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domenica 7 maggio 2023

Porfiri: "Confessioni intime di un musicista di Chiesa"

Riflessioni di musica liturgica del Maestro Porfiri.
Luigi


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Io sono musicista di Chiesa da quasi 40 anni. A volte ho diretto, suonato, cantato, composto scritto. Ma quasi sempre intorno alla musica di Chiesa sono stato. Uno degli sforzi più grandi che ancora cerco di fare (e non è detto che sempre ci riesco) è quello di evitare di cadere nelle trappole di questa professione. Non è sempre semplice, ma per me è sforzo costante.
Una delle trappole è quella in cui si cade quando si parla solo della musica sacra come se il resto non esistesse. La liturgia? La storia? La teologia? Che gliene importa, basta che sappiamo il significato di tutti i neumi possibili e immaginabili. Per carità, non dico che questo non sia importante, ma
senza lo sguardo ampio si rischia di capire molto, ma molto poco. Eppure ci sono quelli così, che ti rimproverano se parli d’altro senza capire che le cose si comprendono in connessione.

Un’altra trappola è quella in cui fa cadere la frustrazione. Chiunque fa questo servizio deve ammettere, magari facendosi coraggio con due bicchieri di buon vino, una verità ad oggi inconfutabile: i musicisti di Chiesa oggi sono tutti a grave rischio di frustrazione perché alla Chiesa non frega niente de musicisti! Ci sono eccezioni? Certamente ci saranno, ma sono eccezioni, il dato di fatto è che il professionismo nel campo della musica sacra in molti paesi “cattolici”, tra cui l’Italia, è oramai cosa del passato. Quel professionismo che avrebbe garantito la qualità quasi non esiste più. Ti va un po’ meglio se sei un prete, per loro un posto si trova sempre: per questo ringraziamo il Concilio, che ha eliminato il clericalismo (ma quando mai…).

I frustrati che non sanno cosa fare, hanno vari passatempi. Non potendo (e non dovendo) odiare i santi (su cui non si può scherzare e che poi non c’entrano niente) si odiano tra loro. Ma un odio profondo, ogni piccolo successo degli altri diviene una tragedia personale. Perché lui e non io? Allora cercano tutti i modi per fargliela pagare, tra voci malevoli e piccoli scherzetti.

Un altro passatempo è quello di costruire la propria immagine da genio incompreso, essendo consapevoli che un genio compreso non è più un genio. Ecco che, per evocare un genio che in realtà non hanno, fanno gli sregolati, pensando che l’associazione tra i due termini possa funzionare anche per loro. Ecco che li vedi inveire contro “questa Chiesa modernista” ma appena gli passa un pretino vicino li vedi docili e mansueti come agnellini, che aspettano il padrone che li porti al pascolo.

C’è poi la categoria dei non musicisti di Chiesa che fanno i musicisti di Chiesa, coloro che non hanno la preparazione per fare quello che fanno e che però fanno la morale a coloro che la preparazione l’hanno conseguita con anni di studio (con o senza diploma). Ecco che fanno i santi, deridono coloro che ritengono che all’operaio deve essere data la giusta mercede perché bisogna farlo come “servizio”, che loro inorridiscono all’idea che qualcuno possa essere pagato. Ma ogni mestiere è un servizio, pensiamo che coloro con queste balzane idee possano essere medici o insegnanti: che penserebbero di chi negasse loro l’opportunità di ricevere un salario perché si “deve fare per servizio” e pretendesse sostituirli pur non avendo le competenze da medico o insegnante?

Per carità, ci sono musicisti di Chiesa che sfuggono a questa categorizzazione e come detto tutti, anche lo scrivente, siamo esposti a questi rischi. Ma se è vero che la verità ci farà liberi, meglio questa verità tirarla fuori.