Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’articolo di dom Pius Mary Noonan O.S.B., pubblicato il 7 febbraio sul sito Oriens Journal, in cui si esplora la vera natura della carità pastorale: la carità e il silenzio di fronte all’errore sono eterni nemici.
C’è un’idea sbagliata comune tra gli ecclesiastici moderni, secondo cui l’immagine della Chiesa con la mano tesa richiede che la mano sia vuota. Niente di più sbagliato. Quando la Chiesa va incontro al mondo, porta con sé la pienezza della verità. Non un elenco di proposte o di suggerimenti ponderati. Ma per far sì che il mondo si avvicini alla verità, la Chiesa deve superare gli errori che il mondo ha accettato.
L.V.
Qualche tempo fa, una donna protestante scrisse a un mio amico, esprimendo la sua preoccupazione che la Chiesa cattolica la mettesse sotto una maledizione. Il motivo? Dice di credere ad alcune cose che il Concilio di Trento ha anatemizzato. La parola anatema significa infatti «maledizione». Dire di qualcuno: «Che sia anatema» significa «Che sia maledetto».
Le origini di un linguaggio così forte si trovano nel Nuovo Testamento. San Paolo inizia la sua Epistola ai Galati con le parole forti: «Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» (Gal 1, 8-9). Nostro Signore stesso dichiara che nell’ultimo giorno sarà pronunciata una maledizione contro coloro che non hanno servito i bisogni degli altri: «Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25, 41)¹.
Ai giorni nostri, caratterizzati dalla tolleranza e dalla comprensione reciproca, molte persone – come la donna di cui sopra – hanno serie difficoltà ad ammettere che Dio avrebbe o addirittura potrebbe pronunciare una maledizione. Può sembrare incomprensibile che la Chiesa in epoche passate (fino al Concilio Vaticano I del 1869-1870) abbia invocato la maledizione di Dio su persone che non condividono la sua fede. O Dio e la Chiesa sono dei mostri, o c’è qualcos’altro che non ci è chiaro.
Un approccio nuovo
È noto che ai nostri giorni la Chiesa cattolica condanna raramente l’errore. Al Concilio Vaticano II, San Giovanni XXIII inaugurò questo cambiamento nel modo in cui viene assolto l’ufficio pastorale della Chiesa. È stato poi confermato da San Paolo VI e dai suoi successori, per i quali il ruolo della Chiesa non è principalmente quello di condannare l’errore, ma piuttosto di affermare semplicemente ciò che Cristo ha insegnato, lasciando all’individuo il compito di vederne (o non vederne) l’importanza e la rilevanza. Questo approccio si basa sul presupposto non dimostrato della buona fede di coloro che ascoltano la proclamazione della fede e sull’ulteriore presupposto non dimostrato che la buona fede sia sufficiente per la salvezza. Questo nuovo atteggiamento sembra essere stato racchiuso nella dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae nella seguente frase: «la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore»².
La maggior parte delle persone per bene è propensa a pensare che questo sia uno sviluppo positivo. La cooperazione tra Cattolici e protestanti è progredita notevolmente dopo il Concilio Vaticano II. Così come il dialogo religioso con ebrei, musulmani e altre religioni. Tuttavia, se è vero che la verità non può essere imposta con la forza, non ne consegue che la semplice spiegazione della verità sia convincente per tutti, soprattutto se non si compie alcuno sforzo per sfatare gli errori avversari. Anzi, questo può portare all’impressione che la verità sia un’opinione tra le tante. Inoltre, non bisogna mai sottovalutare la cecità dell’intelletto dovuta al peccato originale e personale.
Una cosa è considerare il Cattolicesimo come una religione tra le altre, un po’ come quando si va a una mostra e si trova un numero qualsiasi di stand che hanno qualcosa da offrire, e sta a noi scegliere quello che ci piace. Altra cosa è che il Cattolicesimo dica al mondo: «L’unica vera religione rivelata da Dio attraverso Gesù Cristo è la fede cattolica. Rifiutare la fede cattolica significa rifiutare Cristo. Rifiutare Cristo significa rifiutare Dio e la salvezza. È in gioco l’eternità».
Quest’ultimo approccio, che molti oggi considererebbero intollerante, era quello degli Apostoli, ed è senza dubbio ciò in cui credevano. Per fare solo un esempio tra i tanti, consideriamo le parole di San Paolo e San Barnaba ai Giudei di Antiochia che rifiutavano la loro predicazione: «Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani» (At 13, 46). Il rifiuto della predicazione degli Apostoli equivale all’atto di rifiutare la parola di Dio e, con essa, la sua grazia; è rifiutare i mezzi per ottenere la vita eterna. Quando San Paolo scrisse ai Corinzi: «Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema» (1 Cor 16, 22), non era retorico. Stava dicendo una verità ovvia per chiunque abbia letto il Vangelo. L’amore che Dio ci ha mostrato in Cristo Gesù non può rimanere senza risposta; rifiutare di rispondere significa cadere nella maledizione. Questa è la logica che ha portato la Chiesa a formulare anatemi contro la falsa dottrina fin dal primo Concilio ecumenico di Nicea, nel 325.
La via d’uscita più facile
Sembra che il fatto di non dover pronunciare anatemi renda più facile il lavoro dei dignitari ecclesiastici, perché significa che non devono essere così prudenti nelle loro parole. I commenti improvvisati sono sempre esistiti e nessuno in passato avrebbe ritenuto che un Papa fosse necessariamente ispirato quando li pronunciava. È una questione molto diversa quando si tratta di pubblicare su questioni di fede. Il nuovo genere di «esortazione» ideato da San Paolo VI e abbondantemente utilizzato dai Papi successivi lascia il Papa libero di scrivere come se stesse presentando un articolo a una rivista invece di insegnare in modo autorevole. Se non ha fatto i compiti a casa, o se usa questa piattaforma per promuovere le proprie idee invece di insegnare la verità affidata alla Chiesa, può certamente promuovere la confusione, anche se le persone informate sanno che non ci si aspetta da lui, in quel contesto, che proclami la fede in modo definitivo. Il genere stesso di «esortazione» non prevede un insegnamento definitivo sulla fede³.
Pronunciare anatemi, tuttavia, richiede sicuramente un serio lavoro a casa. Si tratta di impegnare la pienezza dell’ufficio di insegnamento della Chiesa. Non può essere presa alla leggera, né può essere aperta all’ambiguità. Ecco perché, fin dai primi secoli, troviamo interventi piuttosto radi del magistero supremo della Chiesa. La fede era stata tramandata in tutta la Cristianità ed era condivisa da tutti coloro che professavano Cristo. Quando qualcuno deviava dalla fede e iniziava a insegnare dottrine discutibili che disturbavano le anime, veniva portato al Vescovo locale e, se questo non bastava a risolvere la disputa, infine al Papa. Il suo ruolo era quello di approvare o condannare, e lo faceva esattamente. A differenza dell’attuale magistero loquace, la fede nei tempi passati era formulata in modo conciso per evitare fraintendimenti o manipolazioni. L’errore era condannato con l’anatema perché credere a una falsità, anche se in buona fede, non può che avere conseguenze disastrose, proprio come mangiare cibo avvelenato uccide, anche se ha un buon sapore e si è convinti che sia perfettamente sano. Solo la verità salva. Solo la verità conduce a Dio. Ecco perché l’autorità parlò con tanta chiarezza, pronunciando una solenne maledizione (anathema sit) sulle opinioni eterodosse. I fedeli sapevano allora senza ombra di dubbio ciò che dovevano credere e ciò che dovevano evitare. Non c’era confusione.
Pronunciare gli anatemi aveva anche un altro effetto essenziale: faceva capire che non tutto è buono e non ci si può fidare di tutti. Se nessuno è anatema, allora tutte le persone sono buone. Se nessuna dottrina è anatema, non c’è più differenza tra verità e falsità, tra bene e male. Allora si verifica ciò che il profeta Isaia aveva già avvertito: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro» (Is 5, 20). Quando nulla è anatema, la verità religiosa viene abbassata al livello di opinioni che si possono prendere o lasciare, e che in fin dei conti non hanno molta importanza. «Tu hai la tua verità, io ho la mia». A poco a poco, anche la Chiesa non sa più da che parte stare.
Il ricorso all’anatema, lungi dall’essere contrario alla carità, è anzi uno dei frutti più visibili della carità. Se «non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime»⁴, allora rendere chiaro ciò che esattamente dobbiamo credere e ciò che esattamente si oppone alla nostra fede e alla nostra vita morale, e farlo in modo tale da non lasciare spazio a dubbi, deve essere un’eminente dimostrazione di carità pastorale.
Un esperimento che deve finire
Cosa dire dunque del nuovo orientamento della Chiesa a partire all’incirca dal 1960? È stato un errore? È stato inutile? Un errore, sì. Futile, forse non del tutto. È certamente un bene per la Chiesa mostrare interesse per tutti i popoli e le loro credenze. Dopo tutto, è inviata a tutti loro per essere la loro maestra, e una buona maestra approva ciò che è buono e respinge ciò che è errato. Per questo motivo, i missionari cattolici si sono sempre impegnati a conoscere le credenze dei popoli a cui sono stati inviati, per approvare ciò che era buono e respingere ciò che non lo era. Le generazioni future potranno dire che quella che potremmo chiamare «la politica della mano tesa» ha dato a chi era nell’errore la possibilità di abbracciare la verità; ha dato a chi era separato dall’ordine della verità l’opportunità di abbracciarla salvando la faccia. E alcuni lo fecero. La Chiesa potrà dire di aver fatto ogni tentativo di amicizia con chi era nell’errore per illuminarlo con la verità salvifica. Il nocciolo del problema è, purtroppo, che la maggior parte dei leader della Chiesa ha inteso e continua a intendere la mano tesa come un’affermazione che non dobbiamo più sottolineare l’importanza della conversione alla verità e, soprattutto, che non dobbiamo più condannare l’errore. È questa parte dell’esperimento che deve finire.
Il motivo è semplice. L’intelletto umano ha bisogno di chiarezza. Ricorriamo a un’analogia. Nei tempi moderni, guidare un’automobile è un’esperienza comune. È anche un’esperienza estremamente pericolosa. È così facile uccidere le persone mentre si guida che è stato elaborato un codice molto conciso, che comprende regole che specificano ciò che si può o non si può fare quando si è al posto di guida. Non ci sono solo i semafori verdi per dire «vai», ma anche i semafori rossi per dire «fermati»; ci sono anche i segnali di precedenza che ci avvisano del traffico in arrivo a cui dobbiamo cedere; la strada stessa è delineata in modo tale da indicare non solo la direzione da seguire, ma anche i limiti oltre i quali non si è più sulla strada o nella corsia corretta e quindi in grave pericolo. Ignorare le regole significa mettere a repentaglio la vita. Così è nel nostro cammino verso la vita eterna. È essenziale che le persone siano in grado di sapere senza errori, e persino senza la possibilità di sbagliare, qual è la strada giusta per raggiungere la meta senza pericoli. Devono esserci segni che possiamo leggere e di cui possiamo fidarci. «I tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: “Questa è la strada, percorretela”, caso mai andiate a destra o a sinistra» (Is 30, 21).
Qualunque cosa ci riservi il futuro, possiamo aspettarci un ritorno dell’anatema. In realtà ci sono diversi indizi che fanno pensare che non sia lontano. Negli ultimi anni, alcuni Vescovi si sono avvicinati a pronunciarlo di nuovo. È vero che chi detiene l’autorità deve stare attento a non abusarne. Ma è altrettanto vero che non usarla significa abusarne. È giunto il momento di sentire chiare condanne dell’errore e del vizio da parte di chi detiene l’autorità.
La vera Chiesa di Cristo non si accontenta di dichiarare tale o tal altro insegnamento contrario al proprio. Chiunque può farlo. No, essa è la maestra divinamente designata delle nazioni e le spetta non solo illustrare le verità della fede in modo positivo, ma anche pronunciare un anatema contro tutto ciò che è contrario alla fede che è stata rivelata al mondo e contro tutte le deviazioni morali dalla legge di Dio. Altrimenti, agli occhi degli uomini, la Chiesa diventa solo un’altra istituzione tra le altre che le persone possono scegliere per motivi di preferenza personale, solo un altro stand nel pantheon moderno.
L’anatema tornerà proprio quando la Chiesa nel suo insieme recupererà una fede più profonda nella verità che ci è stata rivelata e un amore più ardente per il Salvatore che è morto per noi. Allora, mossi dalla vergogna per il modo in cui abbiamo permesso che la Sposa di Cristo, la Chiesa, fosse spogliata delle sue vesti regali, nuda e derisa dal mondo, i nostri pastori riprenderanno in mano la spada a doppio taglio della verità (cfr. Eb 4, 11). In quel giorno, Dio sorgerà e i suoi nemici si disperderanno (cfr. Sal 67).
¹ Anche se il termine «maledetto» in questo versetto non è anatema ma κατηραμένοι (kateramenoi), il significato è lo stesso: viene pronunciata una maledizione.
² Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1.
³ Questo, per inciso, è il motivo per cui San Paolo VI, quando diede l’insegnamento definitivo della Chiesa sulla contraccezione, non lo fece sotto forma di esortazione, ma di lettera enciclica (Humanae vitae). San Giovanni Paolo II ha seguito l’esempio rifiutando definitivamente la possibilità di avere donne sacerdote nella lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini.
⁴ San Paolo VI, Lettera enciclica Humanae vitae, 29.
Ottimo, chiaro e illuminante articolo, chi deve guidare nel cammino di fede deve conoscere bene 'la segnaletica', la Parola di Dio è il Códice della via verso la vita eterna, non conoscere, dimenticare, omettere... anche solo una di queste segnali, che comporta a una precisa azione da seguire, non è degno di chiamarsi 'guida' di nessuno, ma seriamente dovrebbe ravvedersi, 'riprendere il libro' o altrimenti cambiare mestiere.
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