«Tutte le ricchezze della civiltà cristiana sono compendiate in Nostro Signore Gesù Cristo come sua fonte unica, infinitamente perfetta (…). Il primo giorno di Cristo sulla terra fu senz’altro il primo giorno di un’era storica».
Luigi C.
Trascritto della rivista brasiliana Catolicismo, dicembre 1952, Plinio Corrêa de Oliveira
Visto in una più ampia prospettiva storica, il Santo Natale fu il primo giorno di vita della civiltà cristiana.
Vita, certo, allo stato embrionale e incipiente come i primi splendori del sole che nasce, ma che già conteneva in se stessa tutti gli elementi, incomparabilmente ricchi, della splendida maturità alla quale sarebbe stata destinata.
Infatti, se è vero che la civiltà è un fatto sociale che per esistere come tale non si può contentare neppure di influenzare un piccolo gruppo di persone ma deve irradiarsi sopra una collettività intera, non si può dire che la atmosfera soprannaturale, che emanava dal presepe di Betlemme sulle realtà circostanti, già stava formando una civiltà. Però, d’altro canto, se consideriamo che tutte le ricchezze della civiltà cristiana sono compendiate in Nostro Signore Gesù Cristo come sua fonte unica, infinitamente perfetta, e che la luce che cominciò a brillare sugli uomini a Betlemme si sarebbe diffusa sul mondo intero, trasformando le mentalità, abolendo e istituendo costumi, infondendo uno spirito nuovo a tutte le culture, unendo e innalzando ad un livello superiore i popoli, si può dire che il primo giorno di Cristo sulla terra fu senz’altro il primo giorno di un’era storica.
Chi lo avrebbe mai detto? Non c’è essere più debole di un bambino. Non c’è dimora più povera di una grotta. Non c’è culla più rudimentale di una mangiatoia. Tuttavia, quel bambino, in quella grotta, in quella mangiatoia, avrebbe trasformato il corso della Storia.
E che trasformazione! La più difficile di tutte, poiché si trattava di avviare gli uomini su quel cammino che più si contrappone alle loro inclinazioni, cioè verso una vita di austerità, di sacrificio, di croce.
Si trattava di invitare alla fede un mondo incancrenito dalle superstizioni, dal sincretismo religioso e dal più completo scetticismo. Si trattava di invitare alla giustizia un’umanità amante di tutte le iniquità, di chiamare al distacco un mondo che adorava il piacere in tutte le sue modalità.
Si trattava di attirare verso la purezza un mondo in cui tutte le depravazioni erano note, praticate, approvate.
Compito inattuabile dal mero punto di vista naturale, ma che la Divina Provvidenza cominciò a realizzare dal primo momento in cui Gesù arrivò su questa terra, e che la forza delle passioni umane non poteva contenere.
Dopo duemila anni dalla nascita di Cristo, sembra di essere tornati punto e daccapo.
L’adorazione dei beni materiali, lo sfrenato godimento dei piaceri, il dominio dispotico della forza bruta, le superstizioni, il sincretismo religioso, lo scetticismo e infine il neo-paganesimo in tutti i suoi aspetti hanno invaso nuovamente la terra.
Bestemmierebbe contro Nostro Signore Gesù Cristo chi affermasse che quest’inferno di confusione, di corruzione, di rivolta, di violenza che ci circonda è la civiltà cristiana, è il Regno di Cristo in terra. Nel mondo odierno soltanto qualche grande traccia della vecchia Cristianità sopravvive. Ma nella sua realtà piena e globale la civiltà cristiana ha cessato di esistere, e della grande luce soprannaturale che cominciò a rifulgere a Betlemme, pochi raggi brillano ancora nelle leggi, nei costumi, nelle istituzioni e nella cultura del secolo XX.
Perché tutto ciò?
L’azione di Cristo – di Lui che è tanto presente nei nostri tabernacoli quanto nella grotta di Betlemme – avrebbe forse perso in parte la sua efficacia? Evidentemente no.
E se la causa non risiede, e non può risiedere, in Lui, certamente risiede in noi uomini. Pur in un mondo profondamente corrotto, Nostro Signor Gesù Cristo e dopo di Lui la Chiesa nascente trovarono anime che si aprirono alla predicazione evangelica.
Oggi essa si estende per tutta la terra, ma cresce sorprendentemente il numero di quanti si rifiutano con ostinazione di ascoltare la parola di Dio, di quanti si collocano nel polo opposto a quello della Chiesa per le idee che professano e per i costumi che praticano, «Lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt.»
E’ questa e soltanto questa la causa della rovina della civiltà cristiana nel mondo. Se l’uomo non è, non vuole essere cattolico, come può essere cristiana la civiltà che nasce dalle sue mani?
Meraviglia che in tanti si chiedano qual è la causa della titanica crisi in cui il mondo si dibatte.
Basti pensare che se l’umanità adempisse alla legge di Dio, la crisi ipso facto cesserebbe di esistere. Il problema, dunque, è in noi, nel nostro libero arbitrio. E’ nel nostro intelletto che si chiude alla verità, nella nostra volontà che, sollecitata dalle passioni, rifiuta il bene.
La riforma dell’uomo è la riforma essenziale e indispensabile con la quale tutto si potrà fare, ma senza la quale tutto quanto si fa sarà inutile.
Questa è la grande verità da meditare nel Natale. Non basta chinarci verso il Bambin Gesù, intonando gli inni liturgici col cuore traboccante di gioia insieme al popolo fedele. Bisogna che ciascuno si prenda cura della propria riforma e della riforma del prossimo perché la crisi contemporanea trovi soluzione, perché la luce che si irradia dal presepio arrivi ad irradiarsi in tutto il mondo.
Ma come riuscirvi? Dove sono le risorse per ottenere tutto ciò? La domanda è ingenua. La nostra vittoria deriva, essenzialmente e prima di tutto, da Nostro Signore Gesù Cristo. Banche, media, organizzazioni, tutto questo è eccellente e abbiamo l’obbligo di utilizzarlo per la dilatazione del Regno di Dio. Però niente di questo è indispensabile.
Oppure, in altre parole, se la causa cattolica non conta su queste risorse, non per negligenza e mancanza di nostra generosità, senza la nostra colpa, il Divino Salvatore farà il necessario affinché si vinca egualmente.
Lo testimonia l’esempio dei primi secoli della Chiesa: essa non ha vinto malgrado l’unione di tutte le forze della terra contro di lei?
Fiducia in Nostro Signore Gesù Cristo, fiducia nel soprannaturale, ecco un’altra lezione preziosa che ci dà il Santo Natale.
* * *
E non concludiamo senza cogliere un altro insegnamento dolce come un favo di miele. Sì, abbiamo peccato. Sì, se sono immense le difficoltà per tornare indietro e per risalire la china, se le nostre colpe e le nostre infedeltà ci hanno attirato meritatamente la collera di Dio, non dimentichiamoci che, presso il presepio, abbiamo la clementissima mediatrice che non è giudice ma avvocata, che ha per noi tutta la compassione, tutta la tenerezza, tutta l’indulgenza della più perfetta delle madri.
Con gli occhi su Maria, ad Ella uniti e mercé la Sua intercessione, chiediamo in questo Natale l’unica grazia che realmente importa: il Regno di Dio in noi e attorno a noi.
Il resto ci sarà dato in sovrappiù.
Foto: Reliquie della Santa Culla – Basilica di Santa Maria Maggiore (Roma)
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