento di obnubilamento, si getta da un ponte, giacché quest’ultimo, quantomeno, dispone ancora del tempo che intercorre tra il lancio e l’impatto a terra per potersi pentire del proprio gesto e chiederne perdono. Nel III canto del Purgatorio, Dante Alighieri incontra le anime scomunicate e, tra queste, quella di Manfredi. Commoventi sono le parole con cui egli spiega per quale motivo, nonostante fosse morto scomunicato, era salvo in Purgatorio: poco prima di morire a causa di due ferite mortali, consegnò la sua anima, pentito e piangendo, «a quei che volentier perdona». Il cuore dell’intervento di Manfredi è una preziosissima sintesi:

«Orribil furon li peccati miei;

ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

che prende ciò che si rivolge a lei» (III, 123).

Fino all’ultimo momento è possibile salvarsi facendo ricorso alla misericordia di Dio, in special modo, per la materna intercessione di Maria Santissima. L’epilogo delle gemelle Kessler sembra purtroppo ben diverso: se un attimo prima si è nel tempo per potersi pentire, un attimo dopo si è nell’eternità dove nessun pentimento è più possibile perché ogni atto umano può compiersi solo nel tempo. Ad aggravare ulteriormente la situazione è la mancanza di una censura sociale nei confronti del loro gesto: la quasi unanime ed emotiva approvazione della loro “scelta”, non potrà che portare al disastroso esito dell’emulazione.

L’unico antidoto a questo sta proprio nel riscoprire l’infinito amore che Dio nutre per l’uomo: san Tommaso d’Aquino ricorda che «benché le creature non esistano ab eterno, se non in Dio, tuttavia per questo appunto che ab eterno sono in Dio, Dio ab eterno le conosce nella loro natura e per la stessa ragione le ama» (Summa Theologiae, I, q. 20, a. 2 ad 2).

Padre Federico Rouvier S.J. (1851-1925), nel suo capolavoro intitolato Saper Soffrire (Edizioni Fiducia, Roma 2023, pp. 7-11) spiega in modo chiaro la relazione sussistente tra la bontà di Dio e la creazione.

È da Lui che abbiamo ricevuto tutto, non solo ciò che abbiamo, ma quel che siamo: «nessuno ci ha dato più di quanto ci ha dato Iddio e nessuno continua a darci tutti i giorni più di quello che ci dia Iddio. Nessuno, dunque, ci ha maggiormente amato e più ci ama di quello che ci ami Iddio. Questo amore senza misura, che Dio da tutta l’eternità ha portato a noi nel suo cuore paterno, è la ragione della nostra esistenza. Infatti, è per amore che Egli ci ha creati; per quell’amore che si riversa inesausto sulle sue creature da quell’oceano di infinita bontà, che s’accoglie nel suo seno fin dai secoli eterni. Se non fosse stato per l’amore che ci porta, perché ci avrebbe Egli creato dal nulla?».

Citando un discorso del vescovo Jacques Bossuet (1627-1704): «Tutti coloro, che danno i loro beni agli altri, dice sant’Agostino, li danno per una di queste tre ragioni: o per una forza maggiore, che ve li costringe, e allora essi danno per necessità; o per qualche vantaggio, che loro ne deriva, e lo fanno per utilità; o per benevola inclinazione, e allora è effetto di bontà. Così il sole ci dà la sua luce, perché Dio gli ha imposto questa legge; ed è necessità. Un gran signore dispensa i suoi tesori per farsi delle creature a sé devote, ed è spinto dalla utilità. Un padre è largo dei suoi doni al figliuolo diletto, ed è mosso da bontà.

Orbene, non può essere davvero la necessità quella che obbliga Dio ad effondere sopra di noi la sua munificenza, poiché Egli non è soggetto a potenza alcuna a Lui superiore; non l’utilità, poiché, essendo Dio, non ha bisogno delle sue creature. Rimane dunque che la sola bontà è la dispensatrice delle grazie…».

La prima di tutte le grazie di Dio, fondamento delle altre, «fu quella di chiamarci all’esistenza, ne segue che è per bontà e per amore che Dio ci ha creati». San Giovanni Damasceno evidenzia come «essendo Dio infinitamente buono e superiore ad ogni bontà, non gli bastò godere della contemplazione di sé stesso ma per la sua immensa bontà volle che venissimo all’esistenza delle creature, che fossero un effetto dei suoi benefici e partecipassero alla sua bontà. Per questo dal non essere trasse all’esistenza e creò tutte le cose, invisibili e visibili; come pure l’uomo, composto di anima e di corpo» (De fide orthod., L. II, c. 2).

Dunque, conclude Rouvier, quando dal seno dell’eternità, «contemplando gli abissi della sua sapienza increata, Dio mirava tutti gli esseri che, come altrettanti riflessi della sua maestà e potenza divina, Egli poteva trarre dal nulla; […] e soprattutto, quando in presenza di quel numero incommensurabile di anime umane, che avrebbe potuto chiamare all’esistenza, Dio formava il decreto adorabile, che conferiva gratuitamente la vita a ciascuno di noi, senza alcun merito antecedente da parte nostra, è cosa evidente, giacché noi non esistevamo ancora, che l’unico suo movente fu la bontà. Donde ne viene che fu per bontà che Dio per amore verso di noi ci ha tratti dal nulla».

Anche le Kessler sono state tratte dal nulla per l’amore che Dio nutriva per loro dall’eternità ed è nel supremo rifiuto di questa bontà la gravità della loro scelta suicidaria.