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mercoledì 28 agosto 2024

In che modo il personalismo filosofico ha contribuito alla crisi del cattolicesimo contemporaneo?

Per gli appassionati di filosofia e teologia.
Luigi C.


Con il personalismo cambia il concetto di “persona”

Mounier, pensatore di riferimento del personalismo, anzi proprio colui che ha coniato il termine “personalismo”, dice chiaramente che non si può dare alcuna definizione precisa della persona. Egli scrive nel suo libro più rappresentativo, che s’intitola appunto Il personalismo: “Ci si aspetterebbe che il personalismo cominciasse con una definizione della persona. Ma si possono definire solo gli oggetti posti fuori dell’uomo, e che l’uomo può porsi sotto gli occhi. Invece la persona non è un oggetto: essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come oggetto.”[1]

Dunque, se non si può dare una precisa definizione di persona, vuol dire che la metafisica classica, quella che ci piace definire come “filosofia naturale e cristiana”, sbaglia. Lo stesso Severino Boezio (475-525) avrebbe sbagliato quando afferma che la persona è: “Rationalis naturae individua substantia”, cioè: “Sostanza individuale di natura razionale”, dove la persona è data dal suo essere sostanza completa, individuale e soprattutto capace di ragione. No. Mounier e i personalisti non sono d’accordo. Per loro la persona sarebbe un insieme di emanazioni e manifestazioni psicologiche, in cui sarebbero centrali i sentimenti, le emozioni, gli stati d’animo…

Vi chiederete: perché una convinzione di questo tipo ha influenzato l’attuale crisi della Chiesa e della fede cattolica? Per rispondere ricordiamo ciò che il modernismo e il neo-modernismo teologici (che sono la vera “anima” dell’attuale crisi) affermano in merito alla fede. Essa non deve essere più concepita come un assenso dell’intelletto alle verità rivelate rivelate, bensì sarebbe solo una forma di sentimento religioso che scaturirebbe dal fondo della sub-coscienza.

Oggi il cattolico “ragiona” paradossalmente togliendo di mezzo la ragione nell’atto di fede. Questa (la fede) sarebbe solo un credere “cieco”, ancor meglio: un credere nell’assurdo. Anzi, ci si convince che più si crede nell’assurdo e più l’atto di fede sarebbe meritevole. Ma questo non è un ragionare cattolico: è un ragionare da buon protestante. Insomma, essere cattolici significherebbe soprattutto “sentirsi” tali, non essere intelligentemente convinti di esserlo. Se si chiedesse a molti cattolici oggi: Perché lo sei? La risposta con ogni probabilità sarebbe di questo tipo: Sono cattolico perché mi sento di esserlo. Si tratta, insomma, di una riduzione della fede ad “esperienza”. Ovviamente non si può negare che la fede sia anche uno sperimentare la vita con Dio, ma un conto è dire che la verità giudica l’esperienza, altro è che sarebbe l’esperienza a giudicare la verità. Se bastasse il “sentirsi bene” per giustificare la propria fede, allora come la mettiamo con il musulmano che può dirci: Anch’io mi sento bene nell’essere musulmano? E infatti, proprio questa riduzione della fede ad “esperienza” ha aperto ulteriormente le porte al sincretismo e al relativismo religiosi sempre più promossi dai modelli aperturisti del cosiddetto “dialogo interreligioso”.

L’amore si deve auto-giudicare

Un altro punto in cui l’influenza del Personalismo è evidente nella crisi attuale del cattolicesimo contemporaneo è quello relativo alla concezione dell’amore. Per capirlo, dobbiamo sempre partire dalla concezione “fluida” della persona che fa sì che questa venga vista prevalentemente sotto l’aspetto psicologico. Anche in questo caso va fatta una precisazione: un conto è dire che bisognerebbe dare importanza anche alla dimensione psicologica, altro è pretendere di definire la persona solo sotto l’aspetto psicologico. Se si cade in questo errore (la persona è prevalentemente dimensione psicologica), diviene consequenziale che l’amore, che è una passione, non debba più sottostare all’impero della ragione per essere da essa giudicata, bensì diventa criterio a sé. Facciamo parlare Mounier: (…) l’atto di amore è la più salda certezza dell’uomo, il cogito esistenziale irrefutabile: Io amo, quindi l’essere è, e la vita vale (la pena di essere vissuta).”[2] Ecco spiegato perché oggi tanti cattolici non si sentono più in dovere di correggere chi vive in stato di peccato grave a causa di condizioni di vita come convivenze extraconiugali o omosessuali. Non sono pochi i cattolici (anche praticanti) che commentano casi di questo tipo dicendo: Che male c’è? Se si amano…

La fede ridotta ad “incontro”

Come abbiamo detto prima, la concezione autenticamente cattolica di fede è questa: assenso dell’intelletto alle verità rivelate. Dunque, c’è l’assenso e c’è il coinvolgimento dell’intelligenza a Dio che si rivela. E’ evidente che la fede si finalizzi con il vivere con Dio, con lo sceglierLo, con l’abbracciarLo; ma tutto questo è l’esito di un assenso, di un capire, di un aderire a Lui che si rivela. Nel neo-modernismo attuale, invece, l’incontro non è più l’esito logico dell’atto di fede, bensì ne diventa il tutto esclusivo; causando in tal modo quella deriva esperenzialista della fede di cui abbiamo parlato prima. Questa convinzione, purtroppo, è stata portata avanti anche da realtà tendenzialmente positive (ma guarda caso influenzate anch’esse dal personalismo) che pur volevano inizialmente contrastare una certa deriva neo-modernista. Pensiamo, per esempio, alla teologia di don Luigi Giussani, fondatore del movimento di Comunione e Liberazione. Leggete attentamente queste sue parole, tratte dal suo All’origine dell’esperienza cristiana: “L’oggetto primo della mia fede non consiste in una lista di verità, intelligibili o non. (…) è l’abbraccio di una Persona vivente (…) E’ questo l’essenziale, l’oggetto rivelato non è concepito come una serie di proposizioni (…).”[3]

Oblio dell’apologetica

La dimenticanza dell’apologetica che ha caratterizzato i decenni del post-concilio non è che la conseguenza di tutto questo. I catechismi di una volta erano di una chiarezza sublime, una chiarezza che faceva ben capire la differenza tra verità ed errore. Poi non si è capito più nulla (nel senso letterale del termine), perché non si è voluto far capire più nulla. I catechismi moderni (pardon: modernisti), e non ci riferiamo solo a quelli folli della teologia olandese, presentano tutto in maniera vaga, intellettualista (intellettualismo che è il contrario dell’intelligenza) e in maniera sentimentale. Proprio perché l’apologetica doveva essere fatta fuori, e lo doveva essere per favorire la deformazione del concetto di fede di cui abbiamo parlato.

Sopravvalutazione della coscienza nell’atto morale

Altro punto in cui il personalismo ha dato un contributo significativo alla crisi del cattolicesimo è stato nell’ambito della teologia morale. Quello strano concetto di persona come insieme di emanazioni psicologiche, in cui l’intelligenza passa in secondo piano, si è ripercosso sul concetto di coscienza. Questa da “luogo” bisognoso di essere illuminato dalla verità per riconoscere cosa sia bene e cosa sia male, è sempre più diventato “luogo” decisionale del bene e del male. A questo poi si aggiunge che nell’ambito del personalismo la persona non potrebbe prescindere dalla situazione storica e sociale in cui si trova, situazione che non si limiterebbe ad influenzarla, ma addirittura a determinarla. Jean Lecroix, uno degli esponenti più rappresentativi del personalismo, scrive: “Il Personalismo vorrebbe in qualche modo porsi come successore delle filosofie dell’io per rituffarle nel mondo fisico e sociale.”[4]

Oblio della mortificazione e delle virtù passive a favore dell’attivismo

C’è un punto del personalismo che finora non abbiamo toccato, ovvero che la persona si realizzerebbe aprendosi necessariamente agli altri. Anche qui va fatta una precisazione. Un conto è dire che la persona è un essere naturalmente sociale e che ha l’obbligo morale di aprirsi ai bisogni altrui, altro è dire che ontologicamente necessita di questo. Una tale affermazione, infatti, fa della relazione la sostanza stessa della persona rendendola ulteriormente evanescente. Ebbene, tale convinzione si è riflettuta nel modo di pensare di molti cattolici i quali ormai sembrano essere convinti dell’inutilità, se non addirittura della dannosità, delle virtù cosiddette “passive”: mortificazione, digiuno, temperanza, castità… A che servono le suore di clausura? Meglio quelle che stanno per strada ad aiutare i poveri! Facciamo parlare ancora Mounier: “(…) Spesso questa inquietante preoccupazione di purezza esprime anche un narcisismo superiore, una preoccupazione egocentrica d’integrità individuale, staccata dal dramma della collettività; (…).”[5]

La Chiesa nella sua dimensione orizzontale

E veniamo all’ultimo punto: come il personalismo ha influito sul concetto di Chiesa così come è “evoluta” (pardon: “involuta”) nel dominante neo-modernismo. Abbiamo detto che nella concezione di persona di Mounier e soci la relazione assurge a sostanza, pertanto l’apertura agli altri diventa l’essere stesso della persona. Se è così, la Chiesa finisce con l’essere essenzialmente considerata come “comunità” e non più come “Mistero della presenza di Cristo nella storia degli uomini”. Ciò che rende la Chiesa “Chiesa” non sarebbe più Cristo ma l’unione degli uomini. Ecco spiegato perché oggi si pensa che il problema più grave non è rifiutare Cristo con il peccato, bensì tutto ciò che potrebbe minacciare la convivenza pacifica tra gli uomini (i conflitti, le guerre…) o la loro salute fisica (inquinamento ambientale, malattie…). Ma non solo: se la Chiesa è prevalentemente “comunità”, se la Chiesa è soprattutto “mistero dell’apertura all’altro” piuttosto che unione con Cristo, allora tutti gli uomini, in quanto uomini, sono automaticamente figli di Dio e già sarebbero in un certo qual modo “salvati”. E’ il “cristianesimo anonimo” di Karl Rahner.

[1] E.Mounier, Il personalismo, Garzanti, Milano 1952, p.7.

[2] Ivi, p.37.

[3] L.Giusssani, All’origine dell’esperienza cristiana, Jaca Book, Milano 1988, p.56.

[4] Cit. in G.Reale-D.Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, vol.3, Prima Edizione, La Scuola, Brescia 1983, p.547.

[5] E.Mounier, Il personalismo, cit., pp.106-107.

7 commenti:

  1. ormai è impossibile parlare di verità o di razionalità, nessuno è più disposto a capire, e men che meno ad ascoltare; d'obbligo il silenzio.

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  2. E in codesta linea si iscrive il pesante interventismo delle gerarchie in politica, senza pudore di ingerirsi ad capocchiam in temi che non sono assolutamente di loro pertinenza.

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  3. Non c'entra niente la citazione mutila e a sproposito di don Giussani (il quale era consapevole che le sue impostazioni sarebbero state sospettate di modernismo, ma se ne infischiava, dato che non era modernista). Come anche papa Benedetto XVI ha spiegato, all'origine della vita cristiana non c'è una teoria o un'ideologia ma l'incontro con Cristo. E' così. Il resto sono solo pliniate ammuffite.

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    1. Rispettiamo mons. Giussani, ma se non le piacciono le cd. "pliniate" (si riferisce forse a Plinio Correa de Oliveira?), forse non è il suo blog. Vada a leggere da altre parti

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  4. Essendo stata di c.l. per trent’anni, e ringraziando Dio di molte cose che ho vissuto lì, sarei cieca se non vedessi descritti dall’articolo, la sostanza che regge e reggeva il percorso. Trattengo il buono, salvo la buona fede di Giussani ma non riconoscere i malintesi sostanziali mi sembra scorretto. La lealtà intellettuale che ho imparato in c.l., “tenere presente tutti gli aspetti del reale”, continuano ad essere dei punti fermi , mi spiace che non lo siano spesso anche per i ciellini.

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  5. "...che l’amore, che è una passione...".

    El amor no es sólo ni principalmente una pasión. El amor como operación de la voluntad, en efecto, no es una pasión.

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  6. "L’oggetto primo della mia fede...".

    Si se entiende como el objeto formal "quo", conforme lo explica la escuela tomista, es verdadero: este es Dios revelante: "credere Deo", no una serie de verdades.

    Pero incluso en lo creído cabría distinguir entre objeto material en sentido estricto (todas las verdades reveladas, cuya importancia, evidentemente, no hay que negar) y objeto formal "quod", lo principal en lo creído, que es Dios mismo: "credere Deum".

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