La grande architettura cristiana.
Luigi C.
Schola Palatina, Maddalena della Somaglia | 20 Dicembre 2023
Incastonato tra colli e valli dell’alta Tuscia laziale, sorge un piccolo gioiello medievale: Acquapendente. Le prime tracce di un centro abitato sembrano risalire ad epoca etrusca, ma i più antichi documenti scritti sono del IX secolo: Arisa, il nome del piccolo borgo a quei tempi, era situato sulla via Francigena, percorsa continuamente da pellegrini e commercianti in viaggio verso Roma. Nel X secolo, l’imperatore Ottone I, in alcuni documenti, cita Acquapendente come un piccolo borgo che ritroviamo, un secolo dopo, tra il 1077 e il 1080, donato a papa Gregorio VII dalla contessa Matilde di Canossa, il cui vasto feudo dall’Emilia, passando per la Toscana, comprendeva tutti i territori dell’alto Lazio fino al lago di Bolsena compreso.
La festa dei “Pugnaloni”
Non appena eletto imperatore nel 1155, Federico Barbarossa si impossessò della cittadina di Acquapendente, punto strategico per la sua posizione, e fece costruire una fortezza che dominava la città. Poco durò l’occupazione della cittadina da parte del Barbarossa, perché gli abitanti, restii ad una dominazione che, in quanto sudditi del Papa, non riconoscevano, si ribellarono nel 1166 e rasero al suolo il castello, di cui oggi rimane solo una torre.
Secondo la tradizione, l’avallo all’insurrezione venne dato dalla Madonna stessa che il 15 maggio di quell’anno, vista l’incertezza degli abitanti sul da farsi, li confermò nel loro intento, facendo fiorire davanti a due contadini un ciliegio completamente secco. Raggiunto dalla notizia del miracolo, papa Alessandro III incoraggiò i cittadini di Acquapendente e inviò truppe pontificie per sostenerli.
Ancora oggi, il 15 di maggio, si festeggia ogni anno l’anniversario del miracolo e della successiva vittoria con la festa dei “Pugnaloni”, durante la quale la statua della Madonna, intagliata nel legno del tronco di ciliegio che fiorì miracolosamente, viene portata in processione per l’intero paese.
San Tommaso d’Aquino
Ad Acquapendente è legato anche un episodio della vita di san Tommaso d’Aquino, raccontato dal suo primo biografo, Guglielmo da Tocco. La madre di Tommaso, «turbata» dalla sua scelta di diventare monaco domenicano, «inviò uno speciale messaggero ai suoi figli, che si trovavano al seguito dell’imperatore Federico nel castello di Acquapendente in Toscana, ordinando loro, con il pretesto della benedizione materna, di mettere le mani su Tommaso […] e di riportarglielo sotto buona scorta». E così avvenne: con il beneplacito dell’imperatore Federico II di Svevia, i fratelli inviarono sentinelle per cercare Tommaso e, trovatolo non lontano con altri quattro frati «mentre faceva sosta presso una sorgente», non proprio con le buone, congedarono i confratelli domenicani e lo spedirono, «sotto buona scorta» dalla madre. Era la primavera del 1244. Dopo poco più di un anno, nell’estate del 1245, vista la determinazione con la quale Tommaso difendeva la sua vocazione, gli fu permesso di abbracciarla pienamente, entrando nel convento dei Domenicani di Napoli.
La chiesa di San Francesco di Acquapendente
Per chi entra dal nord, lungo l’antico cammino della via Francigena, si passa attraverso la porta della Ripa, ai piedi di un’antica fortezza fatta costruire nel XIII secolo per respingere i continui assedi provenienti dalle città di Orvieto e Siena. Questa fortezza, nel 1333, diventò un monastero contemplativo di Clarisse, tutt’ora esistente e dedicato a santa Chiara. Entrando dalla porta a Ripa e percorrendo la via principale che attraversa tutto il borgo, si trova subito sulla sinistra il bellissimo complesso dedicato a san Francesco con una grande chiesa del XII secolo, un campanile a tre livelli degli inizi del 1500, un ampio convento e chiostro che ospitarono per secoli una comunità di frati minori. La chiesa ebbe sempre un ruolo importante nella vita della piccola cittadina, perché in essa venivano elette le cariche pubbliche quali i Priori e i Gonfalonieri. Il convento, come spesso succede oggi, è stato abbandonato dai frati e ceduto al Comune, che lo ha trasformato, insieme al chiostro, in zona espositiva.
Varie opere d’arte sono ancora custodite tra la chiesa e la sacrestia, ma forse quelle che colpiscono di più sono le statue dei dodici Apostoli, lungo le pareti laterali, e quelle di san Giuseppe e di san Giovanni Battista, che incorniciano il presbiterio. Non è tanto per la fama dello scultore, Giovanni Bulgarini da Piancastagnaio (tra il 1751 e il 1752), non particolarmente conosciuto, quanto per la loro imponenza e armonia in tutto il complesso. Ogni coppia di apostoli vegliava su di un altare, lungo l’abside, così da averne tre da un lato e tre dall’altro: su ogni altare una statua, un dipinto, un Crocifisso per la venerazione dei fedeli.
Purtroppo oggi questi sei altari non esistono più perché la furia iconoclasta del post-Concilio li ha distrutti. Rimangono le pale, rimangono gli Apostoli, ma defraudati dell’intento con il quale erano stati realizzati: essere spettatori, vigili custodi del Santo Sacrificio della Messa che si celebrava su quegli altari e che ogni volta rinnova quanto si compì sul Calvario, sacrificio supremo del nostro Redentore al quale vari Apostoli personalmente assistettero.
La basilica del Santo Sepolcro
Varie altre chiese e conventi sorgono nella piccola cittadina: la più grande è la concattedrale del Santo Sepolcro, dell’anno 1000 circa, che ospita la prima riproduzione del Sepolcro di Nostro Signore a Gerusalemme; la chiesa di Santa Vittoria, la più antica perché già nominata nei documenti del IX secolo e la più importante fino all’erezione della concattedrale nel 1649; la chiesa di Santa Caterina e la chiesa di Sant’Agostino con annesso convento (espropriato con un decreto della Repubblica Romana nel 1798 e oggi adibito a scuola elementare e uffici pubblici); la chiesa di San Giovanni risalente al 1149 con il convento, che domina tutta la città, fatto costruire da Ascanio Sforza nel 1535, divenuto il seminario della diocesi nel 1818 e attualmente adibito a casa di riposo per anziani; la chiesa di San Lorenzo e quella di Santo Stefano, nella piazza principale di Acquapendente.
Come in quasi tutte le città, borghi, paesi, soprattutto dopo il Risorgimento, la piazza principale è anche il centro civile della comunità: dove prima dominava la cattedrale, il duomo o la parrocchia, adesso domina il municipio. Acquapendente non poteva essere da meno e, dopo l’unità d’Italia, venne decisa la distruzione del vecchio municipio medioevale per costruire un imponente palazzo comunale, che ha stravolto l’armonia della piazza. La piazza è dedicata al cittadino forse più illustre, nato ad Acquapendente nel 1533: il medico chirurgo Girolamo Fabrizi, che divenne un importante anatomista e fisiologo dell’università di Padova, autore di vari libri scientifici e fondatore di una scuola di medici e anatomisti.
I Palazzi di Acquapendente
Tanti sono i palazzetti nobiliari sparsi in tutto il borgo, quasi tutti trasformati in appartamenti o divenuti luoghi pubblici. Un’attenzione particolare va rivolta però al palazzo Oliva, poi diventato palazzo vescovile e attualmente museo della città. Nel 1649, papa Innocenzo X decise, in seguito alla distruzione di Castro, di spostare la sede vescovile ad Acquapendente ed acquistò il palazzo Oliva per farne la sede. Per oltre trecento anni il palazzo è servito a questo scopo, ma nel 1985, con l’accorpamento di tante diocesi italiane, dovuto al drastico calo di vocazioni religiose e all’altrettanto calo di fedeli praticanti, venne abolita la diocesi di Acquapendente, che fu accorpata a quella di Viterbo. Illustre ospite che soggiornò varie volte nel palazzo tra il 1804 e il 1815, accolto dal vescovo Florido Pierleoni, fu papa Pio VII, in fuga da Napoleone e da Murat, come ricorda un’iscrizione dedicatoria su marmo. Lo stesso vescovo Pierleoni dovette subire l’esilio in Francia tra il 1810 e il 1814 a seguito del Santo Padre. Acquapendente trasmette ancora queste memorie…
FONTE: Radici Cristiane n. 159
FONTE IMMAGINE: Viaggiando Italia (https://www.viaggiando-italia.it)