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martedì 18 novembre 2025

Messa Tradizionale. "La Legge del Sacro: Rettificazione, Apocalisse, Tradizione viva"

Ottima analisi sulle differenze tra NOM e Messa di sempre.
"Io, per questo, lo dico senza puntare il dito: se puoi, vai al Rito Antico, ma non perché altrove Dio non sia, ma perché qui lo vedrai meglio e che il cuore ama più facilmente quando l’occhio vede. [...] Validità non è pienezza. Nessuno, tantomeno io, contesta la validità del Novus Ordo celebrato come la Chiesa comanda. Ma validità significa che Cristo opera; mentre pienezza significa che la forma educa". 
Luigi C.

Croce-Via,  Simon de Cyrène il 24 settembre 2025


Parte I: Forma dat esse

L’organismo ecclesiale tra Offertorio, Canone e segni che non mentono
C’è un momento, in ogni Messa, in cui il tempo sembra sospendersi: “Sursum corda – Habemus ad Dominum.” Se davvero i cuori si alzano, lo capisci dai segni: il passo dei ministri, la calma di un silenzio che non imbarazza, l’altare che non è tavolo di riunione ma pietra sacra, il Crocifisso in asse che comanda lo sguardo, la voce del sacerdote che non “spiega” ma offre. Lì, la Chiesa respira.

La mia tesi è semplice e, per qualcuno, dura: un rito vive se la forma gli corre dentro; e la forma non è un sentimento ma un intreccio di parole e gesti in cui la cosa detta (il Sacrificio del Figlio, la Presenza reale, le Nozze dell’Agnello) coincide con il nome che la nomina e la mostra. I classici avrebbero parlato di causa formale; i confuciani di rettificazione dei nomi (zhèngmíng) e di dottrina dei riti (lǐ). Se il nome non dice più la cosa, se il rito non la in-forma, nasce un’aria sottile di anemia: non muori, ma non cresci.

Qui non si tratta di preferenze estetiche. Ottaviani e Bacci, due cardinali che non avevano alcun gusto per le nostalgie, nel 1969 misero per iscritto ciò che molti avvertivano: la nuova forma della Messa, così come era stata scritta, indeboliva il registro sacrificale, soprattutto nell’Offertorio; accorciava e moltiplicava le Preghiere eucaristiche, riducendo i gesti che suscitano adorazione; smussava il lessico su Presenza e propiziazione; spostava il sacerdote nella percezione pubblica da offerente in persona Christi a presidente d’assemblea. Non negarono la validità, e questo va ripetuto, ma dissero che la forma del rito non manifestava più, per forza propria e senza stampelle, tutta la sostanza. È come una tela su cui i colori sono veri, ma l’intreccio è allentato: regge, sì, ma non splende.

Dall’altro lato, Boniface Luykx , monaco, liturgista, anatomista fine del gesto, guarda non alla teologia in astratto, bensì al corpo del rito nuovo(A Wider View of Vatican II: Memories and Analysis of a Council Consultor (Angelico Press)): tempi compressi, ingressi e uscite senza vera soglia, ripetizioni ridotte (e la ripetizione è la grammatica del sacro), silenzi rarefatti (e il silenzio è linguaggio), spazio che rischia di diventare sala, musica che suona come cornice e non come atto. Risultato: la Messa si può capire, ma il mistero non accade davanti a te con la stessa potenza educativa. In breve: si parla molto, si prega poco. Si spiegano le stelle, ma non si alza la testa al cielo.

Qui il mio punto: un rito riceve la notazione “A” quando l’atto sacro si mostra da sé. Non hai bisogno che qualcuno ti convinca che l’Agnello è sull’altare; lo vedi nello spessore dei gesti, nel peso del silenzio, nell’orientamento che trascina tutto verso il Signore. “Sanctus, Sanctus, Sanctus…” non è un coro emotivo, è l’irruzione di un’altra patria. Il Rito Antico fa questo per struttura: Offertorio propiziatorio che “canta” il sacrificio, Canone raccolto in cui le parole sono affilate e i gesti carichi, ripetizioni che incidono, silenzi che dilatano, orientamento che toglie dall’autocoscienza, lingua sacra che spezza la tirannia del quotidiano, musica che è teologia cantata, ruoli definiti. IL Rito Antico non ti convince: ti converte, perché la Verità non si concepisce ma La si vive.

Il Novus Ordo, così come è stato redatto, non nasce “A”. Lo puoi alzare: puoi scegliere le anafore più dense, ridurre le opzioni, imporre silenzi, spingere la musica verso il gregoriano, mettere il Crocifisso in centro, educare i ministri alla lentezza dei santi. Con padri esigenti e una schola tenace, può talvolta, nella pratica, lambire una notazione “B+” alta. Ma il punto rimane: la forma del rito chiede continuamente aiuto. È come una casa abitabile, ma senza travi a vista: devi continuamente ricordare agli ospiti che il soffitto c’è, perché non lo sentono.

“Finché c’è una vera celebrazione, la Chiesa vive”, d’accordo. Ma se vogliamo che la liturgia educhi, che ci sia una lex orandi che generi una lex credendi e lex vivendi, allora dobbiamo avere il coraggio di dirlo: il Rito Antico è migliore. Non perché faccia “sentire di più”, ma perché dice meglio ciò che dice. E perché, nella sua esattezza, forma il corpo in un abito di adorazione. Alla fine, è sempre questione di verità performativa: quod agitur, agitur, ciò che si compie, compie l’uomo.

“State fermi e riconoscete che io sono Dio.” (Sal 46,11)
La liturgia o rende possibile questa fermezza, o moltiplica parole per coprirne l’assenza.

Parte II: Nozze dell’Agnello, “La Messa è Apocalisse”:

Perché il simbolo forte santifica e il minimalismo spiritualmente stanca

Apri l’Apocalisse e ascolta: “E vidi un trono nel cielo… e in mezzo al trono un Agnello come immolato” (Ap 4–5). Scott Hahn ha avuto il merito di dirlo al popolo con chiarezza (The Lamb’s Supper: The Mass as Heaven on Earth. New York: Doubleday, 1999): il libro di Giovanni non è un rebus politico ma la liturgia del Cielo, e la Messa è il Cielo sulla terra. Là ci sono il Trono e i ventiquattro presbiteri, il Sanctus degli angeli, le coppe profumate d’incenso, il silenzio di mezz’ora che trattiene il respiro del cosmo (Ap 8,1), le Nozze dell’Agnello (Ap 19). Se la nostra Messa non assomiglia a questo, qualcosa non va: non nel cuore di Dio, ma nella nostra forma.(Cf. il nostro post del 2013 Liturgia Apolattica)

Il Rito Antico ha l’aria di quelle basiliche che non devi “difendere”: si difendono da sole. Entra e capisci. Il Crocifisso in asse, l’Altare che sale, i ministri che arrivano dal sacro e al sacro tornano, la lingua che non è la tua ma che, paradossalmente, ti restituisce a te stesso. Quando esplode il “Sanctus”, non ti senti parte di un pubblico; sei arruolato nella schiera. Quando il sacerdote tace sul Canone, non è un imbarazzo: è il segno che non è lui il protagonista. Quando la Comunione si riceve in ginocchio, capisci senza trattato che qui passa un Re. E quando tutto si spegne, non esci “intrattenuto”: esci cambiato.

Nel Novus Ordo così come abitualmente si presenta, troppo spesso l’Apocalisse deve essere spiegata. Il Trono si perde nella democrazia delle sedie; l’Agnello si fa concetto devoto; i presbiteri diventano funzionari di sala; il Sanctus scivola nel ritornello orecchiabile; l’incenso non serve, il silenzio mette ansia, le coppe sono vasi, le Nozze un’allegoria pastorale. Si può fare meglio, ben lo sappiamo e pure lo chiediamo, ma il fatto rimane: la grammatica di base non sostiene l’altezza. Chi canta gregoriano ogni domenica in NO, chi rispetta i silenzi, chi centra il Crocifisso, chi usa ad orientem dove si può, compie un atto di resistenza amorosa ma, tuttavia, lo sente anche lui: manca come qualcosa nella tessitura.

Prendiamo un solo gesto, che vale mille discorsi: l’inginocchiarsi. In Apocalisse tutti cadono giù: gli anziani, gli angeli, ogni creatura (Ap 5,8.14). Non è teatro: è verità del corpo. Dove l’inginocchiarsi scompare e la Comunione in mano s’impone come abitudine, nessuno proclama l’eresia; ma il corpo riceve una catechesi che non mente mai: “Questo è grande, ma non è tremendo.” E la mente, docile serva del corpo, vi si adatta: “Se posso toccarlo come qualunque cibo, forse non è il Cibo.” Non è un sillogismo: è la legge dell’uomo, l’anima che apprende per i sensi.

Il Rito Antico, al contrario, ordina i sensi. La lingua sacra ti toglie il riflesso di usare parole per dominare; i tempi lenti rifanno il respiro; i gesti ripetuti scavano un solco; la musica non ti corteggia ma ti tira su; la balaustra, là dove è rimasta, è soglia che difende il Mistero e protegge il piccolo. Non ti senti “escluso”: ti senti incluso dal Cielo, che ha una pedagogia severa e dolce. Qui la mistagogia non è un corso universitario: è la forma stessa.

Si dirà: ma il Novus Ordo è valido, e Dio supplisce ed è assolutamente vero. Ma Dio non ci ha mai chiesto di vivere di supplenza ragion per la quale ci ha dato segni e ci ha dato riti, un linguaggio in cui la Sposa impara ad essere Sposa. L’Apocalisse non è una poesia ma è una mappa: se la tua Messa non ti porta nei capitoli 4–5, 8 e 19 dell'Apocalisse, non perché non ci credi ma perché non li vedi, allora il tuo cuore farà più fatica. Amerà lo stesso, con la grazia di Dio, ma con più sforzo umano e certamente meno frutto.

“E vidi… mille migliaia lo servivano, diecimila miriadi stavano davanti a lui.” (Dn 7,10) : la liturgia del Rito Antico ti mette in quel fiume, la forma nuova, spesso, te lo racconta.

Io, per questo, lo dico senza puntare il dito: se puoi, vai al Rito Antico, ma non perché altrove Dio non sia, ma perché qui lo vedrai meglio e che il cuore ama più facilmente quando l’occhio vede.

Parte III: Introibo ad altare Dei

Con Pietro, verso l’Altare: Non fuggire ma vai dove l’Agnello si lascia vedere

Si può amare la Chiesa e restare intransigenti sulla forma del culto. Anzi: proprio perché la si ama, non si accetta che il suo respiro diventi corto. Non propongo crociate né fuga quanto, piuttosto, propongo una dimostrazione.

Prima premessa. Validità non è pienezza. Nessuno, tantomeno io, contesta la validità del Novus Ordo celebrato come la Chiesa comanda. Ma validità significa che Cristo opera; mentre pienezza significa che la forma educa. Lo stesso Mistero, in forme diverse, non educa allo stesso modo. Qui entra Ottaviani/Bacci: la lex orandi del NO, per come è scritta, non porta in alto per forza propria. E qui entra Luykx: la grammatica del rito, nella prassi comune, non sostiene l’ascesa. Non basta “voler bene” alla gente: occorre alzare l’Altare.

Seconda premessa. L’uomo impara coi sensi. La fede non è emotività, ma non è neppure un teorema. È visione e gusto: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore.” (Sal 34,9) Se i segni sono poveri, l’anima fa più fatica. E se i segni sono ambigui, l’anima impara l’ambiguità. Un popolo che non si inginocchia più, che canta se stesso, che riceve come si prende, che ascolta un discorso mentre si compie un sacrificio: che cosa imparerà? Non dico che “perderà la fede”, però dico che respirerà corto ed i polmoni del sacro, una volta ristretti, ci mettono anni a rifarsi.

Terza premessa. L’Apocalisse è la misura. Scott Hahn ci ha insegnato a guardare la Messa così: Trono, Agnello, silenzio, incenso, coppe, Nozze. Ogni parrocchia non può diventare un monastero, e su questo siamo d’accordo; ma ogni altare deve ricordarci che lì sta accadendo ciò che Giovanni vide. Se l’atto non ti porta là, se per arrivarci devi contrabbandare spiegazioni, se i segni sono deboli e ci si deve arrovellare l'intelligenza e l'immaginazione, allora non dire che è “colpa della gente”: la forma semplicemente non li educa.

Da tutto questo segue, e lo dico con Pietro e non contro Pietro, una conclusione schietta: la via migliore è il Rito Antico, non in quanto “vince la nostalgia”, ma perché vince la verità del segno; non in quanto “il NO è invalido” (non lo è), ma perché la sua forma non raggiunge la notazione “A”. E poiché il culto non è terapia ma santificazione, non va da cercarsi la soluzione “meno peggiore”: si cerca ciò che santifica di più in-formandoci nel ,modo il più naturale possibile per lo spirito umano, con riti e nomi raddrizzati.

“E se il TLM non c’è?” Mi si domanda, io rispondo: non fuggire. Non usare il dolore come preludio allo strappo. Onora il vescovo, prega per lui, supplica senza stancarti. Frequenta la Messa con la massima riverenza possibile; cerca quelle celebrazioni in cui il NO, pur con i suoi limiti, sia tenuto alto; resta docile e insieme esigente; insegna coi gesti: inginocchiati, taci, canta santo. Ma non smettere, se puoi, di cercare il Rito Antico. Esso non è una bandiera, ma è un’aria migliore per i polmoni dell’anima.

Vorrei chiudere con tre immagini, come tre candele davanti al tabernacolo.

La prima: un bambino che, alla sua prima Messa “antica”, guarda stupito il silenzio e sussurra alla madre: “Perché parlano piano?”. “Perché Dio ascolta”, risponde lei. Quella risposta vale un anno di catechismo.

La seconda: un vecchio sacerdote che, dopo anni di assemblee rumorose, torna a celebrare rivolto al Signore e confessa sottovoce: “Mi ero dimenticato di non essere io.” Quel giorno è tornato prete.

La terza: un’anima stanca che entra in chiesa, sente un Kyrie eleison cantato piano, che non si esibisce, e scoppia a piangere: non per malinconia, ma perché per la prima volta, da tempo, qualcuno ha chiesto perdono davvero.

Questo fa la Forma che è lo Spirito Santo che anima la Sua Chiesa: non si impone, né seduce, né chiacchera, ma converte.

E allora, senza rancore e senza tregua: andiamo dove la forma è piena. Il Signore ci aspetta sull’Altare. Introibo ad altare Dei.