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giovedì 25 gennaio 2024

13ª conferenza del Centre international d’Études liturgiques: la quarta relazione del prof. Manfred Hauke

Dopo la pausa per il pranzo, sono ripresi i lavori a Roma, presso l’Istituto Maria Santissima Bambina, della 13ª conferenza del Centre international d’Études liturgiques su La concelebrazione e le Messe private nella storia della liturgia e la Redazione di MiL-Messainlatino.it continua la sua cronaca diretta.
La quarta relazione è affidata al prof. Manfred Hauke, che ha trattato il tema: I frutti sacramentali della concelebrazione. Valutazione sistematica del dibattito contemporaneo.
Di seguito vi proponiamo il testo integrale dell'intervento, tradotto in lingua italiana a cura degli organizzatori.

L.V.

I frutti sacramentali della concelebrazione. Valutazione sistematica del dibattito contemporaneo

(NB: il testo seguente è un estratto dagli ultimi tre capitoli della breve monografia del sottoscritto “Intorno a questo altare. Le insidie della concelebrazione diffusa”, Chorabooks, Hong Kong 2023, pp. 35-67. Nelle note a piè di pagina si trovano vari rimandi alle parti precedenti qui tralasciate. La versione italiana riprende e aggiorna leggermente l’articolo inglese “The Dogmatic Discussion on Concelebration from Sacrosanctum Concilium to the present”, in J.M. Cunningham [ed.], Sacrosanctum Concilium. Sacred Liturgy and the Second Vatican Council, Wells, Somerset [U.K.] 2015, 149-191).


1. La discussione dogmatica sui frutti sacramentali della concelebrazione dopo il Concilio Vaticano II

 

Diversi sono i problemi dogmatici legati alla

concelebrazione: in particolare la discussione sulla possibilità di una concelebrazione sacramentale senza che siano pronunciate le parole di Cristo nell’Ultima Cena, il dibattito specialistico tra i liturgisti concernente il significato dell’imposizione delle mani nella concelebrazione (indicazione o epiclesi) e la validità delle celebrazioni su larga scala, quando la distanza dall’altare è molto grande[1]. Il problema principale è, però, quello dei frutti sacramentali della concelebrazione se confrontata con la celebrazione individuale e con il caso della mera assistenza di un sacerdote. Concentreremo la nostra attenzione su questo argomento.

Nella discussione dogmatica successiva al Concilio Vaticano II sui frutti sacramentali della concelebrazione possiamo individuare tre diverse correnti: una prima corrente, introdotta da Karl Rahner nel 1949, non può valorizzare la concelebrazione, perché non fa differenza per il sacerdote se egli concelebra l’eucaristia o se partecipa tra i fedeli; una seconda corrente afferma il distinto valore sacramentale di ogni Santa Messa, il quale rimane lo stesso anche nella concelebrazione, sicché è meglio moltiplicare le celebrazioni individuali; una terza corrente è convinta del fatto che i frutti sacramentali del Sacrificio eucaristico dipendano dall’atto sacramentale di ogni celebrante con la conseguenza che non c’è alcuna ragione dogmatica di limitare la concelebrazione.

 

 

1.1 Le tesi di Karl Rahner SJ e i suoi seguaci

 

Nel 1949 Karl Rahner (1904-1984) pubblicò un articolo intitolato Die vielen Messen und das eine Opfer (Le molte Messe e l’unico sacrificio) che nel 1951 apparve, insieme a un poscritto, anche in forma di monografia[2]. Ci furono molte reazioni, positive e negative[3]. Tra queste dobbiamo anche ricordare gli interventi magisteriali di Pio XII del 1954 e del 1956[4], anche se il Santo Padre non fece alcun nome. Nel 1955 Rahner scrisse un breve articolo per difendersi dalle critiche manifestate in particolare in seguito all’intervento di Pio XII del 1954[5]; nello stesso anno trattò le stesse questioni in un secondo articolo intitolato Dogmatische Bemerkungen über die Frage der Konzelebration (Osservazioni dogmatiche sulla questione della concelebrazione) [6]. Nel 1966 apparve una seconda edizione di Die vielen Messen und das eine Opfer[7]: essa fu adattata da un discepolo di Rahner, il padre benedettino Angelus Häussling che mantenne «quanto più possibile» il testo precedente[8]; lo stesso Rahner scrisse la prefazione che ripercorre la storia del suo studio[9].

Rahner osserva che la prassi attuale secondo cui ogni (buon) sacerdote dovrebbe celebrare la Santa Messa ogni giorno è basata su tre presupposti: 1)  che ogni sacrificio eucaristico contiene, in quanto sacrificio di Cristo, un infinito valore per la glorificazione di Dio, indipendentemente dalla partecipazione soggettiva del sacerdote; 2) che ogni sacrificio eucaristico ha un effetto limitato quanto all’espiazione, alla soddisfazione e all’intercessione; questo effetto è almeno in parte ex opere operato e può essere applicato dal celebrante; 3) ogni sacerdote riceve un frutto speciale per lui come ministro di Cristo (fructus specialissimus). Se il sacerdote non celebrasse la Messa, la partecipazione a un’Eucaristia celebrata da un altro sacerdote lo priverebbe di questo frutto speciale del Sacrificio eucaristico[10].

Rahner vuole cambiare la convinzione che ogni Sacrificio eucaristico abbia un frutto specifico intrinsecamente legato all’atto sacramentale. Citando il Concilio di Trento che definisce la Santa Messa un «sacrificio visibile» (DH 1740), il gesuita tedesco afferma che il carattere sacrificale della Messa sta nell’azione visibile di culto. Secondo lui, ciò non significa che Gesù Cristo attui in ogni Messa un nuovo atto del suo spirito sacrificale (Opfergesinnung) [11]. «Ciò che è posto come un nuovo atto sacrificale, ripetuto ogni volta, si colloca soltanto a fianco della Chiesa»[12]. Secondo Rahner è sbagliato parlare di una «nuova porzione di grazia» applicata da ogni Santa Messa[13]: la «misura della grazia» è solamente «determinata dalla disposizione di colui che riceve il sacramento»[14]. Ogni «concezione quantitativa della grazia» deve essere evitata[15]. La frequenza della Santa Messa dovrebbe dipendere soltanto dall’utilità di favorire la fede e la devozione dei partecipanti[16]. «Un fructus specialissimus proprio del sacerdote celebrante … [distinto dalla sua devozione soggettiva] non esiste»[17].

La monografia di Rahner e di Häussling non rileva la propria contraddizione con le esposizioni di Pio XII del 1954 e del 1956; l’affermazione di Paolo VI, nella sua Enciclica Mysterium fidei (1965), secondo cui la celebrazione individuale del sacerdote dà più grazia salvifica al sacerdote, al popolo partecipante e all’intera Chiesa che la partecipazione del sacerdote solamente attraverso la Santa Comunione, viene interpretata nel senso di una più grande devozione del sacerdote[18].

Rahner è stato severamente criticato da molti autori. Il suo presupposto che non derivi «alcuna nuova porzione di grazia» dall’atto sacramentale del Sacrificio eucaristico è in un rapporto di tensione con il Concilio di Trento che insegna che il Sacrificio della Messa è la memoria, la rappresentazione e l’applicazione (applicatio) del Sacrificio della Croce per la remissione dei peccati commessi ogni giorno (DH 1740). La dottrina, formulata fin dai tempi di Duns Scoto, dei “frutti della Messa” implica che ogni Santa Messa ha un certo effetto ex opere operato per l’intera Chiesa, per i viventi e per le anime del Purgatorio. Ci sono state varie distinzioni tra i “frutti”, ma in ogni caso è stato generalmente riconosciuto un frutto per l’intera Chiesa (fructus generalis), per l’intenzione applicata dal sacerdote, per i fedeli partecipanti e per il sacerdote celebrante[19], quand’anche la ricezione di questi frutti dipenda dalle singole disposizioni individuali. Il dogmatico tedesco Johannes Brinktrine, per esempio, ricorda (contro Rahner) che papa Pio VI condannò la proposizione dello pseudo-Sinodo di Pistoia secondo la quale sarebbe impossibile applicare a qualcuno un particolare frutto attraverso la celebrazione della Santa Messa (DH 2630)[20]. Poiché Rahner non accetta i frutti sacramentali di ogni Santa Messa, Joseph de Sainte Marie e Rudolf Michael Schmitz definiscono la sua teoria un «nominalismo sacramentale»[21], mentre Paul Tirot parla di «soggettivismo» e rileva contraddizioni interne quanto all’importanza oggettiva dell’atto sacramentale ex opere operato[22].

Un altro punto critico è la separazione tra l’azione di Cristo e l’azione della Chiesa nel Sacrificio della Messa[23]. Sul piano sistematico non è molto chiaro in Rahner che il Sacrificio eucaristico è un atto di Cristo Sommo Sacerdote operato dal sacerdote ordinato. Quando si afferma che non può derivare alcuna «nuova porzione di grazia» dal Sacrificio eucaristico stesso, si dimentica l’importanza della grazia creata, ossia l’effetto creato della presenza del Dio uno e trino che dipende dalla volontà di Dio e dalla disposizione dei fedeli[24].

La teoria di Rahner, secondo la quale, quanto ai frutti sacramentali, non c’è alcuna differenza essenziale tra un sacerdote che celebra o concelebra la Santa Messa e un sacerdote che vi partecipa in mezzo ai fedeli, è stata accettata e sviluppata soprattutto dal teologo tedesco Gisbert Greshake. Questi, in una raccolta miscellanea di scritti in onore di Rahner[25], ha osservato che la concelebrazione è problematica perché oscura la rappresentazione dell’unico Cristo (da parte di un solo sacerdote)[26] e perché distrugge, con l’intervento di più voci durante la preghiera eucaristica, l’unità della proclamazione della parola di Dio[27]. In un ampio studio sul sacerdozio Greshake definisce la concelebrazione una pratica propria del «clericalismo»[28], una «perversione» che nella forma attuale non dovrebbe essere tollerata[29]. Alla sua raccomandazione che i sacerdoti (che non devono celebrare con i fedeli) partecipino alla Messa alla maniera dei laici[30], si oppone la constatazione storica del fatto che nell’antichità i sacerdoti partecipavano al Sacrificio eucaristico nel loro specifico ruolo ministeriale[31] (anche se non pronunciavano le parole di nostro Signore, come sarebbe necessario per una vera concelebrazione sacramentale).

Questa messa in discussione della concelebrazione è stata preparata da Rahner che aveva osservato che, sia che il sacerdote celebri la Messa sia che vi partecipi, con la medesima devozione, nello stesso modo dei laici, c’è lo stesso effetto (di grazia)[32]; la «concelebrazione può essere raccomandata soltanto per eccezioni veramente straordinarie»[33].

 

 

1.2 La spiegazione tomistica di Joseph de Sainte-Marie OCD e di Rudolf Michael Schmitz

 

Gisbert Greshake, nell’appena citata miscellanea tedesca dedicata a Karl Rahner, osservava nel 1984: «stando alle mie conoscenze, contro gli studi di Rahner non ci sono oggi più obiezioni da prendere sul serio»[34]. Questa speranzosa valutazione era un errore. La presentazione più dettagliata della storia e della teologia della concelebrazione sino a oggi è reperibile in vari articoli (1979-1984) del carmelitano Joseph de Sainte-Marie (1931-1985) che insegnò nella Facoltà Teologica dei Carmelitani Scalzi a Roma. La maggior parte di questi articoli fu raccolta in una monografia pubblicata nel 1982[35]. Nel 2015 apparse una traduzione inglese, con il sostegno del famoso carmelitano François-Marie Lethel[36] e con una prefazione del liturgista benedettino Alcuin Reid[37].

Nel 1981 la posizione del carmelitano fu ripresa soprattutto da Rudolf Michael Schmitz nella rivista tedesca Theologisches[38], e, dal 1983, nel grande manuale italiano sull’Eucaristia scritto da Antonio Piolanti (Università Lateranense)[39] e in alcuni contributi successivi (1991; 1995)[40].

Joseph de Sainte-Marie valorizza il contributo di San Tommaso d’Aquino che afferma: «l’oblazione del sacrificio si moltiplica in più messe, ed è quindi moltiplicato l’effetto del sacrificio e del sacramento»[41]. San Tommaso sottolinea questo principio in un articolo che sostiene gli effetti benefici del sacrificio eucaristico anche per coloro che non ricevono il sacramento. Le osservazioni di San Tommaso d’Aquino sulla concelebrazione comportano formalmente che una Messa concelebrata è un unico sacrificio, cioè un unico atto sacramentale[42].

Pio XII, nel suo intervento del 1956, stabilisce che «l’azione del sacerdote che consacra è la stessa azione di Cristo, Che agisce per mezzo del Suo ministro»[43]. La questione decisiva (per il nostro tema) non è il frutto della singola anima che partecipa all’Eucaristia, ma la natura dell’atto operato dal sacerdote: se egli partecipa oppure no al sacrificio di Cristo (nella concelebrazione) [44]. Una moltiplicazione dell’effetto salvifico in ogni Sacrificio eucaristico è implicita nell’insegnamento fondamentale del Concilio di Trento secondo cui il «sacrificio visibile» della Messa è l’«applicazione» del Sacrificio della Croce allo scopo della remissione dei nostri peccati commessi ogni giorno»[45].

Nella concelebrazione è offerta a Dio soltanto una sola Messa. Ogni Messa, in quanto sacrificio di Cristo, ha un valore infinito; e, con questo valore infinito, fa «scorrere sulla Chiesa e sul mondo intero il sangue redentore di Cristo»[46]. Ogni Messa, in quanto tale, ha un valore infinito, ma la disposizione dei fedeli a ricevere i frutti è sempre imperfetta e, per questo motivo, limitata. Il numero delle Messe è dunque importante al fine di «moltiplicare i frutti della salvezza»[47].

Joseph de Sainte-Marie apprezza la possibilità della concelebrazione aperta dal Concilio con riguardo a particolari occasioni, ma deplora la mancanza di chiarezza nelle esposizioni dottrinali del Vaticano II, per esempio, l’assenza di una chiara affermazione che nella concelebrazione è offerto a Dio solamente un unico sacrificio (anche se ciò è affermato in alcuni documenti postconciliari). L’«espansione illimitata della concelebrazione» dopo il Concilio rappresenta «una rottura e non un’evoluzione omogenea della liturgia»[48]. «Poiché i frutti della Redenzione sono diffusi nel mondo innanzitutto e principalmente attraverso l’attuazione del Sacrificio della Croce nella Messa», è «necessario moltiplicare le Messe per la salvezza delle anime e per l’unità della Chiesa stessa. Se la concelebrazione manifesta quest’unità e ne sviluppa il sentimento, la moltiplicazione delle Messe contribuisce ancor più a costruirla, moltiplicando l’effusione della grazia di Cristo»[49].

Rudolf Michael Schmitz (* 1957), attualmente Vicario Generale dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, sostiene di «seguire l’ottimo studio» di Joseph de Sainte-Marie[50] e fornisce una presentazione sintetica dell’argomentazione sistematica nel rinomato manuale dogmatico di Antonio Piolanti sul Mistero eucaristico. La prima parte della sua esposizione prende in considerazione «l’unico sacrificio»[51] e la seconda «i frutti del sacrificio»[52]. Egli cita i testi magisteriali che implicano che la Messa concelebrata è un unico atto sacramentale che opera un unico sacrificio; questa dottrina è essenzialmente basata sull’insegnamento di San Tommaso d’Aquino.

Come Joseph de Sainte-Marie, l’autore respinge l’esposizione di Joseph Kleiner (1979) secondo il quale la concelebrazione comporterebbe «varie attuazioni ministeriali dell’unico sacrificio»[53]. Non è possibile separare l’atto sacramentale dal soggetto che lo opera[54], come avviene in Suarez citato come un’autorità da Kleiner.

Schmitz paragone la concelebrazione alla processione trinitaria dello Spirito Santo: Egli procede dal Padre e dal Figlio, ma soltanto tramite un’unica spirazione[55]. In quanto sacrificio di espiazione e di intercessione, la Santa Messa non può produrre infiniti effetti nel popolo, anche se essa ha un valore infinito. È importante sottolineare l’importanza della grazia creata comunicata dal Sacrificio eucaristico ex opere operato. Per questa ragione, «un’illimitata diffusione della frequente concelebrazione … diminuisce il benessere della Chiesa»[56].

In ambito italofono troviamo una posizione simile a quella di Joseph de Sainte-Marie e Rudolf Michael Schmitz nel teologo passionista Enrico Zoffoli (1915-1996) il quale pubblicò una breve monografia sull’argomento nel 1991, ripubblicata nel 2021 con testi supplementari di Nicola Bux e Athanasius Schneider[57].

 

 

5.3 Le posizioni di Paul Tirot OSB e Paul Gouyaud

 

Il monaco benedettino Paul Tirot (* 1923), in due ampi articoli apparsi nelle Ephemerides liturgicae (1987), fornisce un resoconto storico e la valutazione teologica della concelebrazione. Egli rifiuta la posizione di Rahner[58] e discute con attenzione critica anche le esposizioni di Joseph de Sainte-Marie[59]. Condivide l’analisi e la conclusione, confermata dal Decreto Ecclesiae semper (1965), che la concelebrazione è un unico atto sacramentale[60].

Dà, tuttavia, una differente esplicazione della partecipazione dei concelebranti nell’unico atto sacramentale.  Tirot distingue due diverse correnti dalla Scolastica a oggi, anche se la loro differenza sembra minima. «La prima (corrente) afferma che c’è una sola offerta sacramentale, ma totalmente offerta da ogni sacerdote, e pertanto virtualmente multipla, ossia che questa offerta possiede la virtù, l’efficacia di un numero di offerte pari al numero dei concelebranti. La seconda (corrente) afferma che ci sono diverse offerte sacramentali effettivamente multiple, ma un’unica intenzione»[61]. Secondo Tirot, Domingo de Soto rappresenta la prima corrente, mentre Francisco Suarez la seconda[62]. «Comunque, gli antichi scolastici non dicono esplicitamente che la Messa concelebrata produce gli stessi ... frutti delle singole Messe»[63].

La tesi centrale di Tirot è formulata nell’edizione del 1924 del libro del gesuita Maurice de la Taille, Mysterium fidei: «l’oblazione è formalmente una sola, in quanto azione collettiva di un unico collegium, ma è virtualmente o equivalentemente multipla»[64]. Tirot non accetta, però, la tesi del gesuita francese secondo cui la crescita dei frutti spirituali nella concelebrazione dipende soltanto dalla devozione individuale dei sacerdoti[65].

Secondo Tirot, la moltiplicazione degli effetti sacramentali in proporzione al numero dei celebranti può essere fatta risalire al Suarez che non si oppone a San Tommaso. Una chiara affermazione di molteplici atti sacramentali nella concelebrazione si trova comunque in Gabriel Vázquez (1549-1604) [66] e nel Cardinal Juan de Lugo (1583-1666), gesuita di Salamanca, citato dal futuro papa Benedetto XIV che giustifica il fatto che anche i concelebranti possono percepire un’offerta speciale: «Se due sacerdoti consacrano insieme un’ostia, ci sono due oblazioni, ed entrambi possono applicare la Messa a diverse (intenzioni)» [67]. Questa convinzione trova spazio nei maggiori manuali di Diritto canonico e di Teologia morale, per esempio, nel trattato sull’Eucaristia del Cardinal Gasparri[68] e nella Summa theologiae moralis di Benoît H. Merkelbach[69].

In questo modo, Tirot offre un’interpretazione gesuitica di San Tommaso, prendendo alcuni elementi dalle dottrine di Francesco Suarez e di Maurice de la Taille. Da Joseph de Sainte-Marie differisce nella sua valutazione dell’atto ministeriale. Egli domanda: se è vero, come è confermato anche dal teologo carmelitano, che «ogni concelebrante opera per la sua parte l’intero atto del Sacrificio»[70] - perché questi rifiuta la conseguenza che c’è lo stesso «frutto speciale» per il concelebrante, come se questi celebrasse la Messa individualmente[71]? È vero che l’offerta sacramentale costituisce un’unità morale, «ma essa rimane virtualmente multipla a cagione della molteplicità degli agenti e della loro virtù speciale». In altre parole: la concelebrazione è «un’azione attualmente unica e virtualmente multipla»[72]. Se Joseph de Sainte-Marie accetta un certo «frutto speciale» anche per la concelebrazione, in modo tale che un’offerta possa essere accettata da ogni concelebrante, perché rifiuta l’esistenza di un «frutto generale» annesso alla concelebrazione? Spiegare i «frutti speciali» dei concelebranti solamente con l’infinito valore della Messa, non significa ricadere nel soggettivismo di Karl Rahner[73]? Se davvero la concelebrazione comporta per la Chiesa una gravissima diminuzione della grazia, questa tesi non significa che il rito della concelebrazione è, in quanto tale, un errore compiuto dalla Chiesa[74]? Se si ritiene la molteplicità virtuale del Sacrificio eucaristico, appare corretto dire che nella concelebrazione ci sono tante azioni di Cristo quanti sono i sacerdoti concelebranti “in persona Christi”[75].

Le tesi di Tirot hanno ricevuto molti consensi[76], ma anche critiche severe specialmente da parte di Rudolf Michael Schmitz: separare l’offerta ministeriale dall’unico atto sacramentale visibile comporta una spiritualizzazione dell’azione sacramentale che non prende sul serio la realtà dell’Incarnazione[77]. Anche se ci fosse una molteplicità virtuale dell’azione di Cristo, come potrebbe un’applicazione soggettiva della grazia moltiplicare il «frutto generale» oggettivo (fructus generalis) del Sacrificio? Quale sarebbe l’effetto di una mera virtualità[78]?

Questa critica è accettata da Christian Gouyaud (* 1959)[79], un sacerdote della Diocesi di Strasburgo, nel suo studio sulla Chiesa come causa strumentale di salvezza[80]. Gouyaud sottolinea il fatto che Cristo è l’unica causa efficiente principale che agisce attualmente attraverso le varie azioni strumentali principali dei ministri concelebranti. Secondo questo studioso, nell’ordine sostanziale, c’è in una Messa concelebrata una sola consacrazione, ma, nell’ordine operativo, ci sono varie azioni sacrificali, ossia vari Sacrifici eucaristici[81]. Questa proposta appare, tuttavia, problematica: è possibile collegare vari Sacrifici eucaristici a un unico atto sacramentale di consacrazione? L’essenza del Sacrificio eucaristico deve, dunque, essere riferita alla consacrazione[82].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Valutazione sistematica

 

Dopo avere passato in rassegna i principali contributi sull’efficacia sacramentale della concelebrazione, dobbiamo tentare una valutazione sistematica.

 

 

2.1 L’unicità del Sacrificio eucaristico nella concelebrazione

 

Il primo punto cruciale riguarda l’evento sacramentale della concelebrazione: si tratta di un unico atto sacramentale nel quale è rappresentato il Sacrificio della Croce oppure soltanto di una sincronizzazione di varie celebrazioni individuali?

Joseph Kleiner, in un articolo pubblicato nel 1980, fece l’esempio di un pellegrinaggio a Lourdes nel 1946: c’erano un vescovo e diciassette sacerdoti; ciascuno di loro celebrò contemporaneamente la Santa Messa su un proprio altare; l’altare del vescovo era al centro. Ci furono così diciotto Messe sincronizzate. Oggi a Lourdes, secondo Kleiner, diciotto sacerdoti concelebrerebbero, e ci sarebbero «diciotto Messe concelebrate. Solo il rito è differente, … ma i segni in quanto tali e la loro efficacia non differirebbero»[83].

Un’analoga presentazione della concelebrazione era stata data nello studio di Rahner-Häussling (ma non nei precedenti studi di Rahner): «Da un punto di vista strettamente dogmatico, la concelebrazione è propriamente una celebrazione sincronizzata...»[84]. Kleiner basava la sua tesi sul principio scolastico, formulato, per esempio, da San Tommaso d’Aquino: «actiones sunt suppositorum», ovverosia: ogni azione di una natura individuale deve essere attribuita al soggetto agente, alla persona che agisce[85]. Per questo motivo, diversi sacerdoti concelebranti operano diversi atti sacramentali, «diverse consacrazioni»[86].

Joseph de Sainte-Marie rispose a questo argomento distinguendo tra l’azione inerente al soggetto operante e l’azione che si rivolge all’esterno[87]. L’actus immanens è di certo tipico di ogni sacerdote concelebrante, ma nell’actus transiens i sacerdoti operano congiuntamente. Ciò è vero, almeno per la presentazione della concelebrazione in Tommaso d’Aquino, ma non in Suarez sul quale è fondata l’argomentazione di Kleiner[88]. Effettivamente la presentazione della concelebrazione, soprattutto in Pio XII e nel Decreto Ecclesiae semper, presuppone un unico atto sacramentale, come descritto da San Tommaso.

Una dissertazione dottorale spagnola, che esamina attentamente la discussione successiva alla proposta di Kleiner, è giunta alla conclusione che Kleiner confonde la natura sacramentale del Sacrificio eucaristico con la sua oblazione da parte del sacerdote e separa l’azione ministeriale dei concelebranti dalla virtù divina che opera l’effetto di quest’azione: i concelebranti sono uniti in Cristo che consacra e offre ogni Sacrificio eucaristico[89]. Sembra che, nel frattempo, questo risultato sia stato quasi generalmente accettato tra gli specialisti che trattano questo argomento[90].

Una presentazione modificata dell’argomento di Kleiner è stata, tuttavia, proposta da Paul Tirot: sulle tracce di Maurice de la Taille, egli riconosce (contro Kleiner) che c’è un unico atto sacramentale, ma sottolinea che esso è virtualmente multiplo[91]. Ritorneremo su questo argomento, al momento di trattare i frutti sacramentali della concelebrazione.

Sembra che tutti gli approcci filosofici tradizionali nella teologia sistematica possano sostenere il principio di Sant’Agostino secondo cui un evento sacramentale origina dalla congiunzione della parola e dell’elemento materiale, che non possono essere separati l’uno dall’altro[92]. Il cardinale Charles Journet propone, a proposito del nostro tema, un confronto illuminante con il Battesimo:

«Permettetemi di dire una parola sulla concelebrazione. Immaginiamo più persone che si riuniscano per battezzare simultaneamente un bambino. Ci sarebbero diversi battezzatori ma soltanto una sola azione battesimale, plures baptizantes, una baptizatio. Allo stesso modo, si trovano nella concelebrazione più “consacratori”, plures ex aequo consecrantes, ma soltanto un’azione di consacrazione, una consecratio»[93].

Quanto all’atto sacramentale, è chiaro che Cristo stesso è il Sommo Sacerdote che rappresenta il suo Sacrificio sulla Croce. Secondo Rahner, nella Santa Messa non c’è alcun atto sacrificale attuale di Cristo (sacrificio che è avvenuto sulla Croce), ma solamente un’offerta virtuale per il fatto che Gesù Cristo ha istituito il Sacrificio eucaristico nell’Ultima Cena. Questo è un argomento aperto a ulteriori discussioni. Il Concilio di Trento illustra, a proposito della relazione tra la Croce e la Santa Messa, l’identità di sacerdote e vittima (Cristo che offre se stesso) (DH 1743). Non afferma però espressamente l’identità dell’atto del sacrificio[94]. Ed è per questa ragione che, in seguito, molti teologi parlarono di un nuovo atto sacrificale di Cristo dal cielo per ogni Santa Messa, mentre altri osservarono che è sufficiente parlare della forza divina fondata nell’oblazione del Salvatore sulla Croce. Réginald Garrigou-Lagrange sottolinea il fatto che Gesù offre se stesso nell’Eucaristia non soltanto virtualmente ma attualmente, giacché egli mantiene interiormente l’atto dell’offerta e nella sua visione beatifica sulla terra già conobbe i Sacrifici eucaristici nella storia[95].

La teologia contemporanea è solita parlare dell’unità numerica dell’atto sacrificale di Cristo sulla Croce e nella Santa Messa[96]. D’altro canto, l’azione sacramentale non può essere separata dalla distinta operazione di Cristo, tanto che nel 1954 Pio XII osservava che «per quanto riguarda l’offerta del sacrificio eucaristico, ci sono tante azioni di Cristo sommo sacerdote quanti sono i sacerdoti celebranti...»[97]. Due anni più tardi, nel 1956, egli ribadì per una seconda volta questo punto[98] contro la tesi formulata da Karl Rahner nel 1949 secondo la quale l’azione specifica della Messa è il sacrificio della Chiesa (e non il sacrificio di Cristo).

L’unicità del Sacrificio eucaristico, in ogni caso, può essere conservata anche nella teoria di un’azione virtuale di Cristo, anche se la teoria di un distinto atto sacrificale può essere la spiegazione migliore anche per una distinta importanza di ogni Santa Messa. Ciò è manifesto anche nell’affermazione di Karl Rahner del 1955 (e del 1966): per quanto riguarda gli atti sacrificali di Cristo, una o cento Messe non sono la stessa cosa[99].

 

 

2.2 I frutti delle Messe concelebrate

 

Un secondo importante punto per una valutazione sistematica è quello dei frutti delle Messe concelebrate. In primo luogo, si deve riconoscere che ci sono specifici frutti di ogni Sacrificio eucaristico. Ciò è molto chiaro quando San Tommaso afferma che una moltiplicazione della causa, ossia della rappresentazione del Sacrificio di Cristo, comporta anche una moltiplicazione degli effetti[100]. Questo aspetto è anche implicito nel Concilio di Trento che definisce la Santa Messa un’«applicazione» del Sacrificio della Croce (DH 1740). Ogni Santa Messa, per questa ragione, ha certi effetti operati sacramentalmente, ex opere operato. Questo punto fu negato da Karl Rahner, anche se non insistette su questa negazione in un breve articolo apparso un anno dopo il pronunciamento di Pio XII nel 1954[101].

Certamente non è possibile fornire una spiegazione quasi “matematica” di un evento salvifico della grazia[102], anche se il distinto evento sacramentale di ogni Santa Messa e la realtà della grazia creata devono essere presi sul serio. C’è, in ogni caso, una fusione tra l’efficacia ex opere operato e l’efficacia ex opere operantis. Rahner, nel 1955, orientò l’attenzione dei suoi lettori a una nota di Pio XII nel suo intervento del 1954: «Considerando questa questione [i.e. la celebrazione della Santa Messa da parte del sacerdote nella sua differenza rispetto alla partecipazione dei fedeli], il tema non è tanto quello di misurare il frutto che si trae dalla celebrazione o dall’ascolto della Messa – può essere vero che qualcuno derivi un maggior frutto da una Messa ascoltata con devozione piuttosto che da una Messa celebrata in maniera superficiale e negligente -, ma quello di affermare la natura dell’atto che consiste nell’ascolto o nella celebrazione della Messa, da cui scaturiscono gli altri frutti del sacrificio…»[103]. Rahner conclude: in effetti, può darsi che i frutti siano maggiori quando cento sacerdoti assistono alla Messa durante un convegno liturgico che quando la Messa è da loro celebrata individualmente in modo rapido e negligente. Non è pertanto certo che cento Messe celebrate diano più frutti della Messa di un solo sacerdote alla quale assistono novantanove sacerdoti[104].

Queste osservazioni, tuttavia, non dovrebbero portare a negare l’importanza della singola Messa, se questa è celebrata in circostanze convenienti che permettono la devozione dei partecipanti. Bisognerebbe anche riconoscere che ogni Santa Messa è celebrata per tutta la Chiesa, per tutti i vivi e tutti i morti; c’è un «frutto generale» collegato all’evento sacramentale in quanto tale[105]. In quanto Sacrificio, la Santa Messa è offerta non soltanto per coloro che vi partecipano, ma anche per l’intera umanità destinata a essere parte della Chiesa.

Per quel che concerne il Sacrificio eucaristico[106], la teologia classica distingue tra la glorificazione di Dio (nell’adorazione e nel ringraziamento) e il beneficio per l’umanità (nell’espiazione e nell’intercessione). Il Concilio di Trento menziona l’effetto espiatorio della Santa Messa per i nostri peccati quotidiani (cf. DH 1740). Ogni Santa Messa, in quanto tale, in actu primo, ha un valore infinito, poiché è la rappresentazione del Sacrificio della Croce. Nel suo effetto, in actu secundo, i frutti possono egualmente essere definiti “infiniti”, in quanto la Messa è Sacrificio di adorazione e di ringraziamento.

L’applicazione dei frutti è limitata, per esempio, dall’intenzione per la quale la Santa Messa è celebrata, e dalla volontà di Cristo, oppure è illimitata, dal momento che dipende soltanto dalla disposizione dei partecipanti? La prima tesi è rinvenibile, per esempio, in Bonaventura e in Scoto, mentre la seconda è difesa, per esempio, da Gaetano e da Suarez. Entrambe le correnti citano Tommaso d’Aquino. Albert Michel, che offre una panoramica storica, propende, pur ammettendo che entrambe le posizioni comportano delle difficoltà, per la seconda corrente secondo cui soltanto dalla mancanza di disposizioni risulta un limite[107]. Personalmente, sottolineerei, come “misura” per l’applicazione, la volontà di Cristo e le disposizioni dei partecipanti. Tutti, comunque, raccomandano la devozione più grande possibile per ricevere i frutti del Sacrificio eucaristico.

Considerando i frutti specifici legati a ciascun Sacrificio eucaristico, dovrebbe essere preferita in molte situazioni la celebrazione individuale della Santa Messa. Se per il sacerdote è possibile scegliere soltanto tra la concelebrazione e l’assistenza alla Messa, è da preferire la concelebrazione: anche se il concelebrante non opera un distinto atto sacramentale, ma partecipa interamente all’unica consacrazione operata da tutti i sacerdoti celebranti nella virtù di Cristo, attualizza in ogni caso il potere operante, fondato nel carattere sacramentale, del suo sacerdozio, e basa l’intenzione della sua offerta sull’evento sacramentale. È così possibile anche per una Messa concelebrata accettare un’offerta.

 

 

2.3 La questione dell’offerta (stipendio)

 

Secondo il Codice di Diritto Canonico del 1983, ogni concelebrante può accettare un’offerta per la Santa Messa, com’è possibile per il Sacrificio eucaristico individuale[108]. Ciò fu già affermato, nel XVIII secolo, dal famoso canonista Prosper Lambertini che in seguito sarebbe diventato papa Benedetto XIV. Egli pose l’accento su questo punto contro un teologo del XV secolo (Jean Heylin) che aveva negato il diritto dei sacerdoti appena ordinati a ricevere l’offerta per la loro prima Messa concelebrata con il vescovo[109]. Questa pratica mostra certamente che il sacerdote concelebrante opera realmente l’atto sacramentale[110]. Può anche essere un argomento per sostenere l’identità dei frutti sacramentali di una Santa Messa celebrata individualmente e di quelli di una Santa Messa celebrata concelebrando. Questa conclusione, tuttavia, sarebbe troppo affrettata. Joseph de Sainte-Marie ha osservato che ogni Santa Messa, come un’azione di Cristo attraverso i suoi ministri, ha un infinito valore, sicché ogni sacerdote concelebrante può ricevere la sua offerta[111].

Né è di per sé evidente che ogni concelebrante ottenga uno speciale stipendio o un’offerta identica a quella di una Messa celebrata individualmente. Il testo conciliare Sacrosanctum Concilium non indica alcunché sull’offerta nella concelebrazione. Nei dibattiti conciliari questo tema fu toccato raramente[112]; uno dei padri propose che il beneficio per una Messa concelebrata corrispondesse soltanto alla metà della normale offerta[113]. Il rito della concelebrazione pubblicato nel 1965 stabiliva che ogni concelebrante potesse ricevere un’offerta[114]. Nel 1966, tuttavia, la Congregazione dei Riti, rispondendo a una domanda sull’offerta per un concelebrante in una Missa cantata, stabilì che «l’offerta appartiene soltanto al celebrante principale e non agli altri celebranti»; se la persona che ha offerto lo stipendio non ha fornito esplicitamente indicazioni contrarie, l’offerta per la Missa cantata si riferisce alla sua celebrazione individuale[115].

Nel diritto ecclesiale orientale è «lecito anche, se corrisponde alla consuetudine legittima, accettare offerte per la liturgia dei presantificati e per le commemorazioni nella divina liturgia»[116].

In altre parole: la possibilità di ricevere un’offerta per la concelebrazione non risolve il dibattito sistematico sul frutto sacramentale di una Messa concelebrata.

 

 

3. Conseguenze pratiche

 

La discussione sulla concelebrazione nelle ultime decadi mostra l’importanza dell’unità vissuta manifestata dalla concelebrazione, ma anche la necessità di sottolineare l’evento sacramentale di ogni Santa Messa. La concelebrazione è raccomandata per alcune occasioni speciali, ma non dovrebbe essere praticata indiscriminatamente. Il Diritto canonico difende il diritto di ogni sacerdote di celebrare individualmente, e a questa facoltà si dovrebbe ricorrere per offrire ai fedeli un’ampia possibilità di partecipare ogni giorno alla celebrazione dell’Eucaristia.

            Arriva una sfida per la teologia, quando si presentano delle misure pratiche che limitano drasticamente la possibilità della Santa Messa celebrata individualmente, come avvenne nella Basilica di San Pietro a Roma nel 2021. Non entriamo qui nelle particolarità speciali della situazione locale, ma sembra opportuno segnalare una presa di posizione del Cardinale Robert Sarah, dal 2014 al 2021 Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Il prefetto emerito pubblicò una presa di posizione in cui il porporato riferisce brevemente l’importanza della discussione riferita nella nostra investigazione:

«A livello teologico, esistono almeno due posizioni attualmente mantenute dagli esperti, riguardo alla moltiplicazione del frutto di grazia dovuto alla celebrazione della Messa.

Secondo un’opinione che si è sviluppata nella seconda metà del Novecento, che dieci sacerdoti concelebrino la stessa Messa, oppure che celebrino individualmente dieci Messe, non fa alcuna differenza quanto al dono di grazia che viene da Dio offerto alla Chiesa ed al mondo [sembra che il Cardinale pensa alla tesi di Karl Rahner, ma di fatto si tratta dell’opinione di P. Paul Tirot OSB e altri riferita sopra].

L’altra opinione, che si basa tra gli altri sulla teologia di san Tommaso d’Aquino e sul magistero particolarmente di Pio XII, sostiene al contrario che concelebrando una sola Messa si riduce il dono di grazia, perché “in più Messe si moltiplica l’oblazione del sacrificio e quindi si moltiplica l’effetto del sacrificio e del sacramento” (Summa Theologiae, III, q. 79, a. 7 ad 3; cf. q. 82, a. 2; cf. anche Pio XII, “Mediator Dei”, parte II; Allocuzione del 2.11.1954; Allocuzione del 22.9.1956) [Pio XII non tratta esplicitamente la distinzione tra le Messe concelebrate e quelle celebrate individualmente, ma senz’altro il riferimento a Tommaso d’Aquino corrisponde alla interpretazione riportata sopra di Joseph di Sainte Marie OCD e altri].

Non intendo dirimere qui la questione di quale delle due tesi sia più credibile. La seconda tesi ha comunque dalla sua parte parecchie ragioni favorevoli e non dovrebbe essere ignorata. Va tenuto presente che vi è come minimo la seria possibilità che, costringendo i sacerdoti a concelebrare e quindi riducendo il numero di Messe celebrate, si verifichi una diminuzione del dono di grazia fatto alla Chiesa e al mondo. Se così fosse, il danno spirituale sarebbe incalcolabile»[117].

Secondo il cardinale Cañizares (Prefetto della Congregazione per il Culto Divino dal 2008 al 2014), una «riforma della riforma liturgica» dovrebbe contemplare le intenzioni di Sacrosanctum Concilium e Ritus servandus (1965) di Paolo VI. Egli raccomanda di limitare la frequenza delle concelebrazioni e propone (specialmente per gli ordini religiosi) l’esempio dei Certosini: ogni giorno la Messa conventuale è celebrata dall’ebdomadario, mentre i monaci (anche i sacerdoti) assistono e si comunicano, e poi ogni sacerdote celebra la Messa individualmente. La domenica e nelle altre feste c’è però soltanto la Messa conventuale celebrata da tutti i monaci[118].

Durante il Sinodo episcopale a Roma sull’Eucaristia (2005) fu trattato anche il tema spinoso della concelebrazione di numerosi sacerdoti per grandi eventi. Il frutto delle discussioni fu una certa limitazione di tali eventi:

 «L’Assemblea sinodale si è soffermata a considerare la qualità della partecipazione nelle grandi celebrazioni che avvengono in circostanze particolari, in cui vi sono, oltre ad un grande numero di fedeli, anche molti sacerdoti concelebranti. Da una parte, è facile riconoscere il valore di questi momenti, specialmente quando presiede il Vescovo attorniato dal suo presbiterio e dai diaconi. Dall’altra, in tali circostanze possono verificarsi problemi quanto all’espressione sensibile dell’unità del presbiterio, specialmente nella preghiera eucaristica, e quanto alla distribuzione della santa Comunione. Si deve evitare che tali grandi concelebrazioni creino dispersione. A ciò si provveda con strumenti adeguati di coordinamento e sistemando il luogo di culto in modo da consentire ai presbiteri e ai fedeli la piena e reale partecipazione. Comunque, occorre tener presente che si tratta di concelebrazioni d’indole eccezionale e limitate a situazioni straordinarie»[119].

In seguito a queste disposizioni della Lettera apostolica Sacramentum caritatis (2007), la Congregazione per il Culto Divino fu incaricato di elaborare delle linee guida per grandi celebrazioni, un testo pubblicato nel pontificato di Papa Francesco nel 2014. Tra le premesse, il testo sottolinea:

«La celebrazione della Messa suppone ed esige che quanti si radunano nel nome del Signore possano sentirsi parte di una concreta assemblea orante e i sacerdoti concelebranti esprimere il necessario vincolo con l’altare.

Per questo, in alcune occasioni è conveniente valutare l’opportunità della Messa o se non sia preferibile, date le condizioni, optare per altra celebrazione liturgica o preghiera. Raduni di risonanza nazionale e internazionale possono trovare idonea espressione di preghiera anche nella Liturgia delle Ore, in una Celebrazione della Parola di Dio, nella solenne processione, esposizione e benedizione con il Santissimo Sacramento, in una veglia di preghiera come avviene in celebri santuari, specialmente se non è un giorno di precetto»[120].

«Spesso l’elevato numero di concelebranti non permette di assegnare ad essi un posto nelle vicinanze dell’altare, rendendoli tanto distanti da destare perplessità la relazione con esso». Quando si sceglie una Messa concelebrata, si raccomanda di limitare il numero dei concelebranti[121].

Il Sinodo episcopale del 2005 ha portato anche una raccomandazione della celebrazione individuale del sacrificio eucaristico, come nota Papa Benedetto XVI:

«La forma eucaristica dell’esistenza cristiana si manifesta indubbiamente in modo particolare nello stato di vita sacerdotale. La spiritualità sacerdotale è intrinsecamente eucaristica. … Egli [il sacerdote] è chiamato a essere continuamente un autentico ricercatore di Dio, pur restando al contempo vicino alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa gli permetterà di entrare più profondamente in comunione con il Signore e l’aiuterà a lasciarsi possedere dall’amore di Dio, divenendone testimone in ogni circostanza anche difficile e buia. A tale scopo, insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai sacerdoti “la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli”. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione»[122].



[1] Il primo problema è stato toccato in occasione dell’anafora di Addai e Mari: si vedano ad esempio i vari contributi in U.M. Lang (ed.), Die Anaphora von Addai und Mari. Studien zu Eucharistie und Einsetzungsworten, Bonn 2007; Derville (2011) 72-75; A. Santogrossi, Anaphoras without Institution Narrative: Historical and Dogmatic Considerations, in Nova et Vetera 10 (1/2012) 27-59 (un’ottima sintesi); C. Giraudo (ed.), The Anaphoral Genesis of the Institution Narrative in Light of the Anaphora of Addai e Mari (OCA 295), Roma 2013; D. Heringer, Die Anaphora der Apostel Addai und Mari. Ausdrucksform einer eucharistischen Ekklesiologie, Göttingen 2013.

La seconda questione, con una bibliografia più specialistica, è rintracciabile in B. Gherardini, Sulla concelebrazione, in Divinitas 56 (1/2013) 65-86 (67s); cf. anche Meyer (1989) 497; Commission épiscopale de liturgie, La concelebration. Repères théologiques pour une pratique renouvelée, Ottava 1992, 30s (anche in: Notitiae 29 [1993] 187-243); Giampietro (2011) 104-106; Derville (2011) 86; Tymister (2018) 291-303.

Per il terzo tema, vedi K. Gamber, Die alte Messe, immer noch? Überlegungen zu Volksaltar, Konzelebration und Massengottesdiensten im Freien, Regensburg 1982; M. Gurtner, Konzelebration und Messen als Massenveranstaltungen, in Una Voce Korrespondenz 39 (2009) 134-163; Derville (2011) 83-89.

[3] Si vedano soprattutto (prima del Vaticano II) J. Brinktrine, Zur Lehre von den sogenannten Messopferfrüchten, in Theologie und Glaube 41 (1951) 260-265 (contro la dottrina di Rahner sui “frutti” della Messa); B. Neunheuser, Archiv für Liturgiewissenschaft 3 (1/1953) n. 171, 188-191 = Catholica 9 (1953) 151-153; F. Vandenbroucke, La concélébration, acte liturgique communautaire, in La Maison-Dieu 35 (1953) 45-55; Idem, Fonctionnalité de la liturgie, in Questions liturgiques et paroissiales 37 (1956) 81-90; J.M. Granero, Novum Pascha, in Estudios ecclesiasticos 28 (1954) 211-237; J. Putz, Community Mass and Concelebration, in Clergy Monthly 19 (1955) 41-53; V. Rassa, Sul criterio circa il numero delle messe, in Rivista liturgica 42 (1955) 217-222; G. Frénaud, Théologie du sacrifice eucharistique et pratique des messes communautaires, in Revue grégorienne 34 (1955) 74-80; A. Michel, Valeur du sacrifice de la messe,  in L’Ami du Clergé 66 (1956) 593-602; H.F. Davis, The Pope and Private Masses, in Clergy Review 42 (1957) 2-14; M. Nicolau, La concelebración eucaristica, in Salmanticensis 3 (1961) 269-294; si veda anche il nome “Rahner” nella bibliografia commentata di Joseph de Sainte-Marie (1982) 145-147; (2015) 168-171.

[4] Vedi sopra, 1.3. Per una panoramica del dibattito dal 1954 (Pio XII, Magnificate Dominum) al 1963 (Sacrosanctum Concilium) si veda Rheinbay (1988) 131-244 (bibliografia 294-298).

[5] K. Rahner, Die vielen Messen als die vielen Opfer Christi, in Zeitschrift für katholische Theologie 77 (1955) 94-101.

[6] K. Rahner, Dogmatische Bemerkungen über die Frage der Konzelebration, in Münchener theologische Zeitschrift 6 (1955) 81-106. È apparsa anche una traduzione in francese: Dogmatique de la concélébration, in Les questions liturgiques et paroissiales 36 (1955) 119-135. Si veda anche il breve articolo di dizionario: K. Rahner, Konzelebration II. Dogmatisch, in Lexikon für Theologie und Kirche2 6 (1961) 525. Nello stesso anno Rahner rispose ad alcuni dei suoi critici (in particolare a Putz [1955] e Michel [1956]): Idem, Thesen über das Gebet “im Namen der Kirche”, in Zeitschrift für katholische Theologie 83 (1961) 307-324.

[7] K. Rahner – A. Häussling, Die vielen Messen und das eine Opfer (Quaestiones disputatae 31), Freiburg i.Br. 19662.

[8] Rahner – Häussling (1966) 7 (prefazione dell’adattatore).

[9] Cf. Rahner – Häussling (1966) 5-6 (prefazione dell’autore). Citiamo qui il testo definitivo del 1966, notando però alcune differenze rispetto ai testi precedenti. Le pubblicazioni di Rahner sul tema, intanto, sono raccolte anche in K. Rahner, Leiblichkeit der Gnade. Schriften zur Sakramentenlehre (Sämtliche Werke, 18), Freiburg i.Br. 2003.

Sulla dottrina della concelebrazione di Rahner, cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 96s; 115; (2015) 110s; 133; Schmitz (1983) 511-518; P. Tirot, La concelebration et la tradition de l’Église, in Ephemerides Liturgicae 101 (1987) 33-59; 182-214 (193-203); Rheinbay (1988) 131-244; C. Gouyaud, L’Église instrument du salut (Croire et savoir, 41), Paris 2005, 377-381; Gherardini (2013) 73-75. Le recensioni sul contributo di Rahner sono citate in Rahner – Häussling (1966) 5s; vedi anche sopra, nota 124.

[11] Ibidem, 29-30: «Ebensowenig gilt, … dass Christus gar selbst in jeder Messe einen neuen Akt seiner Opfergesinnung vollziehe». Cf. ibidem, 34s; 38; Idem, Die vielen Messen (1955), 98; 100.

[12] Ibidem, 37: «Was an neuem, jeweils wiederholten Opferakt gesetzt wird im Messopfer, liegt auf seiten der Kirche».

[13] Ibidem, 75: «die Gnade wird … ‘tiefer’ … aufgenommen …, nicht aber dadurch, dass gewissermaßen eine neue Portion von Gnade gegeben wird».

[14] Ibidem, 83: «So ist … das Maß der Gnade auch im Sakrament einzig normiert an der Disposition des Empfängers …».

[15] Ibidem, 83: «Eine gegenteilige Auffassung setzt eine letztlich unvollziehbare quantitative Auffassung von Gnade voraus …».

[16] Cf. ibidem, 107: «so oft soll die Messe gefeiert werden, als die Häufigkeit der Feier die fides und devotio der Feiernden mehrt». Cf. ibidem, 109.

[17] Ibidem, 98.

[18] Cf. ibidem, 121, nota 15; Paolo VI, Mysterium fidei (1965): AAS 57 (1965) 761.

[19] Cf. N. Gihr, Das heilige Messopfer dogmatisch, liturgisch und aszetisch erklärt, Freiburg i.Br. 1919, 147-159; A. Michel, La Messe chez les théologiens postérieurs au Concile de Trente. Essence et efficacité, in Dictionnaire de théologie catholique 10 (1928) 1143-1316 (1291-1304); Brinktrine (1951); A. García Ibañez, L’Eucaristia, dono e mistero. Trattato storico-dogmatico sul mistero eucaristico, Roma 2006, 548-550; Ott (2005) 563; Diekamp (2013) 988-991.

[20] Cf. Brinktrine (1951) 265; Rahner (1949) 286 che cerca di interpretare l’evidente riferimento all’intenzione ministeriale del sacerdote nel senso dell’intenzione di qualsiasi partecipante all'Eucaristia.

[21] Joseph de Sainte-Marie (1982) 96; (2015) 110; Schmitz (1983) 514.

[22] Cf. Tirot (1987) 193-203; vedi anche Gouyaud (2005) 380s.

[23] Cf. Michel (1956) 595; Schmitz (1983) 515; Gouyaud (2005) 380s.

[24] Cf. Schmitz (1983) 518. Per quanto riguarda l’importanza della grazia creata (anche contro l’interpretazione di Rahner) cf. L. Scheffczyk, Die Heilsverwirklichung in der Gnade. Gnadenlehre (Katholische Dogmatik VI), Aachen 1998, 265-275; it. La realizzazione della salvezza nella grazia. Dottrina sulla Grazia (Dogmatica cattolica, 6), Città del Vaticano 2019, 232-239.

[25] Cf. G. Greshake, Konzelebration der Priester. Kritische Analyse und Vorschläge zu einer problematischen Erneuerung des II. Vatikanischen Konzils, in E. Klinger – K. Wittstadt (edd.), Glaube im Prozess. Christsein nach dem II. Vatikanum, Freiburg i.Br. 1984, 258-288. Queste esposizioni sono riassunte più avanti in Idem, Frag-würdige Konzelebration, Heiliger Dienst 61 (2007) 238-248.

[26] Cf. Greshake (1984) 267; 271; (2007) 240-242.

[27] Cf. Greshake (1984) 275s; (2007) 242-244.

[28] Cf. G. Greshake, Priestersein in dieser Zeit, Würzburg 20053, 345-353 (“Klerikalistische Konzelebration?”) [it. Essere preti in questo tempo, Brescia 2008]; Cf. Idem (1984) 286; (2007) 248.

[29] Greshake (2005) 352. Egli afferma che la concelebrazione potrebbe essere accettata, in casi straordinari, solo in futuro dopo un cambiamento delle sue condizioni liturgiche, eliminando la partecipazione dei concelebranti che pronunciano le parole di nostro Signore (sic); ibidem, pp. 348-350.

[30] Cf. Greshake (1984) 282-285; (2007) 247s.

[32] Cf. Rahner – Häussling (1966) 98s.

[33] Rahner, Konzelebration (1955) 88: «… Konzelebration nur für wirklich außergewöhnliche Sonderfälle zu empfehlen wäre».

[34] Greshake (1984) 263.

[35] Joseph de Sainte-Marie (1982); dopo questa data, troviamo ancora due studi storici sul diritto canonico (1983) (cf. sopra, nota 115) e sulla riforma liturgica (1984) (cf. supra, nota 101), completati da una risposta a Jean Galot che aveva dato un'esposizione simile alla posizione di Paul Tirot (cf. infra punto 5.3): “Valeur de la concélébration”. Réponse au R.P. J. Galot, S.J., in La Pensée catholique n. 212 (1984) 64-65. Su Joseph de Sainte-Marie, si vedano anche i trattati critici di Tirot (1987) 203-213; Gouyaud (2005) 381-386.

[36] Joseph de Sainte-Marie (2015) (II).

[39] Schmitz (1983).

[40] R.M. Schmitz, La concélébration eucharistique: un unique sacrifice, in Sedes Sapientiae n. 36 (1991) 25-39; La concélébration et les fruits du sacrifice de la Messe, in Sedes Sapientiae n. 38 (1991) 25-36 (corrisponde alla pubblicazione italiana del 1983); Incarnation, histoire et sacrifice de la messe. Les problèmes de la concélébration fréquente, in AA.VV., La Liturgie Trésor de l’Église. Actes du premier colloque d’études historiques, théologiques et canoniques sur le rite catholique romain, Paris 1995, 119-139 (versione tedesca: Inkarnation, Geschichte und Messopfer. Die Problematik der häufigen Konzelebration, in Una Voce Korrespondenz 26 [1996] 335-352).

[41] Tommaso d’Aquino, STh III q. 79 a. 7 ad 3. Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 73; (2015) 81.

[42] Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 13; (2015) 5, con riferimento a STh III q. 82 a. 2 (la consacrazione non si ripete perché i sacerdoti concelebranti sono diretti allo stesso istante della consacrazione guidata dal vescovo nella Messa di ordinazione).

[43] AAS 48 (1956) 717.

[44] Ibidem; cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 15-16; (2015) 8-10.

[45] Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 92; (2015) 106; DH 1740.

[46] Ibidem, 457; (2015) 553.

[47] Ibidem, 458; (2015) 553.

[48] Ibidem, 101; (2015) 117.

[49] Ibidem, 460s; (2015) 556s.

[50] Schmitz (1983) 501, nota.

[51] Schmitz (1983) 501-512.

[52] Ibidem, 512-520.

[53] Kleiner (1979) 675; cf. Schmitz (1983) 506-510; Joseph de Sainte-Marie (1982) 31-60; (2015) 31-65; vedi anche Kleiner (1980) contrastato da Joseph de Sainte-Marie (1982) 60-71; (2015) 65-79.

[54] Schmitz (1983) 207.

[55] Schmitz (1983) 509, con riferimento a STh I q. 36 a. 4 ad 7.

[56] Schmitz (1983) 519.

[58] Cf. Tirot (1987) 193-203.

[59] Cf. ibidem, 203-213. Su Tirot, vedi in particolare Schmitz (1995); Gouyaud (2005), 390-392.

[60] Cf. ibidem, 204. Questa analisi e l’opposizione alla presentazione di Joseph Kleiner è condivisa dalla più breve esposizione di J. Galot, Valeur de la concélébration, Esprit et Vie nn. 21-22 (1984) 305-309; inserita ora in J. Galot, L’Eucharistie, amour plein de vie, Saint-Maur 2000, 109-122.

[61] Tirot (1987) 56.

[62] Cf. ibidem, 56-58.

[63] Ibidem, 58.

[64] M. de la Taille, Mysterium fidei, Paris 1924, 354s, citato in Tirot (1987) 183.

[65] Cf. Tirot (1987) 184.

[66] Cf. Tirot (1987) 189, con riferimento a G. Vasquez, In III P., q. 22, disp. 218, Lyon 1638, vol. VII, 377.

[67] Cf. Tirot (1987) 189; cf. J. De Lugo, Tractatus de venerabili Eucharistiae sacramento, disp. 19, sec. 12, n. 252: J.-P. Migne, Theologiae cursus completus, vol. 23 (De eucharistia. De sacrificio missae), Paris 1840, 801; Benedetto XIV, De sacrosanctae Missae sacrificio, III,16,10: Migne, op. cit., 1185.

[68] P. Gasparri, Tractatus canonicus de SS. Eucharistiae, I, Paris - Lyon 1897, 57; 396, citato in Tirot (1987) 190.

[69] B. Merkelbach, Summa theologiae moralis, III, Paris 1933, 279, citato in Tirot (1987) 190.

[70] Michel (1928) 1295, citato da Joseph de Sainte-Marie (1982) 28; (2015) 25s e da Tirot (1987) 204.

[71] Questa è la convinzione di Michel (1928) 1295, condivisa da Tirot (1987) 204, ma confutata da Joseph de Sainte-Marie (1982) 28; (2018) 25s.

[72] Tirot (1987) 205. Una posizione simile, senza la terminologia di Maurice de la Taille, si trova in Galot (1984) 308; (2000) 118: «L’offrande du Sauveur est objectivement appropriée à l’Église par le ministère du prêtre. Or cette appropriation est plus large dans la concélébration …».

[73] Cf. Tirot (1987) 207.

[74] Cf. ibidem.

[75] Cf. Tirot (1987) 214.

[76] Cf. Schmitz (1995) 120 (senza condividere questa posizione), e V. Raffa, Liturgia eucaristica. Mistagogia della Messa: dalla storia e dalla teologia alla pastorale pratica (Bibliotheca “Ephemerides liturgicae”, subsidia, 100), Roma 1998, 754 [20032, ristampa 2011, 944] che definisce la teoria del Tirot (una sola Messa, ma virtualmente multipla nella concelebrazione) «la valutazione teologica che sembra più accreditata e fondata».

[77] Cf. Schmitz (1995) 136s.

[78] Cf. Schmitz (1995) 130.

[79] Cf. Gouyaud (2005) 392.

[80] Cf. Gouyaud (2005) 323-399.

[81] Cf. Gouyaud (2005) 397.

[82] Cf. Van Havre (1992) 211-220; M. Hauke, What is the Holy Mass? The Systematic Discussion on the “Essence” of Eucharistic Sacrifice, in G. Deighan (ed.), Celebrating the Eucharist: Sacrifice and Communion, Wells (U.K.) 2014, 108-134; Was ist die Heilige Messe? Die systematische Diskussion über das „Wesen“ des eucharistischen Opfers, in Forum Katholische Theologie 30 (2014) 6-29.

[83] Kleiner (1980) 552.

[84] Rahner – Häussling (1966) 127, nota 23. Lo stesso Rahner insiste sul fatto che la consacrazione è solo un’azione sacrificale: Rahner, Konzelebration (1955) 91; 93s; 103.

[85] Cf. Kleiner (1979) 677; (1980) 551. In Tommaso d’Aquino vedi, per esempio, STh I q. 40 a. 1 ad 3; Margelidon – Floucat (2011) 9.

[86] Cf. Kleiner (1979) 675.

[87] Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 36s; (2015) 35s, con riferimento a Tommaso d’Aquino, STh I q. 54 a. 2. Vedi anche D. van Havre, Unicidad o pluralidad del sacrificio eucarístico en la Eucaristía concelebrada, in Excerpta e dissertationibus in Sacra Theologia XXI, Pamplona 1992, 195-255 (217; 235s).

[88] Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 45-48; (2015) 47-51.

[89] Cf. D. van Havre (1992) 237-240; García Ibañez (2006) 481.

[90] Vedi, per esempio, Schmitz (1983) 501-512; Tirot (1987) 206; Raffa (1998) 754 (= 2011, p. 963); Galot (2000) 114-116; Augé (2001) 484; García Ibañez (2006) 480s; Derville (2011) 32s; Gherardini (2013) 69-71. Gouyaud (2005) 397, tuttavia, come abbiamo criticamente accennato sopra, parla di un’unica azione sacramentale con una pluralità di sacrifici.

[91] Cf. Tirot (1987) 183; 203-214.

[92] Cf. Agostino, Comm. in Jo., LXXX, 3 (CCL 36, 529; PL 35, 1840); Catechismo della Chiesa cattolica, 1228.

[94] Vedi i riferimenti specifici in M. Hauke, What is the Holy Mass? The Systematical Discussion on the “Essence” of Eucharistic Sacrifice (punto 4.).

[95] Cf. R. Garrigou-Lagrange, De Eucharistia, Torino – Paris 1943, 290-298, seguito, per esempio, da Piolanti (1983) 489s.

[96] Cf. B. Neunheuser, Die numerische Identität von Kreuzesopfer und Messopfer, in Idem (ed.), Opfer Christi und Opfer der Kirche, Düsseldorf 1960, 139-151; K. Rahner – A. Häussling, Die vielen Messen und das eine Opfer (Quaestiones disputatae 31), Freiburg i.Br. 19662, 34-40; una differenza numerica, tuttavia, è indicata, per esempio, da J.A. de Aldama e altri, Sacrae Theologiae Summa IV, Madrid 1953, 353s; Piolanti (1983) 432s. García Ibánez (2006) 377-380 nota che la Croce e la Messa contengono «lo stesso atto di offerta sacrificale», citando un messaggio di Giovanni Paolo II al Congresso Eucaristico di Lourdes, il 21 luglio 1981: Nuntius televisificus iis cui XLII Eucharistico ex omnibus Nationibus Concentui interfuere missus, n. 2: AAS 73 (1981) 551; nella versione francese letta dal cardinale Gantin: «Vous le savez fort bien, chers Frères et Sœurs, cette célébration eucharistique ne fait pas nombre avec le Sacrifice de la Croix; elle ne s'y ajoute pas et ne le multiplie pas. La Messe et la Croix ne sont qu’un seul et même sacrifice (cf. Dominicae coenae, n. 9). Néanmoins la fraction eucharistique du pain a une fonction essentielle, celle de mettre à notre disposition l’offrande primordiale de la Croix. Elle la rend actuelle aujourd’hui pour notre génération. En rendant réellement présents le Corps et le Sang du Christ sous les espèces du pain et du vin, elle rend — du même coup — actuel et accessible à notre génération le Sacrifice de la Croix, qui demeure, dans son unicité, le pivot de l’histoire du salut, l’articulation essentielle entre le temps et l’éternité».

[97] Pio XII, Allocuzione Magnificate Dominum, 2 novembre 1954: AAS 46 (1954) 669.

[98] Cf. Pio XII, Allocuzione “Vous Nous avez demandé” al Congresso Internazionale di Liturgia Pastorale, settembre 1956: AAS 48 (1956) 711-725 (716-718).

[99] Rahner, Die vielen Messen (1955) 100s; Rahner – Häussling (1966) 134, nota 33.

[100] Cf. STh III q. 79 a. 7 ad 3.

[101] Cf. Rahner, Die vielen Messen (1955) 100: «È stato chiaramente affermato [da Rahner nel 1949/1951] ... che, per quanto riguarda l’atto sacrificale di Cristo, una Messa e cento Messe non possono essere “la stessa cosa”» (!). Rahner – Häussling (1966), tuttavia, non rispettano la precisazione pontificia e parlano solo dell’importanza della disposizione soggettiva.

[102] Cf. Derville (2011) 25s, nota 69.

[103] AAS 46 (1954) 669.

[104] Cf. Rahner, Die vielen Messen (1955) 96s.

[105] Cf. Granero (1954) 236; Michel (1956) 596s (criticamente rispetto alla risposta di Rahner). Si veda anche Tommaso d’Aquino, Suppl. q. 71 a. 9 resp.

[106] Cf. Michel (1928) 1289-1316; Pohle – Gummersbach III (1960) 370s; García Ibañez (2006) 548-550; Diekamp (2013) 988-991.

[107] Cf. Michel (1928) 1295-1298.

[108] Cf. CIC/1983, can. 945 § 1. Sul significato dell'offerta (stipendium), che non è solo un riconoscimento dei frutti sacramentali della Santa Messa, si veda Meyer (1989) 239 (bibliografia); 244-247.

[109] Cf. Tirot (1987) 189; 210, con riferimento a Benedetto XIV, De sacrosanctae Missae sacrificio, lib. III, cap. 16, in J.-P. Migne, Theologiae cursus theologicus , vol. 23 (De eucharistia. De sacrificio missae), Paris 1840, 1181; 1186. La Commissione “de sacra Liturgia”, preparando il Vaticano II, ha rilevato che la norma del CIC/1917, can. 824, dovrebbe essere valida anche per ogni concelebrante, in relazione all’approvazione di un sinodo maronita del 1732 da parte di Benedetto XIV (Mansi 38, 125s): AD II,III,II, 36. Si fa anche riferimento a M. de la Taille, Mysterium fidei, Paris 1921, 354-356.

[110] Cf. Kleiner (1979) 678.

[111] Cf. Joseph de Sainte-Marie (1982) 28; 94s; (2015) 26; 107-110.

[112] Cf. AS I,II, 11, 215, 273. Si veda anche l’intervento un po’ cinico del cardinale Ottaviani che abbiamo già citato: AD I,II, 20.

[113] Cf. Acta synodalia I,II, 215 (vescovo A. Couderc).

[114] Cf. Giampietro (2011) 114.

[115] Congregazione dei Riti, Responsa ad dubia, 18 aprile 1966, citato in Kaczynski, Enchiridion, 125, nota a; Giampietro (2011) 114.

[116] CCEO can. 715 § 2. Cf. Tymister (2018) 188.

[118] Cf. A. Cardinale Cañizares Llovera, Presentazione, in Giampietro (2011) 5-9 (8).

[119] Benedetto XVI, Lettera apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 61. Cf. Lang (2017) 187-189.

[121] Ibidem, 9.

[122] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 80.

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