In questa quarta domenica di Quaresima, la liturgia papale ci propone la benedizione della rosa d’oro.
Questo antico rito risale all’XI secolo ed in esso il Pontefice è solito benedire una rosa d’oro che - fino all’abolizione della Corte pontificia (1968), a mezzo di un Principe romano al quale veniva conferita la carica di Latore della Rosa d’Oro - sarà poi consegnata, in segno di speciale distinzione, a sovrani, capi di Stato e santuari.
Ultimo sovrano a ricevere tale dono fu il Doge di Venezia Francesco Loredan nel 1759, dopodiché esso fu riservato alle sole regine e nobildonne: le ultime furono la Principessa Elena del Montenegro, Regina consorte d’Italia (1930 e 1937) e la Granduchessa Carlotta del Lussemburgo (1956).
Da San Paolo VI tale distinzione è stata donata solo a chiese e a santuari.
Vi proponiamo l’affascinante storia di questo rito, tratta dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger, monumentale opera apparsa per la prima volta in Francia nel 1841-66 e in Italia verso la metà degli anni Cinquanta.
L.V.
La rosa d’oro
La benedizione della rosa è ancora oggi uno dei particolari riti della quarta domenica di Quaresima, che per tale ragione viene anche chiamata “domenica della rosa”. I graziosi pensieri che ispira questo fiore sono in armonia con i sentimenti che oggi la Chiesa vuole infondere neisuoi figli, ai quali la gioiosa Pasqua presto aprirà una primavera spirituale, in confronto della quale la primavera della natura non è che una pallida idea. Anche questa istituzione risale ai secoli più lontani. La fondò san Leone IX, nel 1049, nell’abbazia di Santa Croce di Woffenheim; e ci resta un sermone sulla rosa d’oro, che Innocenzo III pronunciò quel giorno nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme¹.
Nel Medio Evo, quando il Papa risiedeva ancora al Laterano, dopo aver benedetto la rosa, seguiva in corteo tutto il sacro collegio, verso la chiesa della Stazione [basilica di Santa Croce in Gerusalemme], portando in testa la mitra e in mano questo fiore simbolico. Giunto nella basilica, pronunciava un discorso sui misteri rappresentati dalla rosa per la sua bellezza, il suo colore e il suo profumo. Quindi si celebrava la Messa, terminata la quale il pontefice ritornava al palazzo lateranense, attraversando la pianura che separa le due basiliche, sempre con la rosa in mano. Arrivato alla soglia del palazzo, se nel corteo era presente un principe, toccava lui reggere la staffa e aiutare il pontefice a smontare dal cavallo; in ricompensa della sua cortesia riceveva la rosa, oggetto di tanto onore.
Ai nostri giorni la funzione non è più così imponente; ma ne ha conservati tutti i principali riti. Il Papa benedice la rosa d’oro nella Sala dei Paramenti, la unge col sacro crisma e sopra vi spande una polvere profumata, conforme il rito d’un tempo; e quando arriva il momento della Messa solenne, entra nella cappella del palazzo, tenendo il fiore fra le mani. Durante il santo sacrificio la rosa viene posta sull’altare e fissata sopra un rosaio d’oro fatto a questo scopo; finalmente, terminata la Messa, la si porta al pontefice, il quale all’uscire dalla cappella la tiene sempre tra le mani fino alla Sala dei Paramenti. Molto spesso il Papa suole inviare la rosa a qualche principe o principessa che intende onorare; altre volte è una città oppure una chiesa che viene fatta oggetto di una tale distinzione.
Benedizione della rosa d’oro
Daremo qui la traduzione della bella preghiera con la quale il sovrano pontefice benedice la rosa d’oro: essa aiuterà i nostri lettori a meglio penetrare il mistero di questa cerimonia, che aggiunge tanto splendore alla quarta domenica di Quaresima:
O Dio, che tutto hai creato con la tua parola e la tua potenza, e che ogni cosa governi con la tua volontà, tu che sei la gioia e l’allegrezza di tutti i fedeli; supplichiamo la tua maestà a voler benedire e santificare questa rosa dall’aspetto e dal profumo così gradevoli, che noi dobbiamo oggi portare tra le mani, in segno di gioia spirituale: affinché il popolo a te consacrato, strappato al giogo della schiavitù di Babilonia con la grazia del tuo figlio unigenito, gloria e allegrezza d’Israele, esprima con sincero cuore le gioie della Gerusalemme di lassù, nostra madre. E come la tua Chiesa, alla vista di questo simbolo, sussulta di felicità per la gloria del nome tuo, concedigli, o Signore, un appagamento vero e perfetto. Gradisci la sua devozione, rimetti i suoi peccati, aumentane la fede; abbatti i suoi ostacoli ed accordagli ogni bene: affinché la medesima Chiesa ti offra il frutto delle sue buone opere, camminando dietro ai profumi di questo fiore, il quale, uscito dalla pianta di Iesse, è misticamente chiamato il fiore dei campi e il giglio delle convalli; e che esso meriti di godere un giorno la gioia senza fine in seno alla celeste gloria, in compagnia di tutti i santi, col fiore divino che vive e regna teco, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
¹ Cfr. PL 217, 393.
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