È da tempo che aspetto l’occasione per condividere con i lettori di MiL alcune riflessioni sulle attuali condizioni di quel vasto e variegato mondo che potremmo definire della “opposizione ecclesiale”, del quale anch’io mi sento parte: il mondo, per tanti versi eterogeneo, composto dai fedeli che non si riconoscono nel pensiero mainstream dell’attuale pontificato, non ne comprendono le linee portanti (anzi le biasimano, talora fino all’accusa di eresia), e hanno sviluppato molteplici modalità per prenderne le distanze e per rendere in qualche modo sopportabile una situazione che definire dolorosa è, purtroppo, eufemistico.
Quest’occasione mi è stata offerta dal recente endorsement in favore delle tesi di Minutella e di Cionci di padre Giorgio Maria Faré (MiL se ne è occupata qui e qui): non nel senso che voglia entrare nel merito delle opinioni che egli ha espresso – o meglio, abbracciato – ma perché ebbi un po’ di anni fa il piacere di conoscerlo e di concepire per lui una sincera stima, anche se poi non ho più avuto modo di incontrarlo. Mi sono dunque domandato perché, in conseguenza di quale avvelenamento del clima, anche menti brillanti e salde figure sacerdotali come p. Farè finiscano per lasciarsi travolgere da questa o quella fra le molteplici correnti che stanno portando alla deriva tanti buoni fedeli. Mi pare innegabile, infatti, che il numero di quanti aderiscono a teorie più o meno dichiaratamente sedevacantiste stia crescendo con impressionante velocità, ed anche negli ambiti in cui meno ce lo si aspetterebbe.
Nello stesso tempo, e parallelamente, chi, come il sottoscritto, pur angosciato dall’andazzo delle cose ecclesiali, dalla rivoluzione sinodale, dalle varie Amoris Laetitia e Fiducia supplicans, dall’iniqua persecuzione della liturgia tradizionale e di coloro che la praticano, non pensa che il Papa non sia tale o che Benedetto XVI abbia sempre regnato fino alla sua morte (lasciando la Chiesa in sede vacante dal 31 dicembre 2022), per quanto autorevole, come il sottoscritto non è, non riesce a far sentire la propria voce in termini adeguatamente convincenti, né a rappresentare un punto di riferimento per i fedeli sempre più disorientati. Sicché mi sembra innegabile che, sotto questo profilo, ci sia, in quella che mi pare la pars sanior della “opposizione ecclesiale”, una qualche carenza, non certo intellettuale o culturale, ma, per dir così, divulgativa e comunicativa, se non addirittura pastorale (e qui mi riferisco, ovviamente, per lo più ai sacerdoti e ai Vescovi; salve sempre, ancor più ovviamente, tutte le lodevoli, ma scarse, eccezioni); una sorta di insufficiente capacità di intervenire in modo davvero incisivo nel dibattito in corso, di orientarlo verso esiti sicuri e, soprattutto, di dare ai fedeli dell’opposizione le risposte di cui hanno bisogno e che, credo, abbiano il diritto di ricevere.
Risposte adeguate agli interrogativi che li tormentano, e che conosciamo tutti, anche se raramente vengono formulati in termini espliciti: com’è possibile che il Papa, i Cardinali, i Vescovi, insegnino – o cerchino di insegnare – tesi palesemente eterodosse, se non peggio? Perché favoriscono, nei fatti, le peggiori devianze della modernità? Perché i buoni sono perseguitati, i cattivi premiati? Perché la Chiesa sembra sul punto di disgregarsi definitivamente, e proprio per effetto dell’azione pastorale dei suoi vertici? E così via…
Ebbene: a fronte delle tante teorie che sono state elaborate per descrivere la situazione corrente, la pars sanior di cui dicevo si è sinora prevalentemente limitata alla confutazione, allo smontaggio delle tesi sedevacantiste e simili. Si è trattato e si tratta certamente di un’attività necessaria, meritoria, sovente di alto livello culturale e intellettuale; ma, diciamolo con franchezza, non bastevole. Il popolo fedele, sconcertato e sbandato, specie se culturalmente un po’ debole, non ha bisogno di confutazioni, ma di spiegazioni: quelle che gli offrono, spesso a buon mercato, senza solide basi, i vari maître à penser del piccolo resto.
Sul versante delle spiegazioni, la pars sanior mi sembra davvero carente. Qualcuna ne viene talora proposta, ma con tali prudenti velature da richiedere una particolare capacità ermeneutica perché il discorso risulti comprensibile – e, comunque, non a tutti. Molto spesso si tratta di spiegazioni parziali o superficiali, collocate sul piano degli equilibri politici intraecclesiali o delle intemperanze caratteriali. Ma la questione vera, quella che concerne il perché la Chiesa si trovi in questa situazione disastrosa, perché i suoi vertici siano così palesemente devianti rispetto all’ortodossia cattolica, perché il Cielo permetta tutto ciò; questa questione viene quasi sempre dribblata. Si teme, evidentemente, di affrontarla di petto: forse perché ciò richiede una franchezza ed una parresia critica, per di più nei confronti dei massimi vertici ecclesiali, per la quale non sempre si trova il coraggio – o, più banalmente, la capacità – di dire la verità con il necessario rispetto formale e sostanziale.
In tal modo, però, non si fa il bene dei più deboli; al contrario, li si abbandona a leadership variamente improbabili, ed all’adesione alle tesi più inconcludenti, anche se più affascinanti – nonché, soprattutto, più tranquillizzanti. Se, da un lato, è molto più semplice sostenere che un’autorità non è tale, piuttosto che chiarire, anche sotto il profilo teologico, perché essa possa risultare concretamente infedele alla sua missione, e perché ciò possa darsi nella vita della Chiesa senza che ne venga meno l’indefettibilità, dall’altro, risulta troppo rischioso, troppo esposto all’ira di chi può vendicarsi, dare quel chiarimento così necessario, spiegare esplicitamente perché si possa detenere validamente un potere, anche il potere massimo, ma esercitarlo così malamente da suscitare il fondato scandalo dei fedeli: ciò richiederebbe di dire apertamente, senza giri di parole, che l’autorità sta effettivamente tralignando, che il suo apparente magistero è falso.
Al fondo di tutto, sta che il disagio cui bisogna far fronte è un disagio morale e spirituale, piuttosto che intellettuale: ecco perché ne risulta talora colpito anche chi, per eccellenza di cultura e di dottrina, dovrebbe esserne immune; ecco perché non è più sufficiente calmierarlo con la sola confutazione delle teorie erronee. È sul piano morale e spirituale che bisogna offrire le risposte attese; in difetto, non possiamo stupirci del crescente successo dei loro succedanei, che, per quanto inconsistenti proprio sotto tali profili, danno un qualche sollievo psicologico a tanti fedeli. Essi, in mancanza di meglio, vi si aggrappano come ad una ciambella di salvataggio.
Mi fermo qui. A questo punto, infatti, dovrei iniziare a proporre io la spiegazione di cui lamento la mancanza: ma è chiaro a tutti che, in merito, non ho alcun titolo né alcuna autorevolezza. Mi limiterò, dunque, a dire in che modo affronto il mio personale disagio, perché anch’io non mi ritengo appagato dalle confutazioni cui ho ripetutamente fatto cenno, e che pure sul piano intellettuale condivido.
Lo affronto così: pensando a ciò che accade come ad un castigo, che la Provvidenza infligge alla Chiesa per metterla faccia a faccia con i monumentali errori pastorali che ha commesso negli ultimi decenni, con il colpevole e presuntuoso abbandono della Tradizione, con la pretesa di aver conseguito un’intelligenza della fede qualitativamente superiore a qualunque altra epoca… insomma, per punirla del colossale peccato di orgoglio compiuto dai suoi membri - pastori e gregge (salve sempre le rare eccezioni) - nell’epoca moderna. Si tratta di un castigo: come tale destinato alla purificazione e alla redenzione di chi lo riceve. Per questo, quanto a me, traggo da questa convinzione il conforto spirituale di cui, come tutti, anch’io ho urgente bisogno.
Enrico Roccagiachini