Pagine

sabato 2 dicembre 2023

Strickland, una rimozione al di fuori del diritto canonico

Un parere canonico sulla rimozione, da parte di Francesco, di mons. Strickland dalla Diocesi di Tyler (USA): "L’accantonamento delle garanzie procedurali canoniche presenti nel Codice per tutelare il diritto di un vescovo a un giusto processo quando il suo superiore gerarchico, il papa, sospetta un illecito, è contrario alla giustizia naturale e ignora l’insegnamento e lo spirito sia del Concilio Vaticano II che del Codice del 1983".
Luigi C.

Gerard Murray, La Nuova Bussola Quotidiana, 22-11-23
Il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede dell'11 novembre, sotto il titolo “Rinunce e nomine”, conteneva questo annuncio: «Il Santo Padre ha sollevato dal governo pastorale della Diocesi di Tyler (U.S.A.) S.E. Mons. Joseph E. Strickland e ha nominato il Vescovo di Austin, S.E. Mons. Joe Vásquez, come Amministratore Apostolico della Diocesi resasi vacante». È degno di nota il fatto che l'annuncio venga collocato sotto questo titolo errato: la destituzione di un vescovo non è infatti una rinuncia. La stessa voce errata è stata utilizzata nell'annuncio del 9 marzo 2022 della rimozione del vescovo Daniel Fernandez Torres dalla cura pastorale della diocesi di Arecibo, Porto Rico. La Sala Stampa ovviamente non è abituata a classificare gli annunci riguardanti la rimozione di un vescovo, atto raro ma non sconosciuto.
La privazione dall'ufficio è prevista dal Codice di Diritto Canonico ed è il risultato di un processo giudiziario, o di una procedura amministrativa avviata per esaminare ed emettere un giudizio sulla base di un fondato sospetto che un crimine canonico sia stato commesso da un determinato vescovo. Nei casi di mons. Joseph Strickland e di mons. Fernandez Torres non è stato utilizzato nessuno di questi due possibili procedimenti canonici.

Il canone 416 afferma che «la sede episcopale diviene vacante (…) con la privazione intimata al Vescovo». Il canone 196 precisa che «la privazione dell'ufficio, vale a dire in pena di un delitto, può essere effettuata solamente a norma del diritto. La privazione sortisce effetto secondo le disposizioni dei canoni sul diritto penale». Il commento al Code of Canon Law Annotated, 4th Edition afferma che «la privazione è la perdita dell'ufficio ecclesiastico come pena per un delitto; è imposto giudizialmente o amministrativamente al termine di un processo penale o di un procedimento amministrativo penale (cf. can. 1336, 4, 1). Quindi la privazione è un tipo speciale di rimozione; la sua efficacia e i suoi limiti sono soggetti alla legge penale».

Nei casi dei vescovi Torres e Strickland non vi è stato alcun processo penale o amministrativo. La visita apostolica, effettuata in entrambi i casi, non si qualifica né come processo giudiziario né come procedimento amministrativo. Pertanto la loro rimozione è avvenuta mediante un atto del papa al di fuori delle procedure canoniche esistenti.

Il can. 331 afferma inoltre che il papa «in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente». Egli, se vuole, è libero di dispensarsi dalle disposizioni vincolanti delle leggi meramente ecclesiastiche (can. 11). Il canone 12 afferma che «alle leggi universali sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date». Il papa è perciò tenuto a osservare la legge della Chiesa, a meno che per una causa «giusta e ragionevole» (can. 90) non decida di dispensarsi «in un caso particolare» dalle sue disposizioni (can. 85). In tal caso, dovrà emettere un decreto. Se egli si dispensa sia dall’obbligo di emanare un decreto scritto, come richiesto dai canoni 48 e 51, sia dall’obbligo «per quanto possibile» di ascoltare «coloro i cui diritti possono essere lesi» (can. 50), quello stesso atto di dispensa dovrebbe avvenire con decreto scritto, che dovrebbe esporre, «almeno sommariamente, le motivazioni, se si tratta di una decisione» (can. 51). Se poi dispensa sé stesso dall'esprimere le ragioni della sua dispensa, anche ciò deve avvenire mediante decreto scritto. Niente di tutto ciò è accaduto nel caso di questi due vescovi deposti.

Un precedente caso di rimozione di un vescovo diocesano da parte di papa Francesco è stato quello del defunto vescovo Rogelio Ricardo Livieres Plano di Ciudad del Este, Paraguay. Una nota della Sala Stampa della Santa Sede, pubblicata sul Bollettino del 25 settembre 2014, aveva definito questa privazione dell'incarico un «avvicendamento». La nota affermava che la rimozione era stata una «gravosa decisione della Santa Sede, ponderata da serie ragioni pastorali, e ispirata al bene maggiore dell’unità della Chiesa di Ciudad del Este e alla comunione episcopale in Paraguay». In questo caso, si è ritenuto che mons. Livieres Plano fosse colpevole di aver offeso l'unità della sua diocesi e la comunione dei vescovi del Paraguay. Nella nota non vengono citati episodi specifici di questi presunti delitti.

Perché la mancata osservanza delle disposizioni canoniche è motivo di preoccupazione? San Giovanni Paolo II, nella costituzione apostolica che promulgava il Codice di Diritto Canonico del 1983, Sacræ disciplinæ leges, così descriveva la natura e l’importanza del Codice: il fine del Codice è «di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono». Affermava inoltre che «il Codice, dal momento che è il principale documento legislativo della Chiesa, fondato nell'eredità giuridico-legislativa della rivelazione e della tradizione, va riguardato come lo strumento indispensabile per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale, sia nell'attività stessa della Chiesa». Come si vede, l’accento è posto sul giusto ordine nella Chiesa. Un insieme di leggi promulgate stabilisce le condizioni per rapporti equi e giusti tra i fedeli, che condividono l'obbligo comune di cooperare tra loro nell'obbedienza a regole di condotta chiaramente enunciate, che promuovono e salvaguardano la natura e la missione della Chiesa.

San Giovanni Paolo II proseguiva affermando che «il Codice di diritto canonico è estremamente necessario alla Chiesa [che] ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica e organica sia visibile; (…) sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, garantiti e ben definiti i diritti dei singoli». Faceva inoltre notare che «le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l'osservanza. È stata usata, quindi, la massima diligenza, perché nella lunga preparazione del Codice l'espressione delle norme fosse accurata, e perché esse risultassero basate su un solido fondamento giuridico, canonico e teologico».

Il vescovo Strickland ha riferito che il 9 novembre, a Washington, il nunzio apostolico, cardinale Christophe Pierre, gli aveva detto che gli era stato chiesto di dimettersi per vari motivi, tra cui la mancanza di fraternità con i suoi colleghi vescovi americani, il mancato rispetto di Traditionis Custodes, la sua problematica presenza sui social media e le sue critiche al Sinodo sulla sinodalità. Strickland, che ha rifiutato di dimettersi, ha spiegato che il nunzio non ha fatto riferimento ad alcun problema amministrativo nella sua diocesi. Nessuna di queste ragioni della sua destituzione, comunicategli in un colloquio privato, è stata enunciata in un decreto pontificio di destituzione. In effetti, non è stato pubblicato alcun decreto papale.

Per quanto possiamo giudicare sulla base delle prove finora disponibili pubblicamente, mons. Strickland è stato accusato non di crimini canonici, ma piuttosto di pubblico disaccordo, a volte con termini offensivi, nei confronti di varie dichiarazioni e decisioni di papa Francesco, e di agire diversamente dai suoi colleghi vescovi americani. Non sono stati contestati crimini canonici e non è stato avviato alcun processo giudiziario o procedimento amministrativo. Di conseguenza, non è stato rispettato il diritto del vescovo di avere la possibilità di conoscere e di rispondere ad eventuali accuse formali contro di lui in un processo regolato dalla legge. Non gli è stato concesso l'accesso alle prove raccolte a sostegno dell'accusa di illecito e quindi non ha avuto la possibilità di confutare o di presentare ulteriori prove a suo favore. L’accantonamento delle garanzie procedurali canoniche presenti nel Codice per tutelare il diritto di un vescovo a un giusto processo quando il suo superiore gerarchico, il papa, sospetta un illecito, è contrario alla giustizia naturale e ignora l’insegnamento e lo spirito sia del Concilio Vaticano II che del Codice del 1983.

* Sacerdote e canonista

Nessun commento:

Posta un commento